Ingerenza del terzo sui beni comuni ed indennizzo: conta il possesso di buona fede

Deve considerarsi bene comune anche il sottosuolo del condominio, in quanto rientrano tra la nozione di bene comune non solo quei beni espressamente indicati nell’art. 1117 c.c. ma anche tutti quei beni assimilabili a quelli espressamente indicati, in relazione alla loro destinazione al comune gradimento o al servizio della proprietà esclusiva.

Dalla qualifica di beni comuni per i beni su cui è avvenuta l’ingerenza del terzo non deriva necessariamente l’applicazione dell’art. 936 c.c., dovendosi piuttosto valutare se il terzo in qualità di possessore in buona fede possa comunque pretendere un’indennità pari all’aumento di valore del bene ai sensi dell’art. 1150, comma 5, c.c. Addizioni fatte nel sottosuolo del condominio e acquisto per accessione. L’originario unico proprietario costruttore del complesso condominiale, dopo il trasferimento delle singole unità immobiliari, costruiva nel sottosuolo condominiale dei box per autoveicoli, alienandoli in un secondo momento ad un terzo. Terminati i lavori da parte del terzo, i singoli condomini chiedono l’accertamento della proprietà condominiale delle nuove costruzioni sul presupposto che – mancando un titolo che disponesse in senso contrario – l’intervento ad opera del costruttore era avvenuto sui beni comuni e che quindi le addizioni dovessero afferire al condominio per accessione. La nozione di bene comune. La prima questione da cui passa la soluzione del caso posto all’attenzione del giudicante riguarda l’individuazione dei beni comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c. ed in particolare se tra questi possa rientrarvi o meno l’intercapedine esistente tra i pilastri dell’edificio ed il sottosuolo ed il terreno adiacente ai pilastri stessi. Sul punto la pronuncia in esame, confermando l’assunto del giudice di secondo grado, afferma che devono considerarsi come beni comuni non solo quelli espressamente indicati nell’arti 1117 c.c. ma anche tutti quei beni che sono a questi assimilabili per essere funzionali al comune godimento o al servizio della proprietà esclusiva. Tra i beni presuntivamente comuni ai proprietari delle singole unità immobiliari che costituiscono il condominio la giurisprudenza di legittimità vi comprende quindi l’intercapedine esistente tra le fondamenta ed il sottosuolo del condominio, da considerarsi quindi bene comune ai condomini in forza della presunzione legale di proprietà comune e della mancanza di un titolo contrario, con la conseguenza che la proprietà delle costruzioni poste in essere da un terzo è da attribuire al condominio. L’indennizzo in favore del terzo possessore . La seconda questione analizzata riguarda la possibilità di riconoscere al terzo che interviene sulla proprietà altrui l’indennità per i miglioramenti ai sensi dell’art. 1150, comma 5, c.c. o, diversamente, se questo possa pretendere – quale terzo edificatore di opere su proprietà altrui con materiali propri – il mero rimborso dei materiali e del prezzo della manodopera, fatta salva la scelta del proprietario del fondo di corrispondere al terzo una somma pari all’aumento di valore recato al fondo ai sensi dell’art. 936, comma 2, c.c La Corte chiarisce che la qualifica di bene comune del fondo su cui ha operato il terzo non esclude automaticamente che questo possa qualificarsi come possessore in buona fede, dovendosi piuttosto accertare in concreto tale qualifica al fine di applicare il disposto dell’art. 1150 c.c. in luogo dell’art. 936 c.c. La Corte ha quindi fatto applicazione del principio secondo cui qualora le addizioni sul bene altrui siano state poste in essere dal possessore in buona fede a questo spetterà un’indennità nella misura dell’aumento di valore conseguito dalla cosa, restando esclusa la facoltà riconosciuta dall’art. 936 c.c. al proprietario di scegliere tra il pagamento dell’incremento di valore della cosa e l’eventuale minore importo rappresentato dal valore dei materiali e dal prezzo della manodopera.