Niente servitù per destinazione del padre di famiglia se vi è volontà contraria alla divisione dei fondi

Un atto di divisione di un’unità immobiliare può contenere una volontà contraria al sorgere di una servitù per destinazione del padre di famiglia, ai sensi dell’art. 1062, comma 2, c.c., perché nell’interpretazione delle clausole ivi contenute occorre rispettare le regole di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e s.s. c.c. che, nel caso di specie, avevano escluso la servitù di passaggio in favore di un più limitato diritto d’uso della cosa ex art. 1021 c.c

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17269 del 10 ottobre 2012, affronta il tema della interpretazione del contratto. Questa volta lo affronta con riferimento ad un atto di divisione di una unità immobiliare al fine di accertare la costituzione per destinazione del padre di famiglia di una servitù di passaggio. Il quesito a cui sono chiamati a fornire risposta gli ermellini è il seguente può una clausola contrattuale contraria alla costituzione di detta servitù non far sorgere il relativo diritto reale di godimento a favore del fondo dominante? Com’è facilmente intuibile la risposta non può che rintracciarsi nei criteri ermeneutici codicistici dell’interpretazione del contratto e della comune volontà dei contraenti. Il fatto. Tre fratelli ed una madre ereditano un casolare nobiliare. Le unità immobiliari risultano divise con atto del 1989 ed uno dei fratelli conviene gli altri in giudizio in confessoria servitutis. In particolare, si discute sull’esistenza o meno di una servitù per destinazione del padre di famiglia trattasi di una servitù di passaggio da esercitarsi tramite un apposito scalone interno, incluso nelle proprietà di due fratelli, sulle quali la madre esercita il diritto di usufrutto. Nell’atto di divisione è così testualmente convenuto qualora il sig. o taluno dei suoi famigliari, avessero ad adibire a propria abitazione la suddetta unità immobiliare avranno il diritto di uso, così come regolato dagli artt. 1201 e ss. c.c., del suddetto scalone, in concorso ovviamente con i proprietari dello scalone medesimo . Quid iuris questa previsione contrattuale è incompatibile con la volontà di lasciare integra la situazione di fatto che, in forza di legge, avrebbe determinato la costituzione della predetta servitù? In primo ed in secondo grado la risposta fornita dai giudici di merito è negativa, nel senso che si sarebbe creata una servitù di passaggio ed anzi avrebbe comportato per il dominus un danno risarcibile nella misura del minor prezzo ricavabile dalla vendita a terzi peraltro già pattuita del proprio immobile. I due fratelli, tuttavia, non desistono e ricorrono per cassazione, sostenendo che con l’atto di divisione, che aveva frazionato l’originariamente unica proprietà, le parti avevano chiaramente manifestato una volontà contraria alla costituzione della servitù ex art. 1062 c.c., essendo il diritto d’uso di contenuto minore ed inconciliabile rispetto alla servitù. Va valorizzata la clausola sul diritto d’uso contenuta nell’atto di divisione. Nel ritenere fondato il ricorso, la Suprema Corte ribadisce che anche in questo caso occorre andare alla ricerca della comune intenzione dei contraenti in questo verso il principale strumento è rappresento dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto. Tutta la formulazione letterale contenuta nell’atto di divisione lascia protendere verso la negazione di un diritto di servitù, a tutto favore per il più limitato diritto d’uso dello scalone. Tanto più che la clausola in questione era direttamente ed espressamente volta a regolare proprio l’utilizzazione del prestigioso scalone, ossia il locus per cui v’è stata causa. In questo nuovo contesto, ovvia conseguenza, è che a nessun risarcimento del danno per mancato guadagno possono essere condannati i ricorrenti essendo stato il loro comportamento pienamente legittimo. Concludendo. Come noto, per la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia