Vietato modificare il criterio legale di ripartizione delle spese

La delibera assembleare che modifica il criterio legale di determinazione delle quote di partecipazione alle spese condominiali è nulla se assunta con la maggioranza anche qualificata e non all'unanimità. La nullità può essere fatta valere anche dal condomino che abbia partecipato all'assemblea ancorché abbia espresso il proprio voto favorevole.

La riforma del condominio è ormai in fase di start-up e può essere utile chiarire alcuni aspetti che hanno superato in maniera inalterata le novità introdotte dalla Legge 11 dicembre 2012, n. 220 Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici . L'occasione è data da una recente sentenza della Seconda Sezione Civile della Cassazione la n. 15042/2013 , che ha affrontato quello che, da sempre, è un nervo scoperto della vita condominiale la ripartizione delle spese. Conflitto di interessi. Il caso nasce dalla tipica lite tra condomini innescata dal più classico dei problemi la ripartizione delle spese. Un condomino delega un vicino peraltro amministratore del condominio a rappresentarlo in assemblea. Sta di fatto che la compagine assembleare delibera di aumentare al c.d. quota fissa gravante sulle unità immobiliari ad uso ufficio. Il caso vuole che il delegante possegga proprio un ufficio ed il delegato una unità ad uso abitativo. Ovvio che si inneschi il tarlo del conflitto d'interessi. È opportuno ricordare che, intervenendo in tema di conflitto di interessi, la giurisprudenza pre-riforma aveva applicato al condominio i principi tipici delle società commerciali anche se il condominio non ha personalità giuridica legittimando l’esclusione dall’esercizio del diritto di voto da parte di quei condòmini che, rispetto ad una deliberazione assembleare, si ponevano come portatori di interessi propri, in potenziale conflitto con quello del condomìnio. La posizione di conflitto, peraltro, era ipotizzabile quando fosse stato possibile identificate, in concreto, una sicura divergenza tra ragioni personali del condòmino e quelle, divergenti, del condominio Cassazione, Sez. II Civ., n. 11254/1997 . Argomento fuori dall’ordine del giorno? Il condomino delegante impugna la delibera assembleare per un duplice ordine di motivi l'assemblea avrebbe deliberato su un argomento non rientrante tra quelli posti all'ordine del giorno o comunque non indicato con sufficiente chiarezza il delegato si sarebbe trovato in insanabile conflitto di interessi. In relazione alla prima doglianza, il ricorrente precisa che l'ordine del giorno riportava chiarimenti delibera assembleare del 16 giugno 1992 riflettente la maggiorazione quote millesimali relativi agli appartamenti adibiti ad uffici l'assemblea, invece di ottenere dei semplici chiarimenti , aveva deliberato un aumento della quota fissa a carico degli uffici travisando, in questo modo, l'ordine del giorno. L'aumento della quota fissa a carico delle unità immobiliari ad uso ufficio avrebbe comportato, come logica conseguenza, un abbattimento dei costi a carico delle abitazioni e ciò avrebbe innescato il conflitto di interessi con il condomino-delegato proprietario, guarda caso, di una unità immobiliare ad uso abitazione. Non per i giudici di merito. Il giudizio di merito si svolge praticamente a senso unico ed è caratterizzato dal totale rigetto della domanda. L'ordine del giorno sarebbe stato formulato in maniera talmente ampia da legittimare il deliberato assembleare. La delega, poi, non avrebbe contenuto alcun limite al potere del delegato con la conseguenza che la volontà espressa da quest'ultimo, in assemblea, sarebbe stata del tutto valida ed efficace. Nullità della delibera impugnata? L'attore non demorde e non si lascia scoraggiare dalla duplice sconfitta articolando un complesso ricorso per cassazione incentrato sulla nullità della delibera assembleare impugnata. La delibera sarebbe totalmente nulla in quanto sarebbe stata assunta con la maggioranza anche se qualificata e non all'unanimità. Le delibere destinate ad incidere sulla modalità di ripartizione