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 giugno 2012 - 16 gennaio 2013, n. 946 Presidente Felicetti – Relatore San Giorgio Svolgimento del processo 1. - Con atto di citazione in data 17 novembre 1988, S.C. e gli altri condomini del Condominio di omissis convennero in giudizio la Alpedil s.r.l. e la Scavedil Beton s.r.l. innanzi al Tribunale di Brescia, esponendo che nessuno degli atti di compravendita del 1981 con i quali l'originario unico proprietario costruttore del complesso immobiliare Alpedil s.r.l. aveva trasferito le singole unità immobiliari conteneva riserve di proprietà a favore del venditore che successivamente all'ultimo trasferimento Alpedil aveva tuttavia costruito un secondo piano interrato, utilizzando il sottosuolo condominiale, e ricavando cinque nuovi box per autoveicoli che tale porzione di fabbrica, accatastata separatamente con un numero di mappale successivo a quelli che identificavano le unità condominiali, era stata oggetto di vendita alla Scavedil Beton s.r.l., trascritta in data posteriore agli atti di acquisto dei singoli appartamenti. Gli attori chiesero pertanto che fosse accertata la proprietà condominiale del secondo piano interrato in forza di accessione e l'inefficacia del contratto di compravendita tra Alpedil e Scavedil, con condanna di quest'ultima al rilascio del bene. 2. - L'adito Tribunale accolse la domanda dei condomini, previo rimborso di Euro 20.000,00 a norma dell'art. 936 cod.civ. quale valore dei materiali e prezzo della manodopera, trattandosi di opere di un terzo nel fondo altrui. Il giudice di primo grado fece applicazione della presunzione prevista dall'art. 1117 cod.civ. escludendo che il possesso della precedente intercapedine, comunque senza titolo, comportasse effetti favorevoli per il precedente proprietario. Avverso tale sentenza proposero gravame Alpedil e Scavedil. 3. - Con sentenza depositata il 16 dicembre 2005, la Corte d'appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza impugnata, liquidò il credito indennitario di Alpedil s.r.l. nei confronti dei condomini appellati in Euro 18.964,68, condannando costoro al relativo pagamento, oltre agli interessi. Il giudice di secondo grado ritenne infondato il motivo di appello secondo il quale erroneamente la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare che, come verificato dal c.t.u., non era stato scavato il suolo comune per ricavare un altro vano, ma era stata solo realizzata la chiusura del vano libero a mezza costa con muri di tamponamento, con la conseguenza che la presunzione di cui all'art. 1117 cod.civ. non avrebbe potuto operare, trattandosi di vano di uso esclusivo e non obiettivamente destinato al godimento comune. A.1 riguardo, la Corte osservò che proprio dalla c.t.u. era emerso che Alpedil aveva scavato nel sottosuolo condominiale inteso nel senso di fondazioni del fabbricato, comuni a norma dell'art. 1117 cod.civ., in difetto di titolo in senso contrario, mentre quello che gli appellanti avevano qualificato impropriamente come vano libero era la parte esterna di pilastri di fondazione che fuoriuscivano a causa del naturale declivio del colle, ossia della scarpata sulla quale l'immobile era stato eretto. Da tali considerazioni la Corte di merito desunse altresì la infondatezza del motivo di appello con il quale si era censurata la omessa applicazione dell'art. 1150 cod.civ. in luogo dell'art. 936 cod.civ. in base al rilievo che gli appellanti erano possessori del fondo e che le opere compiute costituivano addizioni e miglioramenti del fondo. Osservò in proposito il giudice di secondo grado che non si trattava di recuperare un bene di cui si fosse ceduto o perduto il possesso, non avendo mai il condominio perso il possesso del suolo e delle fondazioni del palazzo, ma di verificare i presupposti di fatto per l'accessione quale modo di acquisto della proprietà di una entità non esistente prima in natura, costituita dai box ricavati nelle fondazioni, e di applicare la relativa disciplina. Infondato fu anche ritenuto il motivo dell'appello incidentale dei condomini, secondo il quale il Tribunale avrebbe determinato la somma da corrispondere ad Alpedil comprendendovi anche il profitto di impresa, escluso dall'art. 936 cod. civ. Doveva, pertanto, essere seguita la valutazione operata dalla prima consulenza, come aveva fatto il Tribunale, e confermato il costo dei lavori in lire 16.000.000. Trattandosi di debito di valore, era dovuta la rivalutazione, e, poiché erano stati chiesti anche gli interessi, tale domanda doveva essere accolta fu infatti ritenuta infondata la eccezione dei condomini secondo cui il mantenuto godimento dei box avrebbe escluso il diritto agli interessi, posto che l'art. 1499 cod.civ. in tema di compravendita non è applicabile in tema di accessione invertita. Gli interessi non potevano che decorrere dalla domanda, ossia dal deposito della comparsa di risposta di primo grado. Essi, in relazione agli effetti del fenomeno inflattivo sulla somma capitale, andavano computati sul capitale di sedici milioni di lire rivalutato al 30 gennaio 1989 e poi di seguito di anno in anno fino all'effettivo soddisfo, secondo gli indici Istat. La eccezione riconvenzionale di compensazione tra il credito indennitario e quello derivante ai condomini dal mancato godimento dei box fu rigettata osservandosi che il proprietario del fondo che è decaduto dallo ius tollendi o che preferisce ritenere la costruzione fatta dal terzo non ha diritto al risarcimento del danno, e, dunque, nemmeno al risarcimento da mancato tempestivo godimento della costruzione acquistata. 