la disciplina codicistica art. 1062 c.c. presuppone che il proprietario di due fondi o due porzioni dello stesso fondo ponga gli stessi in una situazione di subordinazione dell' uno rispetto all'altro che risultino segni visibili concretantisi in opere permanenti necessarie per l'esercizio di una servitù e rivelatrici della sua esistenza, e che manchi all'atto della separazione degli stessi una manifestazione di volontà tale da escludere la preesistente relazione di sottoposizione di un fondo all'altro cfr. ex multis Trib. Pordenone, 29 agosto 2011, n. 733 Trib. Nola, 23 febbraio 2012 Cass. Civ., 20 luglio 2009, n. 16842 . Ne consegue che non può ritenersi sufficiente, al riguardo, l'esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo, quando le parti, come nel caso di specie, abbiano pattiziamente regolato, in sede di divisione dei fondi, il passaggio secondo il più limitato diritto d’uso così come regolato dagli art. 1021 e s.s. c.c Ed infatti è insegnamento paradigmatico della Suprema Corte quello secondo cui, la disposizione relativa alla servitù che ai sensi dell'art. 1062, comma 2, c.c. impedisce lo stabilirsi della servitù nonostante lo stato di fatto preesistente, non è mai desumibile da facta concludentia , ma deve fondarsi o in una clausola in cui si conviene espressamente di volere escludere il sorgere della servitù corrispondente alla situazione di fatto esistente tra i due fondi e determinata dal comportamento del comune proprietario, o in una qualsiasi clausola il cui contenuto sia incompatibile con la volontà di lasciare integra e immutata la situazione di fatto che, in forza della legge, determinerebbe il sorgere della corrispondente servitù cfr. in tal senso Cass. Civ., 20 giugno 2011, n. 13534 .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 13 giugno - 10 ottobre 2012, numero 17269 Presidente Piccialli – Relatore Manna Svolgimento del processo G M.C. , proprietario e per la quota di 1/3 nudo proprietario , in virtù di atto di divisione del 2.12.1989, di un'unità immobiliare facente parte di un più ampio fabbricato posto in Bologna, agiva in confessoria servitutis, innanzi al locale Tribunale, nei confronti dei fratelli S. e M. e della madre, E M.T. , al fine di accertare la costituzione per destinazione del padre di famiglia di una servitù di passaggio da esercitarsi tramite un apposito scalone interno, incluso nelle proprietà dei fratelli, titolari delle restanti porzioni immobiliari del medesimo fabbricato, sulle quali la madre esercitava il diritto di usufrutto. Domandava, altresì, la condanna dei convenuti al risarcimento del danno per il minor prezzo ricavabile dalla vendita del proprio immobile. I convenuti M.C.S. e M. resistevano alla domanda, eccependo, tra l'altro, la prescrizione della dedotta servitù. E M.T. non si costituiva. Il Tribunale accoglieva la domanda e, dichiarata l'esistenza della servitù, condannava i convenuti al risarcimento dei danni, che quantificava in Euro 413.165,52, pari alla differenza tra il prezzo di vendita dell'immobile di proprietà attorea e quello che, convenzionalmente, lo stesso attore avrebbe spuntato dall'acquirente ove l'esistenza della servitù in oggetto fosse stata accertata entro un dato termine. L'appello proposto da M.C.S. e M. era respinto dalla Corte d'appello di Bologna. La Corte bolognese, premesso che parte appellante non aveva articolato specifici motivi di gravame, per cui l'impugnazione appariva carente sotto il profilo dell'articolo 342 c.p.c., rilevava, nel merito, che, oggettivamente non controvertibili le condizioni per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, la principale questione tra le parti consisteva nell'accertare se con l'atto di divisione che aveva frazionato l'originariamente unica proprietà, le parti avessero, come sostenevano i convenuti, manifestato una volontà contraria alla costituzione della servitù ex articolo 1062 c.c. Osservava, quindi, che la fondatezza di tale ipotesi non era riscontrabile nella previsione