Aree a parcheggio: se il C.T.U. commette un errore, il costruttore ne paga le conseguenze?

Il C.T.U., nel quantificare gli standard da adibire a parcheggio esclusivo dei condomini, deve tener conto non solo delle pretese di chi ha agito in giudizio, ma del pari diritto di tutti i condomini senza tralasciare le ragioni della società costruttrice che risulti essere ancora proprietaria di alcuni immobili.

Ancora una volta i riflettori si accendono su una vicenda che vede contrapporsi le ragioni dei condomini, sempre cronicamente assetati di spazi a parcheggio, con gli interessi economici dell’impresa di costruzione, che cerca di massimizzare i profitti con la vendita delle aree a parcheggio. Il problema trae origine, come di consueto, dall’interpretazione dell’art. 18 l. n. 765/1967. Norme urbanistiche in pillole. Dal punto di vista urbanistico, la superficie complessiva delle aree adibite al parcamento delle autovetture è essenzialmente disciplinata da due diverse disposizioni l’articolo sopra detto e il D.M. n. 1444/1968. La Legge 6 agosto 1967 n. 765, Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 ”, più comunemente conosciuta come legge ponte”, mira ad assicurare una dotazione minima di aree a parcheggio all’interno delle aree urbane. L’articolo 17 ha introdotto l'obbligo, a carico dei Comuni, di fissare in sede di redazione del P.R.G., il rapporto tra attività edificatoria e aree da destinare obbligatoriamente a parcheggio e verde attrezzato. Il successivo articolo 18, in un primo tempo, prevedeva che, per ogni 20 mc di immobili costruiti, fosse realizzato almeno 1 mq di superficie da adibire a parcheggio. Tale dotazione minima è stata successivamente letteralmente raddoppiata dall’art. 2, comma 2, della l. n. 122/1989 comunemente nota come Legge Tognoli” . La Legge n. 765/67, quindi, parametra la dotazione di parcheggi in funzione delle cubature realizzate più si costruisce, più saranno i posti auto disponibili. Il Decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, dal suo canto, nel determinare gli standard urbanistici minimi per le zone territoriali omogenee, prevede una dotazione minima di 2,5 mq di area da adibire a parcheggio per ogni abitante insediato. In questo caso l’ampiezza dei parcheggi viene determinata in relazione agli abitanti e, quindi, in funzione dei possibili fruitori delle aree a parcheggio. In altre parole, la dotazione complessiva delle superfici a parcheggio è costituita dalla somma delle aree realizzate ex art. 18 l. n. 765/1976 con le aree realizzate ai sensi del D.M. 1444/1968. Per ogni approfondimento sul tema si rimanda al volume I parcheggi. Urbanistica, norme tecniche, contratti ” edito dalla Giuffré I condomini più temerari attaccano l’impresa di costruzione. L’impresa di costruzione realizza un corpo di fabbrica come sappiamo la Legge n. 765/1967 prevede che il fabbricato sia dotato di una superficie a parcheggio ed il progetto, in ossequio alle disposizioni normative, individua le aree a parcheggio nel piano interrato dell’edificio. La società realizzatrice provvede alla vendita delle singole unità immobiliari ad uso abitativo. Non sappiamo se per una propria scelta o per assenza di domanda, rimane proprietaria dei locali a piano terra della superficie complessiva di circa 600 mq e dell’intero piano interrato. Quest’ultimo viene fatto oggetto di alcune opere e successivamente ceduto in locazione a terzi. Alcuni condomini, evidentemente esasperati per la mancanza di posti auto, citano in giudizio la società chiedendo il riconoscimento del proprio diritto di comproprietà pro indiviso” sull’area a parcheggio, la condanna dell’impresa all’eliminazione delle opere abusivamente realizzate che, di fatto, contrastavano con la destinazione d’uso, nonché la condanna della controparte al risarcimento dei danni per il mancato uso dell’area a parcheggio. Il parcheggio non rientrerebbe tra i beni comuni” dell’edificio. Questa, in linea di massima, la tesi difensiva dell’impresa realizzatrice. Secondo il costruttore le aree a parcheggio realizzate ex art. 18 della l. n. 765/1967, non rientrerebbero tra le parti comuni dell’edificio per cui, di conseguenza, la domanda con cui alcuni condomini chiedevano il riconoscimento del loro diritto di comproprietà pro indiviso” non poteva essere accolta. E non finisce qui! Il costruttore rappresenta che gli atti di compravendita delle singole unità immobiliari non contemplavano anche la proprietà dell’area destinata a parcheggio per cui quest’ultima, a buon