dei costi condominiali, infatti, devono necessariamente essere assunte all'unanimità. Ulteriore argomento sarebbe la possibilità, per il condomino che abbia partecipato all'assunzione della delibera anche esprimendo un voto favorevole, di poterla successivamente impugnare, nell'ipotesi in cui tale delibera fosse risultata affetta da nullità assoluta. La delibera nulla non produce alcun effetto. Secondo una giurisprudenza ormai consolidata e destinata a non subire modifiche per effetto della riforma in atto, gli atti nulli rectius , le delibere nulle sono quelli che non producono alcun effetto tamquam non esset per cui non sono soggetti ai relativi termini di impugnazione di cui all'articolo 1137, terzo ed ultimo comma, del vecchio codice civile norma ora corrispondente al secondo comma dello stesso articolo 1137 c.c. , ma può essere fatta valere in ogni tempo da chiunque dimostri di averne interesse e, quindi, anche dal condomino che abbia espresso voto favorevole Cassazione, Sez. II civ., n. 12930/2012 . Occorre tener presente, sotto questo profilo, che l'articolo 1137 c.c. viene considerata come una norma inderogabile. Le delibere annullabili, invece, sarebbero atti viziati che diventano validi ed efficaci se non vengono impugnati entro un certo termine ovvero nei fatidici trenta giorni . Nullità assoluta della delibera condominiale che modifica i criteri legali di ripartizione delle spese, senza il consenso di tutti i condomini. La seconda sezione, con la decisione in commento, parte dall'accoglimento della eccezione di nullità del deliberato assembleare le ulteriori conseguenze, a questo punto, diventano automatiche. Il punto di partenza, che rappresenta un vero e proprio grimaldello per scardinare l'impianto della sentenza della Corte territoriale, è rappresentato dal riconoscimento della nullità del deliberato assembleare impugnato. La delibera condominiale che, senza il consenso di tutti i condomini, abbia modificato i criteri legali di ripartizione delle spese ex articolo 1123 c.c. articolo rimasto invariato a seguito della riforma del condominio sono affette da nullità assoluta. Gli Ermellini ricordano che la nullità può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all'assemblea ancorché abbia espresso nella stessa voto favorevole. I termini indicati nell'articolo 1137 c.c. sarebbero inapplicabili proprio in quanto si tratterebbe di una delibera assolutamente nulla. Esprimere la propria volontà in assemblea è un diritto del condomino. Ciascun condomino ha diritto di intervenire in assemblea in proprio o di farsi rappresentare da un terzo, anche estraneo al condominio, munito di delega. La riforma del condominio non introduce alcun limite, né soggettivo, né oggettivo, alla delega se non nel caso in cui questa venga conferita allo stesso amministratore di condominio . Gli unici limiti potrebbero essere contenuti nel regolamento condominiale che, per ipotesi, potrebbe vietare di far partecipare all’assemblea, in sostituzione del condomino, dei soggetti appartenenti ad una data categoria si pensi, per esempio, alla clausola che vieta al condomino di farsi rappresentare in assemblea dal proprio avvocato. Le novità della riforma in materia di deleghe. La materia delle deleghe è stata profondamente rinnovata dal Legislatore della riforma che ha riscritto l’articolo 67 delle Disposizioni di attuazione al codice civile. In questo contesto viene dettato un principio di massima nei complessi con oltre venti condomini, il delegato può rappresentare, al massimo, un quinto dei condomini. Tale principio trova una deroga nei condomìni costituiti da oltre sessanta condòmini il che potrebbe accadere soprattutto nell'ipotesi, ora regolamentata, del supercondominio . In questo caso lo stesso articolo 67 introduce un duplice correttivo per cui da un lato, cade il principio della partecipazione diretta del singolo condomino e dall’altro, parallelamente, viene introdotta una deroga al principio che vieta la concentrazione dei voti e, quindi, del potere decisionale nelle mani di un unico soggetto. Nel