convenzionale di un'ulteriore e diversa possibilità di passaggio per accedere alla proprietà dell'attore. Quanto ai danni, la Corte territoriale riteneva che la possibilità di accedere all'immobile anche attraverso il prestigioso scalone nobiliare incideva in maniera apprezzabile sul valore del fondo dominante, e che la contestazione del relativo diritto di servitù, da parte dei convenuti, aveva generato una situazione di oggetti va incertezza che aveva indotto le parti del contratto di vendita 14.5.1997 del fondo di proprietà di M.C.G. a pattuire un'apposita clausola in base alla quale la frazione di lire 800.000.000 del prezzo complessivo, pari a lire 3.750.000.000, sarebbe stata corrisposta al venditore solo se l'esistenza della servitù in questione fosse sima accertata entro il 17.5.1998. Ciò non essendosi verificato, i convenuti dovevano ritenersi responsabili del mancato guadagno. M.C.S. e M. propongono avverso detta sentenza ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resiste con controricorso G M.C. , il quale propone altresì ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi, successivamente illustrati da memoria. I ricorrenti resistono con controricorso al ricorso incidentale. Motivi della decisione 1. - Preliminarmente va esclusa la necessità, prospettata nella memoria ex articolo 378 c.p.c. di parte controricorrente, d'integrare il contraddittorio nei confronti di Z.M.E. , non intimata benché parte in entrambi i giudizi di merito. Premesso che Fazione proposta da M.C.G.C. deve qualificarsi come confessoria servitutis, essendo volta all'accertamento positivo di un diritto limitato in re aliena, va osservato che è fermo orientamento di questa Corte che l'actio confessoria o l’actio negatoria servitutis diretta - nell'ipotesi che il fondo dominante o quello servente o entrambi appartengano pro indiviso a più proprietari - soltanto a far dichiarare, nei confronti di chi ne contesti o ne impedisca l'esercizio, l'esistenza della servitù o a conseguire la cessazione delle molestie, non da luogo a litisconsorzio necessario, né dal lato attivo né da quello passivo. Solo qualora sia domandato anche un mutamento dello stato di fatto dei luoghi, mediante la demolizione di manufatti o di costruzioni, che incida su di un rapporto inscindibilmente comune a più soggetti, l'azione deve essere esperita nei confronti di tutti i proprietari, giacché solo in tal caso la sentenza, ove non avesse efficacia nei confronti di tutti, risulterebbe ineseguibile e, pertanto, inutiliter data cfr. ex pluribus, Cass. nnumero 8261/02, 3156/96 i 632/96 e 1214/86 . Altrettanto paradigmatico nella sua costanza è l'indirizzo che qualifica scindibile la causa di risarcimento del danno s'intende, per equivalente monetario proposta nei confronti di più soggetti, in solido fra loro cfr. tra le tantissime, Cass. nnumero 10042/06, 8105/06 e 8105/06 , principio che subisce eccezione solo nel caso in cui l'accertamento della responsabilità di uno dei condebitori presupponga necessariamente quello della responsabilità degli altri cfr. Cass. nnumero 1771/12, 16391/09 e 21132/07 . 1.1. - Nella fattispecie non risulta essere stata proposta alcuna domanda accessoria implicante una modifica materiale dello stato del fondo che si sostiene servente, mentre la richiesta di condanna dei convenuti al risarcimento del danno per la mera contestazione del diritto azionato non implica nessun nesso di interdipendenza interna fra le posizioni dei debitori, l'uno potendo risultare responsabile, in ipotesi, indipendentemente dall'altro. 