diritto, rientrava tra le proprietà di uso esclusivo dell’impresa che, quindi, poteva disporne liberamente a proprio uso e consumo. In ogni caso, sarebbe dovuto il corrispettivo per il diritto d’uso. In via precauzionale, il costruttore, nell’eventualità in cui il giudice avesse accolto la tesi della parte attrice, chiedeva il riconoscimento, in proprio favore, di una somma a titolo di integrazione del prezzo. Tale somma, in sostanza, costituiva il corrispettivo per la cessione delle aree a parcheggio. Il Tribunale accoglie la tesi dei condomini. Non solo viene riconosciuto il diritto di comproprietà degli attori sull’intera area destinata a parcheggio ovvero su tutto il piano interrato ma la sentenza di primo grado si spinge anche oltre condannando la società convenuta alla eliminazione delle opere abusive che impedivano l’utilizzo delle aree come parcheggio delle autovetture. Le parti pareggiano” su aspetti secondari della vicenda veniva rigettata sia la domanda attrice relativa alla richiesta di risarcimento danni che la domanda riconvenzionale della società costruttrice relativa all’integrazione del corrispettivo. A dirla tutta la società costruttrice esce dallo scontro alquanto malconcia essendo costretta alla realizzazione delle opere di demolizione a propria cura e spesa nonché alla cessione, a titolo gratuito, dell’intero piano interrato costituente pur sempre una parte del proprio patrimonio aziendale. In altre parole il costruttore, in casi simili, considera l’azione intrapresa dagli acquirenti come un vero e proprio esproprio ai propri danni. Esiste il diritto d’uso ma occorre il corrispettivo. La Corte di Appello riforma, almeno parzialmente, la sentenza di primo grado e, in buona sostanza, fa propria quella che, per alcuni anni, è stata la tesi prevalente della giurisprudenza ai condomini spetta il diritto di uso sulle aree a parcheggio, mentre all’impresa di costruzioni compete una somma a titolo di corrispettivo per l’esercizio di tale diritto. La decisione ha il merito di tenere tutti scontenti in egual misura per cui la causa finisce sui banchi della Cassazione. I singoli proprietari non hanno alcun diritto pro indiviso” sulle aree a parcheggio. La seconda Sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14608/12, accoglie la tesi dell’impresa di costruzione e rinvia la causa alla Corte di Appello. Vediamo le basi della decisione. I condomini avevano chiesto il riconoscimento di un diritto di proprietà pro indiviso delle aree adibite a parcheggio realizzate ex art. 18 l. n. 765/1967. Tale pretesa era stata contestata dall’impresa di costruzioni che aveva disconosciuto l’esistenza di tale diritto di proprietà pro indiviso. Mentre il Tribunale si era limitato ad accogliere in pieno la domanda attrice, la Corte territoriale mutando orientamento, da un lato aveva riconosciuto, in favore degli attori, il semplice diritto di uso sulle c.d. aree a parcheggio e dall’altro, parallelamente, aveva riconosciuto al costruttore il diritto a percepire un compenso a titolo di corrispettivo per l’esercizio di tale diritto. Gli Ermellini, a questo punto, sottolineano la mancata coincidenza tra la domanda proposta degli attori in primo grado riconoscimento del diritto di proprietà pro indiviso” e la decisione del giudice di appello riconoscimento del diritto di uso che, quindi, viene censurata sotto questo profilo. Sbaglia il C.T.U. nell’individuare le aree a parcheggio. In realtà Piazza Cavour accoglie anche un’altra eccezione proposta dal costruttore su cui i giudici di merito avevano soprasseduto. Secondo il costruttore la sentenza faceva propria la consulenza del C.T.U. che, purtroppo, conteneva un errore di fondo. Il consulente tecnico, nell’attribuire ai condomini-attori l’intero piano interrato non aveva tenuto conto delle ragioni degli altri comproprietari che, quindi, sarebbero rimasti a bocca asciutta”. L’errore, a ben guardare, era duplice non solo il C.T.U. aveva omesso di prendere in considerazione le posizioni di quei condomini che non avevano preso parte al giudizio e che, eventualmente, avevano anche loro diritto al posto auto ma aveva tralasciato di considerare un ulteriore elemento. La stessa impresa di costruzioni, infatti, era proprietaria di alcuni locali a piano terra oltre 600 mq che rimanevano privi del relativo posto auto. In sostanza, cosa sarebbe accaduto, nel momento in cui l’impresa avesse voluto vendere tali immobili? Forse il diritto dei futuri acquirenti era degno di una tutela inferiore rispetto agli a chi