caso del supercondominio, in parole povere, il singolo condòmino non partecipa direttamente all’assemblea ma designa un proprio rappresentante per la gestione ordinaria delle parti comuni e per la nomina dell’amministratore. La delega all’amministratore di condominio. In passato, era quasi una prassi conferire allo stesso amministratore la delega per partecipare all’assemblea. Tale modus operandi finiva per innescare possibili situazioni di conflitto di interesse in assemblea specie quando la discussione verteva sull'approvazione dei bilanci o sul rinnovo dell'amministratore. In passato la Cassazione si era occupata fin troppo spesso di questo aspetto della vita condominiale stabilendo che, nell’ipotesi in cui fosse configurabile una posizione confliggente tra gli interessi del condomino-delegante e quelli dell’amministratore-delegato, il voto espresso per delega fosse considerato nullo. La nullità del voto, peraltro, veniva inflitta solo nell'ipotesi in cui l'interessato avesse fornito la prova che il condomino-delegante non era a conoscenza o non era in grado di rendersi conto, con la normale diligenza, della situazione di conflitto Cassazione, Sez. II civ., n. 10683/2002 . La riforma sembra aver risolto definitivamente questo problema vietando espressamente che l’amministratore possa ricevere deleghe da parte dei condomini. È evidente che il Legislatore della riforma ha voluto evitare ogni coinvolgimento dell’organo gestionale all’interno dell’assemblea e possibili posizione di conflitto di interessi in pratica, infatti, è ben difficile ipotizzare che l’amministratore non si trovi in un possibile conflitto di interessi con una qualsiasi decisione dell’assemblea.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 maggio – 14 giugno 2013, n. 15042 Presidente Triola – Relatore Scalisi Svolgimento del processo L.P.F. con atto di citazione dell'11 settembre 1997 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Caltanissetta il condominio di omissis , chiedendo che venisse dichiarata nulla o, comunque, venisse annullata e/o dichiarata inefficace la delibera assembleare del 9 settembre 1997 in ordine alla quale l'attore aveva conferito delega di partecipazione ad altro condomino ex amministratore dello stabile. Deduceva l'attore che il Condominio deliberando sul punto n. 4 dell'ODG chiarimenti delibera assembleare 16 giugno 1992 riflettente la maggiorazione quote millesimali relativi agli appartamenti adibiti ad uffici , aveva in effetti proceduto ad un aumento delle quote millesimale deliberando quindi su un oggetto non rientrante e/o comunque non sufficientemente indicato nell'ODG. Deduceva comunque l'inefficacia della delibera n quanto la delega all'ex amministratore non comprendeva l'aumento della ripartizione delle spese. Deduceva comunque l'annullabilità della delibera perché adottata sulla base della volontà manifestata dall'ex amministratore delegato in conflitto di interessi con l'attore atteso che lo stesso essendo condomino aveva tratto vantaggio dalla deliberata maggiorazione millesimali per gli immobili adibiti ad ufficio atteso che tale maggiorazione comportava una diminuzione delle quote degli altri appartamenti, la nullità della delibera perché aveva adottato una ripartizione delle spese non conforme a legge. Si costituiva il Condominio, chiedendo il rigetto delle domande attoree. Il Tribunale di Caltanissetta con sentenza n. 237 del 2001 rigettava la domanda, rilevando che il termini chiarimenti sulla precedente delibera del 1992 termine contenuto nell'ODG per la sua ampiezza comprendeva n sé anche la possibilità di aumentare le quote stesse, per altro la delega conferita dall'attore per farsi rappresentare non conteneva alcuna limitazione e pertanto la volontà espressa dal rappresentante era pienamente valida ed efficace. Avverso questa sentenza proponeva appello L.P.F. . Non si costituiva il Condominio. La Corte di Appello di Caltanissetta rigettava l'appello e confermava la sentenza impugnata. Dichiarava non ripetibili nei confronti del Condominio le spese processuale del