2. - Sempre in limine va respinta l'eccezione d'inammissibilità del ricorso incidentale, sollevata da parte ricorrente assumendo il difetto di procura speciale a proporre oltre al controricorso, anche l'impugnazione. Dall'esame della separata procura speciale in atti, autenticata dal notaio Moruzzi il 4.4.2011 emerge che il mandato professionale agli avvocati Natalino Irti e Gianni Scagliarmi è stato conferito con ogni più ampio potere e facoltà ivi compresa quella di proporre e accettare rinuncia agli atti, di farsi sostituire . . La latitudine dell'incarico, tale da includere anche ipotesi recessive per la parte patrocinata, come la rinuncia agli atti del giudizio, non lascia adito a dubbi di sorta circa la volontà del dominus di rimettere alla valutazione dei suoi difensori ogni deliberazione sulla strategia difensiva da seguire, e non può, dunque, non comprendere la facoltà di proporre ricorso incidentale per di più soltanto condizionato per meglio resistere all'iniziativa processuale della parte avversa. 4. - Col primo motivo d'impugnazione i ricorrenti deducono l'omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'articolo 360, numero 5 c.p.c Sostengono di non aver mai contestato che sotto un profilo strettamente fattuale lo stato dei luoghi conseguente all'atto di divisione 2.12.1989 fosse consentaneo alla costituzione di una servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia, esercitabile tramite lo scalone interno dell'edificio, ma aggiungono di aver sempre eccepito, agli effetti dell'articolo 1062, comma 2 c.c., che con tale atto i condividenti avevano manifestato una volontà contraria alla costituzione di detta servitù, laddove avevano convenuto che G M.C. o taluno dei suoi famigliari, qualora avessero adibito a propria abitazione l'unità immobiliare assegnata a quest'ultimo, avrebbero avuto il diritto d'uso, così come regolato dagli articolo 1021 e ss. c.c., del suddetto scalone, in concorso, ovviamente, con i proprietari di esso. Precisano, quindi, che nell'atto d'appello essi avevano, in aggiunta, sostenuto che l'esistenza di una volontà contraria alla costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia, si evinceva anche dall'ulteriore previsione contrattuale con cui, identificata la porzione immobiliare assegnata a G M.C. , le parti ne avevano descritto la possibilità d'accesso oltre che dalla via OMISSIS , anche dalla via XXXXXXXX, attraverso il cortile, il porticato ed il ballatoio distinti con il mappale 54. Vi è, però, proseguono i ricorrenti, che nel rigettare l'impugnazione la Corte d'appello si è limitata ad esaminare unicamente quest'ultima previsione contrattuale, omettendo, così, di valutare la prima, avente ad oggetto un fatto, controverso e decisivo, il cui accertamento avrebbe condotto ad una decisione diversa, perché evidenzia la contrarietà dei condividenti alla costituzione di una servitù di passaggio, essendo il diritto d'uso di contenuto minore rispetto alla servitù. 5. - Il secondo motivo denuncia la violazione degli articolo 1362 e 1363 c.c., in relazione ai nnumero 3, 4 e 5 dell'articolo 360 c.p.c La Corte d'appello, chiamata ad accertare l'esistenza o non nell'atto di divisione di una volontà contraria al sorgere di una servitù per destinazione del padre di famiglia, ai sensi dell'articolo 1062, comma 2 c.p.c., ha violato le regole di ermeneutica contrattuale di cui agli articolo 1362 e ss c.c. perché non ha preso in considerazione tutte le clausole e non le ha interpretate le une per mezzo delle altre, ma ha mancato di esaminare la anzi detta, fondamentale clausola. 6. - Con il terzo motivo parte ricorrente deduce la violazione degli articolo 1223, 1225, 1027, 1062, 1079 e 2056. La Corte territoriale, si sostiene, ha erroneamente giudicato la situazione d'incertezza determinata dalla mera contestazione della servitù come fatto idoneo a incidere sul valore oggettivo dell'immobile stesso, così stabilendo una corrispondenza assolutamente erronea ed arbitraria, non potendosi equiparare la semplice contestazione all'effettiva inesistenza della servitù. Quest'ultima, al pari di ogni diritto reale, si distingue per il requisito di assolutezza, che spiega il perché la sua esistenza non è in alcun modo condizionata dal suo riconoscimento o dalla sua contestazione ad opera di terzi. Inoltre, il diritto di sequela, facendo sì che la servitù continui a gravare sul fondo servente nonostante il trasferimento della proprietà di questo, dimostra