aveva acquistato per primo e citato il costruttore-venditore in giudizio? Chiaramente il C.T.U. era scivolato sulla classica buccia di banana e la decisione del giudice di appello, limitandosi a fare propria la tesi del consulente tecnico, aveva recepito l’errore del consulente tecnico per la cui eliminazione era necessario rinviare la causa ad altra sezione della Corte di Appello. Non esiste litisconsorzio necessario tra i condomini. Nel caso in esame gli Ermellini affrontano anche un problema di ordine squisitamente processuale. Si tratta di rispondere ad un quesito che viene spesso trascurato tra i condomini che agiscono contro l’impresa costruttrice per far valere il riconoscimento del proprio diritto all’utilizzo delle aree a parcheggio esiste un litisconsorzio necessario? Secondo Piazza Cavour quella del litisconsorzio necessario non è una strada percorribile. Quali sarebbero le conseguenze? È presto detto. Ciascun comproprietario potrebbe far valere le proprie ragioni indipendentemente dalla eventuale partecipazione al giudizio degli altri condomini. Si tratterebbe, in ultima analisi, di un litisconsorzio facoltativo per cui, ferma restando l’identità delle questioni trattate, permane l’autonomia dei singoli rapporti giuridici facenti capo a ciascun comproprietario-condomino.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 28 giugno – 22 agosto 2012, n. 14608 Presidente Triola – Relatore Mazzacane Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 28-12-1987 AA,GP, GP, MD, DL, AG, AG, WZ, ST, RP, FA nella qualità di rappresentante dell’istituto, AR , AD, GN, AN ed OS , premesso di essere proprietari di unità immobiliari comprese nell’edificio sito in Messina, assumevano che la società costruttrice - P. s.n.c., pur avendo destinato a parcheggio nel progetto di costruzione approvato dalle autorità amministrative, in osservanza dell’art. 18 L. n. 765/1967, l’intero piano cantinato, aveva contestato non solo il rientro di tale area tra le parti comuni dell’edificio, e dunque il diritto di comproprietà ”pro indiviso” di essi condomini su di essa, ma anche il diritto dei condomini di utilizzarla a parcheggio in concreto la suddetta società aveva locato per uso diverso l’area in questione dapprima al C. I. e poi all’Università di . Tanto premesso, gli attori convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Messina la società P. e l’Università di chiedendo riconoscersi il diritto degli esponenti di comproprietà pro indiviso” sull’area in questione, condannarsi le convenute al rilascio in favore degli istanti dell’area previa eliminazione da parte della suddetta società delle opere abusivamente realizzate impeditive dell’uso a parcheggio, e condannarsi la società P. al risarcimento dei danni per il mancato uso dell’area. La società P. costituitasi in giudizio contestava le domande attrici rilevando la mancata previsione, negli atti di compravendita stipulati con gli attori, dell’area destinata a parcheggio, e dunque il mantenimento da parte della venditrice della proprietà su tale area e la legittimità della concessione della stessa per uso diverso in subordine ed in via riconvenzionale, in caso di riconoscimento di un diritto delle controparti sull’area in questione, chiedeva disporsi a loro carico, quale corrispettivo di tale diritto, il pagamento di una integrazione del prezzo di cui agli atti di compravendita. Intervenivano poi volontariamente in giudizio OA ed AA , anch’essi proprietari di unità immobiliari nell’edificio in questione, i quali aderivano alle domande attrici. Il Tribunale adito con sentenza del 24-10-2001 riconosceva il diritto di comproprietà degli attori e degli intervenuti sull’area destinata a parcheggio consistente nell’intero piano cantinato dell’edificio e, per l’effetto, condannava la società convenuta a rilasciare in favore degli attori e degli intervenuti detta area, previa eliminazione delle opere abusive in essa eseguite dalla medesima società, rigettava la domanda attrice di risarcimento danni e la domanda riconvenzionale della società P. di integrazione del prezzo. Proposto gravame da parte di quest’ultima società cui resistevano gli attori e gli intervenuti in primo grado proponendo altresì un appello incidentale, nella contumacia dell’Università di , la Corte di Appello di Messina con sentenza del 19-12-2005 ha accolto per quanto di ragione l’appello principale, ha rigettato l’appello incidentale e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermata nel resto, ha riconosciuto in