4. - Per la cassazione di tale sentenza ricorrono la società Alpedil Immobiliare s.r.l. e la società Scavedil Beton s.r.l. affidandosi a tre motivi. Resistono i condomini, che propongono altresì ricorso incidentale. Motivi della decisione 1. - Deve, preliminarmente, procedersi, ex art. 335 cod.proc.civ., alla riunione del ricorso principale e di quello incidentale siccome proposti nei confronti della medesima sentenza. 2. - Con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione delle norme di legge, per avere la Corte distrettuale definito impropria la qualificazione di vano libero data alla parte sottostante il pavimento più basso del condominio. In tal modo, il giudice di secondo grado avrebbe errato nella individuazione dei beni comuni di cui all'art. 1117 cod.civ., ricomprendendo lo spazio in cui era stato ricavato il secondo seminterrato del condominio fra le parti comuni, senza considerare lo stato dei luoghi quale descritto nella c.t.u., né la ripartizione delle spese secondo la tabella millesimale, che prevedeva la partecipazione alle stesse da parte della Alpedil, né la conformità del manufatto alla concessione edilizia. Secondo le ricorrenti, il volume del manufatto in questione sarebbe stato naturalmente sottratto alla comunione, non essendo al servizio comune in quanto del tutto aperto e destinato a finalità esclusive di Alpedil. 3. - La doglianza è immeritevole di accoglimento. 3.1. - Nella specie, infatti, correttamente la Corte di merito ha applicato la presunzione prevista dall'art. 1117 cod.civ. con riguardo alla intercapedine tra pilastri e terreno adiacente. In realtà, salvo che il titolo contrattuale non disponga diversamente, devono considerarsi beni comuni anche tutte quelli assimilabili alle parti espressamente indicate nella richiamata disposizione codicistica in relazione alla destinazione al comune godimento o al servizio della proprietà esclusiva. 3.2. - Ebbene, nella sentenza impugnata il giudice di secondo grado ha fornito articolata ed ampia motivazione delle ragioni sulle quali ha fondato il proprio convincimento circa detta destinazione della intercapedine di cui si tratta, osservando che essa non aveva alcuna autonomia funzionale o strutturale rispetto alle fondazioni stesse, che nella conformazione del fabbricato non si esaurivano nella porzione interamente sotterrata del pilastro, ma dovevano necessariamente comprendere anche quella parte che fuoriusciva a causa dell'andamento del terreno e che, pertanto, allargare l'intercapedine, svuotare gli spazi prima occupati dal terreno della scarpata sotto il palazzo e costruire muri di tamponamento tra un pilastro e l'altro equivaleva ad operare su beni da qualificare comuni non solo in forza di presunzione normativa, ma anche perché necessari alla esistenza stessa del condominio. Né è emersa la esistenza di alcun titolo che disponesse in senso contrario ad una siffatta prospettazione. 4. - Con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione delle norme di legge per avere la Corte territoriale affermato che la pretesa delle attuali ricorrenti di ottenere l'applicazione da parte del Tribunale di Brescia dell'art. 1150 cod.civ. non avrebbe potuto trovare accoglimento per il fatto che, per effetto della qualificazione dalla stessa Corte data al vano di cui si tratta, il costruttore non era possessore, bensì solo terzo edificatore di opere su proprietà altrui con materiali propri, laddove, secondo le ricorrenti, il possesso da parte di Alpedil prima e di Scavedil dopo sarebbe stato legittimato dalla circostanza che il condominio era stato eretto da Alpedil nel 1981, che era stata concessa dal Comune di Lumezzane per lo stesso condominio l'autorizzazione amministrativa alla esecuzione di cinque box, poi ceduti a Scavedil, e che le relative opere erano state eseguite senza che i condomini sollevassero rilievi. Ne discenderebbe la qualifica di Alpedil e, poi, di Scavedil di possessore di buona fede, e, quindi, avente diritto al rimborso delle spese sostenute per le riparazioni straordinarie e all'indennità per i miglioramenti. 