che, nella specie, non vi è alcuna relazione diretta tra il minor prezzo realizzato da G M.C. nel vendere il proprio immobile e la contestazione della servitù ad opera degli odierni ricorrenti, perché tale contestazione non avrebbe potuto in alcun modo influenzare il valore oggettivo del bene, legato soltanto all'accertamento dell'esistenza o meno della servitù. Il diritto di servitù, prosegue parte ricorrente, non aveva alcuna necessità di essere riconosciuto dai convenuti entro la data del 14.5.1998, secondo quanto previsto nel contratto di vendita del fondo di proprietà dell'attore, anche perché il suo mancato riconoscimento non era idoneo a determinare quel minor valore del bene per il quale era stata trattenuta la somma di lire 800.000.000 corrispondente alla diminuzione di prezzo. La statuizione di condanna al risarcimento del danno è, sostengono i ricorrenti, del tutto illegittima, perché la causazione dell'asserito danno non è stata conseguenza immediata e diretta del comportamento tenuto dai convenuti, secondo quanto espressamente previsto anche dall'articolo 1223 c.c., posto che la situazione d'incertezza in ordine all'esistenza o meno del diritto di servitù non poteva condurre ad alcuna limitazione del valore del fondo preteso dominante. Infine, i ricorrenti osservano che l'attore ben avrebbe potuto condizionare la corresponsione di tale importo da parte dell'acquirente all'esito della sentenza di accertamento o meno di tale diritto, per il quale egli sin dal 29.1.1997 e cioè da epoca anteriore alla vendita aveva instaurato la presente lite. 7. - Il primo motivo di ricorso incidentale condizionato. Enuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 132, 156, 2 comma, e 342 c.p.c., nonché la nullità della sentenza, in relazione, rispettivamente, ai nnumero 3 e 4 del primo comma dell'articolo 360 c.p.c Sostiene parte controricorrente che la sentenza d'appello, nonostante abbia rilevato la mancata osservanza da parte appellante dell'articolo 342 c.p.c., non ha ne ha poi tratto la dovuta conclusione, ossia l'inammissibilità del gravame, limitandosi a rigettarlo. Ciò si risolve in un contrasto fra motivazione e dispositivo che, non essendo sanabile, determina la nullità della sentenza impugnata. 8. - Con il secondo motivo è dedotta l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione al numero 5 del primo comma dell’articolo 360 c.p.c Richiamandosi a Cass. numero 7173/92, che a sua volta richiama Cass. nnumero 1090/71 e 39/52, parte controricorrente sostiene che la ridetta contraddittorietà fra motivazione e dispositivo può generare anche il diverso vizio di cui al numero 5 dell'articolo 360 c.p.c., in considerazione del fatto che una motivazione contrastante col dispositivo rende quest'ultimo privo di ogni giustificazione, coincidendo in sostanza con l'ipotesi di motivazione omessa. 9. - Nelle sue conclusioni il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso principale in quanto privo di censura in ordine ad una delle due rationes decidendi della sentenza impugnata, basata, oltre che su considerazioni di merito, anche sull'inammissibilità dell'appello per carente articolazione di motivi specifici di censura, ai sensi dell'articolo 342 c.p.c 10. - Benché condizionato, il ricorso incidentale va esaminato con priorità e congiuntamente alla collegata questione d'inammissibilità del ricorso principale. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, anche alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo cui fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d'ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita ove quest'ultima sia possibile da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell'attualità dell'interesse, sussistente unicamente nell'ipotesi della fondatezza del ricorso principale v. Cass. S.U. numero 5456/09 . 10.1. - Né il ricorso incidentale, né le conclusioni del Procuratore generale possono accogliersi. 