Possibile il rimborso delle spese solo se le opere sono urgenti

Il condomino che anticipa le spese necessarie alla conservazione dei beni comuni, può chiederne la restituzione pro-quota ai condomini rimasti inerti solo nell'ipotesi in cui le opere eseguite siano caratterizzate dal requisito dell'urgenza. Il principio trova applicazione anche nell'ipotesi del c.d. condominio minimo , ovvero nel caso in cui il condominio sia composto da un ristretto numero di comproprietari e non sia stato nominato un amministratore. A rimarcare il concetto è stata la seconda sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 21015 depositata in cancelleria il 12 ottobre. Se non c'è urgenza, il rifiuto di rimborsare le spese sostenute è legittimo. Siamo alle prese con la solita lite condominiale innescata dal rifiuto, da parte di alcuni condomini, di rimborsare al condomino diligente, le spese anticipate da quest'ultimo per l'esecuzione di lavori sulle parti comuni dell'edificio. Un condominio ritiene di aver diritto al rimborso, da parte degli altri partecipanti al condominio, delle spese sostenute per l'esecuzione di alcuni lavori giudicati necessari ed urgenti. Di contro, gli altri condomini, ritengono di non essere in alcun modo obbligati al pagamento di quanto richiesto poiché i lavori non sarebbero stati preventivamente autorizzati e, soprattutto, non sarebbero stati per nulla urgenti. Il punto focale della vicenda, quindi, ruota intorno all'applicazione dell'articolo 1134 c. c. - che riconosce solo il diritto al rimborso per le spese urgenti - ovvero dell'art. 1110 c. c. - che, in tema di comunione, subordina il rimborso delle spese sostenute, alla mera trascuranza da parte degli altri proprietari. Il giudizio sembra svolgersi a senso unico. Il creditore cita gli altri condomini dinanzi al Giudice di pace che, peraltro, rigetta la domanda. La decisione viene sostanzialmente confermata dal Tribunale. La Cassazione, richiamando il principio espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza del 31 gennaio 2006, n. 2046, conferma il verdetto. Secondo gli Ermellini l'art. 1134 c. c. troverebbe applicazione anche nell'ipotesi del c.d. condomino minimo , caratterizzato da un ristretto numero di comproprietari, ovvero nel caso in cui il condominio non risulti formalmente costituito. La disciplina del condominio negli edifici, insegna Piazza Cavour, sarebbe applicabile per il semplice fatto che coesistano, in un fabbricato, parti di proprietà comune e parti di proprietà esclusiva. L'elemento dimensionale sarebbe del tutto ininfluente. Spese necessarie ed urgenti e spese per sopperire alla mancata manutenzione ordinaria. In linea di principio, occorre tener presente che esiste una differenza sostanziale tra la fattispecie prevista dall'art. 1134 c. c. spese fatte dal condomino e quella disciplinata dall'art. 1110 c. c. rimborso di spese . Nel primo caso, le spese sostenute senza autorizzazione degli altri condomini o dell'amministratore, sarebbero rimborsabili al condomino che le abbia anticipate, solo se effettuate per sopperire ad eventi caratterizzati dall'urgenza. Viceversa, l'articolo 1110 c.c. - in maniera più elastica - prevede che il condomino più diligente possa recuperare le spese necessarie per la conservazione della cosa comune, nel caso in cui vi sia stata inerzia e trascuranza da parte degli altri partecipanti o dell'amministratore. La prima fattispecie, quindi, sarebbe caratterizzata dalla necessità di eseguire opere urgenti mentre la seconda sarebbe applicabile in caso di inerzia e trascuratezza dei condomini ovvero nell'ipotesi in cui sia configurabile una mancata attività di manutenzione a prescindere dalla necessità di procedere agli interventi manutentivi. Differenza tra condominio e comunione. A ben guardare, tra le due fattispecie sarebbe riscontrabile una ulteriore differenza relativamente al bene tutelato. L'articolo 1134 c. c. sarebbe applicabile nell'ipotesi di condominio negli edifici ovvero nel caso in cui vi siano beni dotati di una specifica utilità strumentale rispetto all'intero edificio. Viceversa, l'art. 1110 c. c. troverebbe applicazione nell'ipotesi di una più generica comunione di beni. Nel primo caso non sarebbe possibile effettuare una divisione dei beni con conseguente scioglimento del condominio. Di contro, nel secondo caso, i beni sarebbero divisibili in tale ultima ipotesi, ciascun proprietario, verificato il disinteresse degli altri, potrebbe optare tra due alternative la divisione del bene, ovvero l'esecuzione diretta delle opere necessarie con riserva di recupero dei costi sostenuti da parte degli altri comproprietari. Numerosi i contrasti giurisprudenziali. Occorre peraltro tener presente che la soluzione della vicenda non è scontata come può apparire a prima vista. In passato, infatti, erano sorti numerosi contrasti in seno alla giurisprudenza in ordine alla norma applicabile nel caso di rimborso delle spese nei c.d. condomini minimi , ovvero in quelli costituiti da un esiguo numero di condomini. Proprio per risolvere il conflitto giurisprudenziale in atto, la questione era stata rimessa all'attenzione delle Sezioni Unite intervenute con la citata sentenza del 31 gennaio 2006, n. 2046. L'insegnamento della Cassazione - in sostanza - è semplice il condominio nasce ex lege nell'ipotesi in cui sia ravvisabile una relazione di accessorietà tra beni in comunione ed altri in proprietà esclusiva. In tal caso troverebbero automatica applicazione le norme sul condominio a prescindere dal numero dei condomini o dalla presenza di un amministratore. Se i lavori sono procrastinati, le opere non sono urgenti. Come dicevamo, l'articolo 1134 c. c. trova applicazione nel caso di lavori necessari ed urgenti. A questo punto sorge, ovviamente, a cascata, un ulteriore interrogativo. Quando le opere rivestono il carattere della necessità ed urgenza? Nel caso in esame il rimborso delle spese sostenute è stato negato in quanto ai lavori sostenuti non è stato riconosciuto il requisito dell'urgenza. Le opere, autorizzate a gennaio, erano stato eseguite solo ad ottobre. Il ragionamento seguito dai giudici di merito, e confermato in Cassazione, sembra lapalissiano se le opere fossero state urgenti, che senso avrebbe avuto aspettare circa nove mesi per dare l'avvio ai lavori? E' evidente, quindi, che le opere non erano caratterizzate dal requisito dell'urgenza, diversamente non avrebbe avuto senso attendere. Di contro, a ben vedere, si potrebbe argomentare che, proprio a causa del decorso del tempo, le opere avevano assunto il requisito dell'urgenza. Tale eccezione, peraltro, non è stata sollevata in giudizio. Negata la prova per testi o la C.T.U. Rimandata al mittente la tesi del ricorrente. Quest'ultimo lamentava il mancato esperimento della richiesta consulenza tecnica di ufficio o della prova testimoniale diretta a dar accertare l'urgenza delle opere eseguite. Secondo gli Ermellini, il mancato esperimento dei mezzi di prova richiesti e del ricorso alla C.T.U. sarebbe da ricercare nella presenza di elementi che inducevano ad escludere l'esistenza dell'urgenza. In sostanza, a remare contro il ricorrente sarebbe stato proprio il lungo lasso temporale intercorso tra l'autorizzazione dei lavori e la loro esecuzione. Anche la prova testimoniale, in sotto questo profilo, sarebbe stata, secondo i Giudici, del tutto ininfluente.