grado. Secondo la Corte nissena l'assemblea, come emerge dal verbale di assemblea del 9 settembre 1997 si è mantenuta nell'ambito del punto indicato nell'ODG avendo limitato l'oggetto del dibattito al contenuto della delibera del 16 giugno 1992, non determinando aumenti di quote millesimali non deliberate in precedenza, dato che il 16 giugno 1992 sul punto che qui interessa l'assemblea condominiale aveva deliberato per quanto riguarda le spese relative alla tabella B e C tenuto conto dell'uso differenziato della civile abitazione per effetto della presenza degli uffici pubblici di un contributo pari al doppio della quota spettante, conseguentemente veniva eliminato il contributo del 30% della tabella C a suo tempo deliberato. La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da L.P.F. per quattro motivi. Il Condominio OMISSIS in questa fase non ha svolto alcuna attività difensiva. Motivi della decisione 1.= L.P.F. lamenta a con il primo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1123 e 1137 cc Art. 360 n. 3 c.p.c. . Avrebbe errato la Corte nissena nel non aver valutato la validità della delibera del 9 settembre 1997 perché, anche se meramente ricognitiva, come ha ritenuto la Corte territoriale, della delibera precedente, avrebbe dovuto essere, comunque, valutata nella sua validità. In buona sostanza sostiene il ricorrente, non può una delibera ritenersi valida solo perché ricognitiva di precedente delibera nel momento in cui il suo contenuto viola norma di legge e, quindi, è affetta da nullità. Né tanto meno il suo contenuto può considerarsi valido così illecitamente sanando una precedente delibera nulla. In realtà, specifica il ricorrente, nel momento in cui L.P. ha censurato la delibera del 9 settembre 1997 che aveva secondo la Corte nissena assunto valore meramente cognitivo di una precedente delibera che a sua volta era fissato una maggiorazione diversa rispetto a quella predisposta dall'amministratore, non ci si poteva esimere dal valutare se la delibera impugnata violasse disposizioni di legge. Di nessun rilevo sarebbe, secondo il ricorrente, la circostanza che il P. non avesse impugnato la precedente delibera, atteso che al momento della notifica dell'atto di citazione riteneva non correttamente interpretata la stessa precedente delibera anche se affetta da nullità e di cui si riservava, se del caso, l'impugnazione. In ragione di ciò, il ricorrente pone il seguente quesito di diritto se una delibera condominiale anche se ricognitiva di una precedente delibera assembleare, possa dichiararsi valida, ovvero vada dichiarata nulla ove, comunque, il suo contenuto non sia conforme alle tabelle millesimali esistenti ovvero violi il disposto dell'art. 1123 cc. in ordine alla ripartizione delle spese dei condomini, in mancanza del consenso unanime di tutti i condomini e, ciò anche se il condomino abbia partecipato all'assemblea per delega ed ancorché abbia espresso voto favorevole. b con il secondo motivo l'insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. cc. art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. . Secondo il ricorrente avrebbe errato la Corte nissena nell'aver attribuito al deliberato del punto 4 dell'ordine del giorno natura ricognitiva della precedente delibera del 16 giugno 1992 atteso che dal contenuto esplicito dello stesso deliberato che si tratta di una diversa interpretazione della volontà assembleare rispetto a quella operata dall'amministratore nella redazione dei bilanci consuntivi da esaminare ed approvare al punto 1 dell'ordine del giorno. Piuttosto, la Corte territoriale, sostiene il ricorrente, nell'interpretare la delibera assembleare avrebbe dovuto indagare la comune intenzione dei presenti che, invero, apparirebbe essere non quella di operare una mera ricognizione della precedente delibera in data 16 giugno 1992, quanto invece di interpretare quest'ultima delibera in modo difforme rispetto a come l'aveva interpretata l'amministratore che aveva elaborato i prospetti di bilancio a consuntivo e che, per altro, l'aveva a suo tempo votata, così