10.1.1. - Richiamata la nota giurisprudenza di questo S.C. secondo cui ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l'omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l'autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l'annullamento della sentenza v. per tutte e da ultimo, Cass. numero 22753/11 , deve rilevarsi che l'autorità del giudicato è circoscritta oggettivamente in conformità alla funzione della pronunzia giudiziale, diretta a dirimere la lite nei limiti delle domande hinc et inde proposte, sicché ogni affermazione eccedente la necessità logico giuridica della decisione deve considerarsi un obiter dictum, come tale non vincolante Cass. nnumero numero 1815/12, 6088/01 e 9775/97 . Quest'ultimo consiste in un'affermazione di tipo parentetico non strettamente necessaria alla decisione e alla sua ratio, una mera aggiunta, cioè, che per la sua funzione di complemento non coessenziale all'architettura logica della sentenza, non possiede una propria autonomia fondante e non richiede, pertanto, di essere confutata nei motivi d'impugnazione. Infine, deve aggiungersi che lo stesso scopo del distinguo tra ratio decidendi e obiter dictum, funzionale, relativamente alle sentenze di merito, alla delimitazione di ciò che deve essere specificamente contestato con l'atto d'appello, richiede, per il principio di correttezza processuale alla cui applicazione neppure il giudice è estraneo, che le ragioni della decisione, anche se implicite, siano chiaramente percepibili e intelligibili, in modo da far intendere il rilievo che il giudice stesso ha collegato ad un'argomentazione piuttosto che ad un'altra. 10.1.2. - Nello specifico, la Corte territoriale, subito dopo l’incipit dell'infondatezza del gravame e della conseguente sua reiezione, si è limitata ad osservare Parte appellante non articola specifici motivi d'appello e, sotto questo profilo, l'impugnazione appare carente in riferimento al disposto di cui all'articolo 342 c.p.c. riprendendo, comunque, tutte le argomentazioni ed eccezioni già sviluppate nel corso del giudizio di primo grado . Segue il sintetico riepilogo delle ragioni per cui parte appellante aveva ritenuto erronea la decisione del Tribunale sia in ordine alla ricostruzione in fatto e in diritto del titolo costitutivo della servitù destinazione del padre di famiglia , sia in merito alla domanda risarcitoria, e, di poi, lo sviluppo motivazionale nel merito della controversia. Ciò posto, è da escludere che l'accenno iniziale alla carenza del requisito di specificità dei motivi d'appello costituisca autonoma ratio decidendi. La Corte d'appello ha semplicemente segnalato una questione pregiudiziale, ma alla prova della lettura del seguito della sentenza non l'ha né affrontata, né risolta, preferendo esaminare direttamente il merito. Si tratta, a ben vedere, di un mero obiter dictum non solo e non tanto per il segno grafico la parentesi, appunto con cui il richiamo all'articolo 342 c.p.c. si inserisce nella motivazione, ma anche e soprattutto per il carattere sostanzialmente perplesso dell'argomentare della Corte felsinea, attestato dall'uso non comprensibile della parola comunque in funzione apparentemente non avverbiale, ma di congiunzione avversativa tra due notazioni la mancata articolazione di motivi specifici e la ripresa di tutte le precedenti argomentazioni già sviluppate in primo grado che, altrimenti, tenderebbero semmai a sostenersi a vicenda. Estendendo - come deve estendersi - il discorso dalla dimensione grammaticale della frase alla comprensione del testo, va osservato poi che la successiva illustrazione dei motivi di gravame sia seguita non già da un giudizio di aspecificità e quindi d'inammissibilità, ma dalla loro confutazione nel merito. Ciò dimostra che i giudici di secondo grado non hanno attribuito alla questione un'importanza decisiva, e legittima il dubbio che, in realtà, essi abbiano ritenuto potenzialmente dotata di rilievo ai sensi dell'articolo 342 c.p.c. non la mancanza di critiche argomentate, ma la mera assenza - di per sé, invece, ininfluente - di una loro ordinata elencazione o intitolazione il che spiegherebbe come mai l'espressione sopra riportata evidenzi il difetto non tanto di motivi specifici, quanto della loro articolazione . 