favore degli attori e degli intervenuti in primo grado il diritto di uso sulle aree di parcheggio specificamente indicate nella relazione di CTU verso il corrispettivo per ciascuno degli attori e degli intervenuti in primo grado come determinato nella medesima relazione con l’indicato aggiornamento. Per la cassazione di tale sentenza e FA nella qualità di legale rappresentante dell’Istituto A. da un lato e la società P. dall’altro hanno proposto due ricorsi articolati rispettivamente in due ed in un unico motivo la società P. ha resistito al primo ricorso con controricorso formulando altresì un ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo, mentre l’A più altri suddetti condomini hanno resistito al ricorso della società P.con controricorso introducendo altresì un ricorso incidentale condizionato basato su di un unico motivo successivamente i condomini GP , in proprio e quale erede di PGB , AA, ED, DL, AG, WZ, RP quale erede di AD, AA, in proprio e quale erede di OA e GF nella qualità di legale rappresentante dell’Istituto A. hanno proposto un nuovo ricorso per cassazione, identico, nel suo contenuto, a quello in precedenza proposto, avendo preso atto che quest’ultimo era privo di procura speciale a detto ricorso la società P. ha resistito con controricorso introducendo altresì un ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo ED e la società P. hanno successivamente depositato delle memorie. Motivi della decisione Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza. Devono poi essere esaminate le questioni relative alla ammissibilità o meno di alcuni dei ricorsi proposti. Invero il ricorso proposto da A A più altri R.G. n. 15020/2006 deve essere dichiarato inammissibile in quanto nell’intestazione dello stesso si dà atto che i ricorrenti sono difesi e rappresentati dall’avvocato in forza di mandato a margine dell’atto di citazione e dell’atto di intervento”, cosicché detta procura è stata rilasciata in epoca precedente alla sentenza impugnata la procura stessa è quindi invalida, posto che la procura per il ricorso per cassazione deve avere, ai sensi dell’art. 365 c.p.c., carattere speciale, dovendo riguardare il particolare giudizio di legittimità sulla base di una specifica valutazione della sentenza da impugnare, con la conseguenza della sua invalidità se rilasciata in data anteriore alla suddetta sentenza pertanto il ricorso proposto è inammissibile tali conclusioni non riguardano il ricorrente avvocato OS che si difendeva in proprio. Alla ritenuta inammissibilità del ricorso in oggetto non può porsi rimedio, come pure sollecitato nella memoria di ED ” sulla base della considerazione che la valida proposizione del ricorso da parte dello S legittimerebbe l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le altre parti, ritenute litisconsorti processuali e sostanziali infatti nella specie non ricorre un litisconsorzio necessario tra i condomini che fanno valere nei confronti della società venditrice delle singole unità immobiliari la natura comune dell’area destinata a parcheggio, ben potendo ognuno di essi invocare la tutela di tale diritto indipendentemente dalla partecipazione al giudizio degli altri condomini, per cui, pur nell’identità delle questioni, permane l’autonomia dei rapporti giuridici, e si verte in un caso di litisconsorzio facoltativo orbene nel processo con pluralità di parti derivante non dall’infrazionabilità soggettiva del rapporto sostanziale dedotto, ma da una situazione iniziale o sopravvenuta di litisconsorzio facoltativo, non si determina per ciò stesso una fattispecie di litisconsorzio necessario processuale nei gradi successivi e nelle fasi ulteriori del giudizio Cass. 12-8-2011 n. 17280 . Deve poi aggiungersi che la rilevata inammissibilità del suddetto ricorso non può ritenersi superata dalla avvenuta proposizione da parte degli stessi ricorrenti di un secondo ricorso notificato il 14-8- 2006 R.G. n. 23590/2006 , allorché la società P. aveva già notificato ad essi in data 12-5-2006 il proprio ricorso per cassazione R.G. n. 15768/2006 infatti l’impugnazione proposta per prima assume caratteri ed effetti di impugnazione principale e determina la costituzione del procedimento, nel quale debbono confluire, con natura ed effetti di impugnazioni incidentali, le successive impugnazioni proposte contro la medesima sentenza dalle altre parti soccombenti, con la conseguenza che il ricorso per cassazione, validamente ed autonomamente proposto dopo che altro ricorso sia stato già notificato ad