Appartamento affittato, l’inquilino va via: azione di rilascio contro il figlio convivente

Nodo gordiano è la legittimazione passiva rispetto alla domanda presentata dalla Fondazione proprietaria dell’immobile. Per spazzar via i dubbi il riferimento è la realtà concreta l’essere, cioè, di fatto in possesso del bene.

Contratto di locazione a firma del padre. Che, però, abbandona l’alloggio e si trasferisce altrove, nonostante la presenza del figlio convivente. E proprio quest’ultimo deve far fronte, come riferimento legittimo, alla domanda di rilascio dell’immobile Cassazione, sentenza n. 8363, Seconda sezione Civile, depositata oggi . Fondazione in campo. Pomo della discordia è la disponibilità di un appartamento, di proprietà di una Fondazione ma dato in affitto a una persona. A prescindere dal contratto, però, l’uomo, con cui convive il figlio, ha abbandonato l’immobile. Scatta, in automatico, la richiesta della Fondazione per ottenerne il rilascio , perché detenuto senza titolo . Destinatario dell’azione è il figlio dell’oramai ex inquilino. E per lui, sia in primo che in secondo grado, arriva una pronuncia di condanna. Accompagnata dalla conferma della legittimazione passiva del figlio dell’ex inquilino e della detenzione senza titolo , secondo i giudici, perché l’alloggio è stato abbandonato dal padre, in veste di conduttore, trasferitosi altrove da anni . Contratto superato. Ma è proprio l’onere attribuitogli dai giudici a rappresentare l’elemento centrale nel ricorso proposto in Cassazione dalla persona a cui è stata rivolta la domanda di rilascio. Nella sostanza, il legale contesta la legittimazione passiva attestata dai giudici, e, a tale proposito, richiama la convivenza con il padre e la locazione da quest’ultimo stipulata, documento che, sempre secondo il legale, non è stato adeguatamente preso in considerazione. Visione sensata, questa? Assolutamente no, per i giudici della Cassazione, i quali, confermando la pronunzia d’Appello, sottolineano che la legittimazione passiva spetta al soggetto che sia, di fatto ed illegittimamente, nel possesso o nella detenzione del bene preteso . Ossia, in questo caso, il figlio dell’ex affittuario. All’interno di questo quadro, poi, il richiamo alla concretezza del contratto di locazione deve essere considerato secondario, perché, comunque, il trasferimento del conduttore non poteva certo consentire al figlio convivente di permanere nel godimento dell’alloggio .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 24 aprile – 25 maggio 2012, n. 8363 Presidente Oddo – Relatore Piccialli Svolgimento del processo Con atto notificato il 15.5.2001 la Fondazione ENASARCO, quale proprietaria di un immobile occupato da M.D., lo citò al giudizio del tribunale di Roma, al fine di sentirlo condannare al relativo rilascio, in quanto detenuto senza titolo. Costituitosi il convenuto, resisteva alla domanda, segnatamente ed in via preliminare eccependo il proprio difetto di legittimazione, essendo egli figlio convivente del conduttore dell’alloggio, P.D. Espletata prova testimoniale, la domanda venne accolta dall’adito Tribunale con sentenza n. 1826/04, confermata, con condanna dell’appellante alle ulteriori spese, da quella in data 16.9.09-20.7.10 della Corte d’Appello di Roma, che ribadiva la legittimazione passiva del convenuto e la relativa detenzione senza titolo dell’alloggio, essendo stato questo abbandonato dal padre conduttore, da anno trasferitosi altrove. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il D., deducendo quattro motivi, cui resisteva l’ENASAR.CO con controricorso. Con relazione ex art. 380 bis c.p.c. il consigliere designato per l’esame preliminare proponeva la reiezione del ricorso per manifesta infondatezza, ma il collegio, non ravvisando le condizioni per la definizione in sede camerale, con ordinanza del 13/22.12.11 disponeva la trattazione in pubblica udienza. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente censura, per violazione dell’art. 948 c.p.c., la decisione impugnata, per avere affermato la legittimazione passiva del convenuto, nonostante egli fosse convivente con il padre ed avesse opposto la locazione stipulata da quest’ultimo. Con il secondo motivo si deduce omessa ed insufficiente motivazione, lamentandosi che la corte di merito non avrebbe preso in adeguata considerazione la validità e persistenza del contratto di locazione di cui sopra. Con il terzo motivo si deduce contraddittorietà della motivazione, con riferimento all’affermazione dell’intervenuta cessazione della locazione intercorrente con il padre del convenuto e l’abbandono dell’appartamento, circostanze che sarebbero smentite dalla stessa richiamata dichiarazione testimoniale e dalle prove documentali. Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c., per avere il giudice posto a base del proprio convincimento unicamente una dichiarazione testimoniale, peraltro incompleta, immotivatamente ignorando le prove documentali. I motivi vanno tutti respinti. Per quanto attiene al primo, va osservato che la legittimazione passiva, sia nell’azione reale di rivendicazione, sia in quella personale di rilascio per detenzione senza titolo, compete al soggetto che, secondo la prospettazione attorea, sia di fatto ed illegittimamente nel possesso o nella detenzione del bene preteso. Nel caso di specie la domanda rivendicativa era stata proposta nei confronti di M.D., sostenendosi che il medesimo detenesse, senza titolo alcuno, l’immobile di proprietà dell’ente attore, pretendendone, per tale ragione il rilascio, sicchè, poco o punto rilevando la qualificazione della domanda in termini reali come, peraltro, correttamente ritenuto dai giudici di merito o personali, identificandosi comunque il convenuto nel destinatario di tale pretesa, riguardando le ragioni opposte con l’eccezione la sussistenza di un rapporto, asseritamente giustificante detta detenzione, ogni relativa questione atteneva al merito della controversia e non alla legittimazione passiva. Il secondo motivo è manifestamente infondato, deducendo una insussistente carenza di motivazione, avendo i giudici di merito fornito adeguata spiegazione delle ragioni, secondo cui l’intervenuta cessazione del rapporto locatizio tra l’attore ed il padre del convenuto, a seguito dell’abbandono e del trasferimento altrove del conduttore, non consentiva al secondo di permanere nel godimento dell’alloggio, ratio decidendi esauriente e logicamente coerente, che, non attaccata sotto il profilo dell’eventuale violazione di norme di diritto ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., risulta esente in questa sede da censure ai sensi del n. 5 dell’articolo citato. Il terzo e quarto motivo, la cui connessione ne comporta l’esame congiunto, sono palesemente inammissibili, poiché si risolvono in censure in fatto, avverso la valutazione della prova compiuta dal giudice di merito, deducendone l’insufficienza e l’inadeguata valutazione, senza tuttavia riportarne, sia pure nelle parti ritenute favorevoli alla propria tesi, il contenuto, altresì incorrendo in analogo difetto di autosufficienza, nel generico riferimento ai documenti autocertificazione, lettere raccomandate, autorizzazione della Questura che i giudici di merito non avrebbero valutato, senza neppure precisare la rilevanza specifica ai fini della dedotta tesi della perduranza del rapporto locatizio paterno. Il ricorso va, conclusivamente, respinto. Le spese, infine, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali in favore del resistente, che liquida in complessivi € 2.200,00 di cui 200 per esborsi.