votata. Pertanto, conclude il ricorrente, dica l'Ecc. ma Corte, se il contenuto di una delibera di assemblea condominale vada interpretato facendo ricorso ai criteri di cu agli artt. 1362 cc. e quindi non limitandosi al contenuto letterale quando, invece, indagando la comune intenzione delle parti presenti valutando il loro comportamento complessivo anche posteriore. c con il terzo motivo la violazione e falsa applicazione dell'art. 1421 cc. art. 360 n. 3 c.p.c. . Avrebbe errato la corte di Caltanissetta secondo il ricorrente, nell'aver ritenuto che al delibera in data 9 settembre 1997 non poteva essere affetta da nullità per mancanza del quorum necessario e in ogni caso che non si versasse in ipotesi di nullità per mancanza di quorum necessario alla modifica della ripartizione delle spese e, pertanto nell'aver ritenuto l'impugnazione inammissibile non essendo stato il l.P. condomino dissenziente, dato che la nullità ex art. 1421 c.c. può essere proposta da chiunque vi abbia interesse e anche dal condomino che abbia partecipato con il suo voto favorevole alla deliberazione impugnata purché alleghi e dimostri di avervi interesse. Pertanto, conclude il ricorrente dica, l'Ecc. ma Corte se la delibera dell'assemblea condominiale nulla o, comunque accertata la nullità di una delibera condominiale, l'impugnazione possa essere operata dal condomino che ha partecipato all'assemblea e che abbia votato favorevolmente. d 3. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1394 cc. nonché insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. . 1 Avrebbe errato la Corte nissena, secondo il ricorrente, nell'aver escluso che tra il delegato geom. G. e il delegante L.P. non vi fosse un conflitto di interessi perché dalla deliberazione di cui al punto 4 dell'ODG il G. otteneva un indubbio vantaggio patrimoniale per la conseguente riduzione degli oneri condominiali di cui alla tabella B e C, essendo egli stesso condomino. Pertanto, conclude il ricorrente dica la Suprema Corte se il conflitto di interessi del rappresentante rispetto al rappresentante operi anche nell'ipotesi in cui quest'ultimo abbia esatta conoscenza del punto all'ORD per cui ha delegato il rappresentante sul presupposto, anche che comunque non è prevedibile al momento del conferimento della delega l'esatta portata del voto da esprimere da parte del rappresentante. 2 E di più, secondo il ricorrente la motivazione con la quale la Corte territoriale avrebbe escluso il conflitto di interessi tra delegato delegante, sarebbe insufficiente, considerato che non può escludersi un conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato solo perché il rappresentante fosse a conoscenza dei criteri di ripartizione di spesa adottati nei consuntivi del 1992/1993 al 1996/1997 e dell'esatta portata del punto 4 dell'ODG perché non era prevedibile al momento del conferimento della delega l'ambito del voto da esprimere e, quindi che lo stesso potesse adottarsi in conflitto di interessi atteso che se i chiarimenti si fossero limitati all'applicazione della maggiorazione solo in caso di utilizzo degli appartamenti ad uffici pubblici nessun conflitto sarebbe sorto, mentre avendo determinato un incremento della maggiorazione della quota rispetto a quella di cui alla ripartizione di spesa operata dal delegato con un vantaggio patrimoniale per il delegato e la di lui moglie non possa ritenersi sufficiente la motivazione che abbia escluso il conflitto di interesse. 1.1. Vanno preliminarmente ed unitariamente esaminati, il primo e il terzo motivo, sia per la pregiudizialità rispetto agli altri motivi e, insieme, per l’innegabile connessione che esiste tra gli stessi. Ed entrambi i motivi, primo e terzo sono fondati. Intanto, è appena il caso di osservare che deve ritenersi affetta da nullità che può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all'assemblea ancorché abbia nella stessa espresso voto favorevole , e quindi sottratta al termine di impugnazione di giorni trenta previsto dall'art. 1137 c.c., la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali ex art. 1123 c.c. o di regolamento contrattuale di riparto delle spese per la prestazione di servizi nell'interesse comune. Ciò, in quanto eventuali deroghe, venendo ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca. In tal senso è il costante orientamento di legittimità, che il Collegio pienamente condivide e dal quale non ravvisa, comunque, ragione alcuna per discostarsi ex plurimis, Cass. 17101 del 27/07/2006 . 