Resta a carico del titolare del fondo dominante la prova dell’esistenza della servitù prediale

Nell’azione confessoria di cui all’art. 1079 c.c. il titolare del fondo dominante ha l’onere di provare la titolarità del diritto di servitù essendo invece irrilevante, stante la tipicità dei modi di costituzione delle servitù prediali, il riconoscimento da parte di un proprietario di un fondo della fondatezza dell’altrui pretesa circa la sussistenza di una servitù mai costituita.

L’atto ricognitivo unilaterale di servitù, previsto con efficacia costitutiva dall’art. 634 c.c. del 1865, non è contemplato nel codice vigente, né vale a determinare quella presunzione di esistenza del diritto ricollegata alla ricognizione del debito dall’art. 1988 c.c., essendo questa norma inapplicabile ai diritti reali né lo stesso può configurare un atto di ricognizione con gli effetti di cui all’art. 2720 c.c. in ipotesi di preteso acquisto della servitù per usucapione o in alternativa per destinazione del padre di famiglia, giacché in tali casi fa difetto il titolo costituito dal documento precedente di cui si prova l’esistenza ed il contenuto mediante il riconoscimento. E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 10238 del 2 maggio 2013. Azione confessoria, onere della prova e validità della ricognizione di diritti reali. La questione sottoposta all’attenzione della giurisprudenza di legittimità con la pronuncia in epigrafe origina dall’esercizio di una azione volta ad accertare l’esistenza di una servitù prediale in seguito all’occlusione del fondo servente da parte del proprietario dello stesso. Sia in primo che in secondo grado i giudici di merito giungono a configurare l’esistenza della servitù sulla base dal valore confessorio attribuito alle dichiarazioni fatte in giudizio dal proprietario del fondo servente e senza che il titolare del fondo dominante avesse dimostrato l’esistenza di un titolo costitutivo del diritto reale in questione. Su tali presupposti, la Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, si sofferma sui profili probatori connessi all’azione confessoria di cui all’art. 1079 c.c. e detta qualche interessante spunto di riflessione sulla complessa tematica degli atti ricognitivi di diritti reali. Tipicità dei modi di costituzione delle servitù ed onere della prova. La Corte rileva che dalla tipicità dei modi di costituzione delle servitù prediali deriva che, salvo il caso di costituzione per usucapione o destinazione del padre di famiglia, necessariamente deve esservi un negozio idoneo a far sorgere, per volontà degli interessati, la servitù stessa. In base a tale assunto la sentenza in rassegna giunge ad affermare che qualora un soggetto intenda ottenere una pronuncia che accerti in suo favore il diritto di servitù è tenuto, qualora non deduca un acquisto a titolo originario, a dimostrare l’esistenza del diritto reale in questione in base ad un titolo proveniente necessariamente dal proprietario del fondo preteso servente o da un suo dante causa. L’inammissibilità dell’atto ricognitivo di diritti reali. In seconda battuta la Corte torna a riproporre il proprio orientamento restrittivo nei confronti dell’ammissibilità degli atti ricognitivi di diritti reali. La giurisprudenza di legittimità ha infatti tradizionalmente affermato che la differente struttura dei diritti reali rispetto ai diritti di credito impone, per quanto concerne gli atti ad efficacia probatoria, una maggiore formalità nei primi rispetto che nei secondi. Proprio con riguardo alle servitù prediali, la Corte di Cassazione ha in passato affermato che l’atto ricognitivo unilatera di servitù non è in grado di agevolare sul piano probatorio il titolare della servitù in alcun modo, in quanto l’art. 1988 c.c. è inapplicabile ai diritti reali i quali, per la diversa rilevanza assunta all’interno dell’ordinamento, devono necessariamente essere assoggettati ad una disciplina più rigorosa Cass. 23 dicembre 1987, n. 6625 . In tale contesto si suole genericamente affermare che le dichiarazioni unilaterali aventi ad oggetto la titolarità di diritti reali non hanno alcun rilievo processuale.