iniziativa della controparte, si converte, riunito a questo, in ricorso incidentale, sempre che siano stati rispettati i relativi termini vedi tra le più recenti in tal senso Casso 13-12-2011 n. 26723 , mentre nella fattispecie il termine di giorni quaranta decorrente dalla notifica del ricorso della società P. non è stato osservato, cosicché il ricorso è inammissibile quanto finora rilevato riguarda tutti i ricorrenti ad eccezione di O S, per il quale l’inammissibilità di tale secondo ricorso discende dalla diversa considerazione che, avendo egli già validamente proposto un primo ricorso, la avvenuta consumazione del diritto di impugnazione esclude che egli potesse reiterare i motivi già prospettati mediante la proposizione di un successivo ricorso incidentale. Per le medesime ragioni già espresse riguardo al ricorso R.G. n. 15020/2006 deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso incidentale proposto da AA più altri R.G. n. 16937/2006 , nella cui epigrafe si dà atto del rilascio del mandato all’avvocato OS in forza di mandato a margine dell’atto di citazione e dell’atto di intervento”, sempre per difetto di procura speciale quanto allo S., il ricorso è invece inammissibile per la diversa considerazione che quest’ultimo ha già consumato il suo diritto di impugnazione mediante la proposizione del ricorso R.G. n. 15020/2006. Sempre in via preliminare deve poi dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi incidentali della società P. rispettivamente R.G. n. 19435/2006 e n. 28201/2006 , avendo quest’ultima già consumato il suo diritto di impugnazione con la proposizione del ricorso di cui al R.G. n. 15768/2006. Tanto premesso, e venendo all’esame del ricorso di cui al R. G. n. 15020/2006, si rileva che lo S. con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della L. 6-8- 1967 n. 765 nonché omessa motivazione, censura la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda dell’esponente sostenendo che la legge ora menzionata impone soltanto un vincolo di destinazione di natura pubblicistica limitatamente all’uso degli spazi destinati a garage, e non già la cessione in proprietà di dette aree in tal modo la Corte territoriale ha completamente ignorato la causa petendi” dedotta dagli attori nel giudizio di primo grado, ovvero la mancanza di una dichiarazione di riserva di proprietà nei singoli atti di vendita da parte della società venditrice pertanto gli esponenti non avevano invocato un diritto di proprietà sull’area destinata a parcheggio in virtù della legge sopra richiamata, bensì sul presupposto del trasferimento dell’area stessa realizzatosi con l’atto di acquisto, dove non era stata prevista l’esclusione della proprietà di essa in favore della venditrice. Neppure era fondata la tesi di controparte secondo cui nel regolamento condominiale esisteva una specifica attestazione concernente la riserva di proprietà del piano cantinato, che deve essere chiaramente espressa ed agevolmente comprensibile. La censura è fondata. La Corte territoriale, premesso che la realizzazione dell’edificio condominiale in questione era avvenuta successivamente all’entrata in vigore dell’art. 18 della L. 6-8-1967 n. 765, prescrivente per le nuove costruzioni una riserva di appositi spazi di parcheggio, e che nel progetto di costruzione era prevista la destinazione a parcheggio condominiale a norma dell’art. 18 menzionato del piano cantinato cui si accedeva dalla via attraverso una rampa della pendenza del 18%, ha evidenziato la mancata previsione negli atti pubblici di compravendita delle singole unità immobiliari del trasferimento in proprietà o in uso alle parti acquirenti, collettivamente o individualmente, di una qualunque porzione dell’area dell’edificio destinata a parcheggio. Il giudice di appello a tal punto, rilevata la destinazione in concreto da parte della società costruttrice del piano cantinato ad uso diverso, tramite in particolare la chiusura di una porzione di esso e la sua concessione in locazione dapprima al C. I. e poi all’Università degli Studi di , ha riconosciuto agli appellanti principali un diritto reale d’uso sulla suddetta area in quanto destinata a parcheggio ai sensi dell’art. 18 della L. 6-8-1967 n. 765, ed ha determinato il corrispettivo di tale diritto per ciascuno dei condomini. Orbene, premesso che è pacifico che la domanda introdotta nel giudizio di primo grado dai singoli condomini del Condominio di via in Messina aveva ad oggetto il rivendicato diritto degli attori di comproprietà pro indivisa” sul