1.1.a . Ora, nel caso in esame la delibera del 9 settembre 1997, come correttamente eccepisce il ricorrente, è nulla a sia ove si intenda attribuire a questa delibera una natura ricognitiva di una precedente delibera, ovvero, della delibera del 16 giugno 1992, dato che la delibera del 16 giugno 1992 proprio perché avrebbe deliberato di modificare il criterio legale di determinazione delle quote di partecipazione alle spese condominiali, di cui all'art. 1123 c.c. a maggioranza sia pure qualificata e non all'unanimità, era nulla b sia ove si intenda attribuire alla delibera del 9 settembre 1997, una piena autonomia, per la stessa e assorbente ragione che si è appena detto, dato che anche questa delibera finirebbe con il modificare il criterio legale di determinazione delle quote di partecipazione alle spese condominiali, di cui all'art. 1123 c.c. a maggioranza sia pure qualificata e non invece, come sarebbe stato necessario all’unanimità dei condomini. 1.1.b . In realtà, avendo il L. censurato la delibera del 9 settembre 1997, che secondo la Corte nissena aveva assunto un valore meramente ricognitivo della precedente delibera del 16 giugno 1992, la Corte territoriale avrebbe dovuto - e non sembra lo abbia fatto - verificare se la delibera cui quella in esame si ricollegava presentasse il lamentato vizio di nullità. Ininfluente era la circostanza che il L. non avesse impugnato la precedente delibera né la circostanza che il L. stesso aveva contribuito favorevolmente all'approvazione delle delibere del 16 giugno 1992 e del 9 settembre 1997, atteso 1 che le delibere mille essendo tanquam non esset come se non fossero mai state prese , sono impugnabili dai condomini in qualsiasi momento, senza alcun vincolo temporale e la nullità può e deve essere rilevata anche d'ufficio ed, in particolare, nell'ipotesi in cui una delibera nulla sia evocata direttamente o indirettamente nel giudizio di che trattasi. 2 che ai sensi dell'art. 1421 cc. le azioni di nullità relative alle delibere condominiali possono essere proposte da chiunque vi abbia interesse e anche dal condomino che abbia partecipato con il suo voto favorevole alla formazione della delibera nulla purché alleghi e dimostri di avervi interesse per derivare dalla deliberazione assembleare un apprezzabile suo pregiudizio non operando nel diritto sostanziale la regola propria della matteria processuale secondo cui chi ha concorso a dare causa alla nullità non può farla valere Cass. n. 9562 del 1997 , e, il L. aveva dato prova di essere proprietario di immobili adibiti ad uso ufficio e che dalla maggiorazione delle spese condominiali deliberate avrebbe subito un serio pregiudizio sia perché i maggiori costi avrebbe potuto disincentivare le relative locazioni sia perché come proprietario aveva l'obbligo del pagamento in caso di morosità del conduttore. 2. L'accoglimento del primo e terzo motivo determina l'assorbimento degli altri motivi atteso che a con il secondo motivo si insite sull’annullabilità della delibera del 1997 in quanto il suo contenuto era estraneo all'ordine del giorno, e b con il quarto motivo si deduce l'annullabilità della delibera del 1997 sotto il profilo che ha partecipato alla stessa il delegato dell'attuale ricorrente pur essendo in conflitto di interessi con lo stesso. In definitiva, va accolto il primo e il terzo motivo del ricorso e dichiarati assorbiti gli altri, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Catania, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il terzo motivo, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Catania anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.