10.1.3. - Quanto sopra dimostra, ad un tempo, l'inesistenza di una ratio decidendi in rito e l'infondatezza della denunciata nullità della sentenza d'appello, non potendosi istituire un nesso di contraddittorietà tra obiter dictum e dispositivo. 10.1.4. - Non senza aggiungere, in ordine al secondo mezzo del ricorso incidentale, che il vizio di cui al numero 5 dell'articolo 360 c.p.c. non può avere ad oggetto neppure nella formulazione della norma ante D.Lgs. numero 40/06 una questione di rito, ma sempre e soltanto un fatto o un punto di fatto controverso e decisivo cfr. per tutte e da ultimo, Cass. S.U. numero 28054/08 , e tale non è, ad evidenza, la validità degli atti processuali. Ipotizzato un contrasto insanabile tra motivazione duplice, d'inammissibilità in rito e di rigetto nel merito, e dispositivo di solo rigetto, non sarebbe quest'ultimo a rimanere privo di giustificazione, ma la motivazione in termini d'inammissibilità a mancare di riscontro in dispositivo. 11.- Né, in effetti, i motivi d'appello peccavano di specificità, questione da esaminare sia perché implicita nei motivi del ricorso incidentale, sia perché, in ogni caso, oggetto di verifica anche d'ufficio, in sede di legittimità, una volta escluso come nella specie è escluso in base alle considerazioni svolte supra al p.10.1.2. che sul punto vi sia stata pronuncia da parte del giudice d'appello giurisprudenza costante di questa Corte cfr. per tutte e tra le più recenti, Cass. 15405/10 e 24047/09 . Dal contenuto del controricorso al ricorso incidentale si evince che gli appellanti avevano espressamente censurato la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto che l'attribuzione a G M.C. della comproprietà sulle porzioni di cui al subalterno 54 e dell'indicazione di esse come costituenti il percorso di accesso dalla via . alla proprietà attorea esclusiva, trovasse unica giustificazione nella necessità di riconoscere a quest'ultimo una servitù di passaggio sullo scalone, senza limitazioni temporali e senza altre condizioni. E tale soluzione essi hanno criticato specificamente e adeguatamente, lamentandone il difetto di adeguata motivazione e il contrasto con l'interpretazione dell'assetto dell'atto divisorio, in particolare lì dove le parti avevano espressamente convenuto che qualora il medesimo Sig. G M.C. o taluno dei suoi famigliari, avessero ad adibire a propria abitazione la suddetta unità immobiliare distinta dal mapp. 408 sub 24, avranno il diritto di uso, così come regolato dagli arti. 1201 e seguenti del c.c., del suddetto scalone, in concorso ovviamente con i proprie tari dello scalone medesimo . 12. - I primi due motivi del ricorso principale da esaminare congiuntamente per la comune inerenza alla medesima questione dell'esistenza di una volontà contraria alla costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, ai sensi dell'articolo 1062, comma 2 c.c. sono fondati. 12.1. - Com'è noto, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza Cass. nnumero 14973/06, 9368/06, 5473/06 e 10156/04 in particolare, il vizio di insufficienza è configurabile soltanto quando dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione cfr. Cass. nnumero 15264/07, 14084/07, 2272/07, 9233/06, 1014/06 e 15355/04 . E ancora, quanto al vizio di violazione dei canoni ermeneutici contrattuali, va richiamato l'orientamento, del pari costante, in base al quale in tema di interpretazione del contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto il rilievo da assegnare alla formulazione letterale deve essere verificato alla luce dell'intero contesto contrattuale, e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell'articolo 1363 c.c., e dovendosi intendere per senso letterale delle parole tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato v. ex pluribus, Cass. nnumero 9755/11, 4670/09, 18180/07, 4176/07 e 28479/05 . 