piano cantinato, come emerge dalla stessa narrativa della sentenza impugnata, si rileva che l’indagine in proposito svolta dalla Corte territoriale si rivela erronea e quindi inadeguata a fornire una risposta corretta sul piano logico - giuridico alla suddetta pretesa. Infatti, considerato che il diritto di condominio sulle parti comuni dell’edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano permanentemente destinate all’uso ed al godimento comune, e che l’art. 1117 c.c. contiene una elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa delle parti comuni Cass. 28-2-2007 n. 4787 Cass. 2-8-2010 n. 17993 , era necessario accertare se l’area in questione, per le sue caratteristiche materiali e funzionali, fosse oggettivamente destinata in modo stabile al servizio ed al godimento collettivo una volta invero accertata la sussistenza di tali requisiti, non era certamente necessario, ai fini della ricomprensione di detta area tra le parti comuni dell’edificio condominiale, una espressa previsione in tal senso, occorrendo anzi, ai sensi dell’art. 1117 c.c., un titolo contrario per escluderla dal novero di dette parti in proposito invece la sentenza impugnata ha omesso qualsiasi accertamento. Con il secondo motivo lo S , deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2056 c.c. in relazione all’art. 1226 c.c., assume che la Corte territoriale ha omesso totalmente di esaminare le argomentazioni esposte nell’atto di appello circa la fondatezza della domanda di risarcimento danni derivante dal mancato utilizzo del piano garage, domanda proposta con chiaro riferimento ad una valutazione equitativa pertanto il giudice di appello avrebbe dovuto determinare un danno genericamente riferito alle spese di custodia e/o alla maggiore usura subita dalle autovetture in conseguenza del mancato ricovero nel piano cantinato. Tale motivo resta assorbito all’esito dell’accoglimento del primo motivo di ricorso. Venendo quindi all’esame del ricorso della società P. R.G. n. 15768/2006 , si rileva che con l’unico motivo articolato quest’ultima, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della L. n. 765/1967 - 196 - 61 - 191 e 356 c.p.c. nonché vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver errato nella determinazione dell’area destinata a parcheggio spettante alle controparti a causa della mancata considerazione degli altri proprietari di unità immobiliari siti nello stesso stabile condominiale diversi da quelli che avevano promosso il giudizio invero il giudice di appello ha recepito gli accertamenti effettuati dal CTU il quale, dopo aver verificato una superficie effettiva del piano cantinato da destinare a parcheggio stimandola in mq. 659,35, nell’attribuzione di questa non ha assolutamente considerato le botteghe poste al piano terra di proprietà della società esponente per una estensione di oltre 600 mq. inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dal CTU, non vi era alcuna area residua del cantinato da adibire a parcheggio per le botteghe poste al piano terra di proprietà della società P in tal modo era stata attribuita alle controparti una superficie di cantinato ben maggiore di quella attribuibile ai sensi dell’art. 18 della L. n. 765/1967, ledendo il pari diritto al parcheggio pro quota” dei proprietari diversi dalle controparti che, per la loro medesima veste di comproprietari, avevano lo stesso diritto pro quota” di costoro. Pertanto erroneamente la Corte territoriale ha rigettato la richiesta di rinnovo della CTU, dal momento che tutti gli errori compiuti dal CTU erano stati censurati ed illustrati nel decimo motivo di appello. Tale motivo resta assorbito all’esito dell’accoglimento del primo motivo del ricorso di cui al R.G. 15020/2006. In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all’accoglimento del primo motivo del ricorso di cui al R.G. n. 15020/2006, e la causa deve essere rimessa ad altra sezione della Corte di Appello di Messina per un nuovo esame della controversia alla luce delle argomentazioni sopra espresse e per la pronuncia sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibili il ricorso di cui al R.G. n. 15020/2006, fatta eccezione per il ricorrente S, i ricorsi incidentali di cui al R.G. nn. 19435 - 28201 - 16937 e 23590/2006, accoglie il primo motivo del ricorso di cui al R.G. n. 15020/2006 limitatamente al ricorrente S , dichiara assorbito il secondo motivo di ricorso ed il ricorso di cui al R.G. n. 15768/2006, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Messina.