5. - La doglianza è fondata nei termini che seguono. 5.1. - La circostanza che il condominio non avesse mai perduto il possesso del suolo e delle fondazioni del palazzo non escludeva un rapporto di fatto di Alpedil con essi, e, quindi, la qualifica della società come possessore rapporto la cui sussistenza effettivamente emerge, come rilevato nel ricorso, dall'avere la stessa, dopo aver eretto il fabbricato, proceduto alla esecuzione dei garages, a seguito di autorizzazione del Comune, in assenza di alcun rilievo da parte del condominio sino al momento della notifica dell'atto introduttivo del giudizio. 5.2.- A fronte di tali rilievi, La Corte territoriale non ha fornito una valida argomentazione giuridica del proprio convincimento in ordine alla esclusione della qualifica di possessore in capo alla Alpedil e poi alla Scavedil e della conseguente ritenuta applicabilità dell'art. 936 cod.civ., in luogo dell'art. 1150 cod.civ 6. - Con il terzo motivo si deduce omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione agli artt. 1150 o 936 cod.civ., in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, e cioè la contestazione dell'intervenuta richiesta di somma diversa e superiore rispetto a quella indicata dal c.t.u. e liquidata in primo grado. La parte appellante aveva invece richiesto una somma diversa da quella risultante dalla relazione del c.t.u., così sottoponendo a censura la liquidazione operata dal giudice di primo grado. 7. - La doglianza è fondata. 7.1. - Ha errato la Corte di merito nell'affermare che la stima della somma dovuta alle appellanti non era stata oggetto di censura, non essendo, pertanto, suscettibile di aumento in sede di gravame. In realtà, emerge dalle conclusioni dell'atto introduttivo del giudizio di secondo grado che le appellanti avevano chiesto, per il caso di accoglimento della domanda di parte appellata di accertamento della proprietà condominiale del secondo piano interrato in forza di accessione, che gli appellati venissero condannati con vincolo fra di loro solidale a corrispondere a parte convenuta l'indennità prevista dall'art. 1150 c.c. per i miglioramenti apportati al fondo e cioè in ispecie l'incremento di valore provocato con la trasformazione ed il rimborso di ogni altra correlativa spesa nell'entità di lire 150.000.000, ovvero di Euro 77.468,00 oltre rivalutazione dalla data della consulenza di parte fino alla data della decisione”. 7.2. - Tale richiesta non risulta all'evidenza in linea con le indicazioni provenienti dalla relazione depositata dal c.t.u., in base alla quale l'indennità dovuta alla costruttrice Alpedil sarebbe ammontata a lire 29.920,000 indicazioni poi recepite dai giudici di merito. 8. - Resta assorbito dall'accoglimento del ricorso principale in parte qua l'esame del ricorso incidentale, risultando correlati entrambi i motivi in cui esso si articola - il primo, avente ad oggetto l'asserita violazione e falsa applicazione dell'art. 1282 cod.civ. in merito alla disposta corresponsione degli interessi sul credito indennitario, ed il secondo, concernente la violazione dell'art. 1218 cod.civ. e la falsa applicazione dell'art. 936 cod.civ. sotto il profilo del mancato risarcimento del danno cagionato ai condomini dalla ritenzione del bene in questione da parte delle ricorrenti - alla qualifica della natura del credito vantato dalle ricorrenti ed alla relazione delle stesse con il bene in questione, quali individuate dalla sentenza impugnata. 9. - Conclusivamente, mentre deve essere rigettato il primo motivo del ricorso principale, ne devono essere accolti il secondo ed il terzo motivo, assorbito il ricorso incidentale. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, e la causa rinviata ad un diverso giudice - che viene designato in altra sezione della Corte d'appello di Brescia, cui è rimesso anche il regolamento delle spese del presente giudizio - che riesaminerà la controversia alla luce dei rilievi svolti sub 5.1. e 5.2. in ordine alla omessa applicazione, nella specie, dell'art. 1150 cod.civ., nonché a quelli svolti sub 7.1. e 7.2. in ordine alla somma liquidata dalla sentenza impugnata a titolo di indennità ex art. 936 cod.civ P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il primo motivo del ricorso principale, ne accoglie il secondo ed il terzo, assorbito il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d'appello di Brescia.