12.1.1. Nello specifico, gli appellanti avevano basato la loro tesi difensiva, diretta ad affermare l'esistenza nell'atto di divisione 2.12.1989 di una volontà contraria alla costituzione della servitù per destinazione del padre1 di famiglia, essenzialmente su due circostanze di fatto. La prima costituita da ciò, che l'accesso alla porzione immobiliare ad uso ufficio assegnata a M.C.G. era stato espressamente previsto, oltre che dal numero 79 della via omissis , anche dall'entrata di via omissis , attraverso il cortile, il porticato ed il ballatoio distinti dal mapp. 54. La seconda consistente nella clausola secondo cui qualora il medesimo Sig. G M.C. o taluno dei suoi famigliari, avessero ad adibire a propria abitazione la suddetta unità immobiliare distinta dal mapp. 408 sub 24, avranno il diritto di uso, così come regolato dagli articolo 1201 e seguenti del c.c., del suddetto scalone, in concorso ovviamente con i proprie tari dello scalone medesimo . 12.1.2. - Orbene, la Corte bolognese, nonostante gli appellanti avessero specificamente censurato anche la mancata considerazione di quest'ultima clausola da parte del Tribunale, ha omesso qualsivoglia considerazione al riguardo, limitandosi a ribadire l'impostazione decisoria di primo grado, focalizzata esclusivamente sulla prima delle due circostanze anzi dette quella riguardante la previsione del passaggio da via omissis e da via . . E così ha osservato, concordemente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, che tale previsione, se valeva ad attribuire il diritto di passaggio per accedere alla porzione immobiliare assegnata a G M.C. anche per il tramite dell'ingresso di via omissis , del porticato, del cortile e del ballatoio, per poi transitare nella scala con accesso dal portone di via omissis , non valeva tuttavia ad escludere né esplicitamente, né implicitamente la servitù ex articolo 1062 c.c. nel percorso principale attraverso due rampe dello scalone di cui si discuteva in causa, trattandosi di clausola che, aggiungendo un'ulteriore possibilità d'accesso, non era incompatibile con la volontà di lasciare integra la situazione di fatto che, in forza di legge, avrebbe determinato la costituzione della predetta servitù. 12.1.3. - Dunque, nessuna considerazione, neppure implicita, la Corte territoriale ha operato in ordine alla seconda circostanza. Tale difetto a rende nel complesso insufficiente la motivazione su di un fatto - l'attitudine della clausola innanzi riportata a integrare gli estremi di un accordo contrario alla costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia - controverso e decisivo, ove si consideri che proprio tale clausola, non meno ed anzi ben più della prima, è direttamente ed espressamente volta a regolare proprio l'utilizzazione dello scalone, che a sua volta rappresenta lo specifico locus della servitù di cui si controverte in causa. In altri termini, la Corte d'appello non solo non ha motivato compiutamente, ma ha finito per tralasciare proprio la clausola il cui senso, nel contesto della valutazione complessiva dell'atto negoziale, potrebbe risultare risolutivo per il suo esplicito e immediato riferimento all'oggetto stesso della lite b viola l'articolo 1363 c.c. nella misura in cui risulta aver fatto dipendere la decisione dell'interpretazione di un'unica clausola, senza interrogarsi sul significato complessivo dell'atto e delle restanti clausole, tra cui, appunto, quella innanzi richiamata. 13. - L'accoglimento dei ridetti motivi assorbe l'esame del terzo, relativo alla dipendente statuizione risarcitoria. 14. - Conclusivamente, respinto il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti del ricorso principale, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna, che provvederà anche sulle spese di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso principale, assorbito il terzo, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna che provvederà anche sulle spese di cassazione.