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 20 marzo - 2 maggio 2013, numero 10238 Presidente Piccialli – Relatore Correnti Svolgimento del processo Con citazione 23.3.1998 D.L.F. e R.F. , premesso di essere proprietari di un immobile f.43 mapp.669 in Serravalle Sesia, godente di servitù di passaggio sulla scala sita nell'adiacente fabbricato del T. , f. 43 mapp. 540, chiedevano dichiararsi l'esistenza di detta servitù, avendo il convenuto chiuso con un cancelletto l'ingresso alla scala e lamentavano lavori di ristrutturazione a distanza non legale. Il contenuto contestava e svolgeva riconvenzionale per opere realizzate ex adverso e per il pagamento della quota di partecipazione alle spese di sistemazione dell'accesso carraio e del cancello. Con sentenza 1.6.2002 il Tribunale di Vercelli dichiarava l'esistenza della servitù, condannando il T. a rimuovere il cancello, ad arretrare il porticato e rigettava la riconvenzionale, decisione appellata dal T. , ma confermata dalla Corte di appello di Torino, con sentenza 859 del 24.5.2006, che richiamava i documenti e le prove testimoniali sull'esistenza del passaggio, la ctu sul mancato rispetto delle distanze legali per il porticato, deduceva la novità della domanda di accertamento di comunione del cortile, la mancata prova del consenso a partecipare alle spese del cancello. Ricorre T. con quattro motivi, e relativi quesiti, non resistono le controparti. Motivi della decisione Col primo motivo si denunziano violazione degli artt. 1079, 2697, 1058, 1350 cc, 112 e 360 numero 3 cpc, vizi di motivazione sulla asserita servitù di passaggio col quesito se debba essere prodotto il titolo. Col secondo motivo si lamentano violazione degli artt. 1988, 2730, 2733 cc e vizi di motivazione col quesito sul valore confessorio di una dichiarazione e sulla specialità della norma dell'art. 1988 cc. Col terzo motivo si lamentano violazione dell'art. 873 cc e vizi di motivazione sulle distanze legali, col quesito se nel caso di fondi separati da un fondo edificato di proprietà comune o appartenente a terzi debbano essere rispettate le distanze ex art. 873 cc. Col quarto motivo si lamentano gli stessi vizi col quesito se si debba tenere conto delle sporgenze. La prima censura merita accoglimento. Non avendo gli attori dedotto un acquisto a titolo originario usucapione o destinazione del padre di famiglia non bastavano la situazione di fatto e le testimonianze a provare la sussistenza del diritto reale. Trattavasi di azione ex art. 1079 cc, confessoria servitutis, e sarebbe stato necessario un titolo derivativo ad substantiam proveniente dal proprietario del fondo preteso servente o da suo dante causa, mentre quello invocato era relativo all'acquisto dell'immobile stipulato con un venditore diverso dal T. o da suoi danti causa. Poiché i modi di costituzione delle servitù prediali sono tipici, il riconoscimento da parte di un proprietario di un fondo della fondatezza dell'altrui pretesa circa la sussistenza di una servitù mai costituita è irrilevante ove non si concreti in un negozio idoneo a far sorgere per volontà degli interessati la servitù stessa. Del pari la pretesa confessione circa l'esistenza della servitù è inidonea alla costituzione Cass. 25.11.1992 numero 12551 . L'atto ricognitivo unilaterale di servitù, previsto con efficacia costitutiva dall'art. 634 cc abrogato, non è contemplato dal codice vigente, né vale a determinare quella presunzione di esistenza del diritto ricollegata alla ricognizione del debito dall'art. 1988 cc, essendo questa norma inapplicabile ai diritti reali né lo stesso può configurare un atto di ricognizione con gli effetti di cui all'art. 2720 cc in ipotesi di preteso acquisto della servitù per usucapione o in alternativa per destinazione del padre di famiglia, giacché in tali casi fa difetto il titolo costituito dal documento precedente di cui si prova l'esistenza ed il contenuto mediante il riconoscimento Cass. 24.8.1990 numero 8660 ed, in senso conforme, Cass.numero 4353/1998 . Il secondo motivo è assorbito dall'accoglimento del primo. Il terzo ed il quarto motivo propongono un inammissibile riesame del merito che si concreta in tardivi rilievi alla ctu con ipotesi alternative e senza specifici riferimenti allo stato dei luoghi, anche in relazione alla dichiarata novità della richiesta di accertamento di comunione del cortile. In ogni caso, mentre rientrano nella categoria degli sporti, non computabili ai fini delle distanze legali, gli elementi con funzione meramente ornamentale, costituiscono corpi di fabbrica le sporgenze aventi particolari proporzioni Cass. 22.7.2010 numero 17242 . In relazione, poi, ai dedotti vizi di motivazione, comuni a tutti i motivi, alla cassazione della sentenza si può pervenire quando la statuizione sia incompleta, incoerente ed illogica e non quando il giudice del merito abbia valutato i fatti in modo difforme dalle aspettative e dalle deduzioni di parte Cass. 14 febbraio 2003 numero 2222 . In definitiva, il ricorso va accolto il primo motivo, con assorbimento del secondo e rigetto del terzo e del quarto, con cassazione e rinvio in relazione al motivo accolto. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo, rigetta il terzo ed il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, per nuovo esame e per le spese, alla Corte di appello di Torino, altra sezione.