Il Giudice deve attenersi al petitum per decidere sull’assegno divorzile

In tema di soluzione giudiziale della crisi familiare, le statuizioni che regolano gli aspetti economico-patrimoniali tra i coniugi incidono nell’area dei diritti a c.d. disponibilità attenuata e soggiacciono alle regole processuali ordinarie con il corollario del limite invalicabile della domanda, in quanto presuppongono l’iniziativa della parte interessata e l’indicazione, a pena di inammissibilità, del petitum richiesto al Giudice, potendo configurarsi come diritto indisponibile solo quello relativo alla parte del contributo economico connotata dalla finalità assistenziale.

È quanto affermato dalla Suprema Corte con l’ordinanza n. 11975/21, depositata il 5 maggio. Il Tribunale di Sondrio, pronunciandosi sul ricorso proposto ex art. 9 l. n. 898/1970 avente ad oggetto la modifica delle condizioni di divorzio congiunto, revocava l’ assegnazione esclusiva all’ex moglie della casa coniugale in comproprietà e la contribuzione al 50% dell’ex marito per le spese relative all’abitazione, disponendo il versamento del contributo di mantenimento in favore della figlia maggiorenne mediante versamento diretto alla stessa. Il Tribunale inoltre poneva a carico dei genitori il contributo per il pagamento delle spese straordinarie della suddetta figlia nella misura del 90% a carico del padre e del 10% a carico della madre, disponendo in favore di quest’ultima un assegno divorzile mensile di 1800 euro rivalutabile annualmente. La Corte d’Appello di Milano accoglieva parzialmente il reclamo proposto dall’ex marito verso il decreto del Tribunale di Sondrio, disponendo in favore dell’ex moglie e a carico dell’ex marito la corresponsione dell’ assegno divorzile dell’importo mensile di 1000 euro, senza obbligo di restituzione delle somme già ricevute in precedenza. E la corresponsione dell’assegno mensile di 1800 euro a decorrere dal momento in cui l’ex moglie avrebbe lasciato la casa coniugale. L’ex coniuge ricorre quindi in Cassazione sostenendo, tra i vari motivi ed in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in quanto la Corte d’Appello, con motivazione carente, ha ritenuto erroneamente insussistente il vizio di ultra petizione. E l’ex moglie, nell’opporsi alla revoca dell’assegnazione della casa familiare, aveva chiesto in primo grado l’assegno divorzile di 1000 euro senza svolgere alcuna domanda subordinata. Il motivo è fondato in quanto, nel caso di specie, è incontroverso che alla ex coniuge sia stato riconosciuto dal Tribunale, a titolo di assegno divorzile, un importo superiore a quello che quest’ultima aveva chiesto. Tutto ciò poi confermato dalla Corte d’Appello. A riguardo la Cassazione ha già avuto modo di affermare che a differenza delle condizioni patrimoniali che riguardano la prole, le condizioni che regolano gli aspetti patrimoniali tra i coniugi rientrano nell’area dei diritti a cd. disponibilità attenuata e soggiacciono alle regole processuali ordinarie, con il corollario del limite invalicabile della domanda. E che la domanda a contenuto patrimoniale concernente i rapporti tra i coniugi, quale è quella di assegno divorzile, deve contenere, a pena di inammissibilità, il petitum richiesto al Giudice, atteso che tutto ciò che riguarda direttamente i rapporti economici di dare ed avere tra i coniugi presuppone l’iniziativa della parte interessata, potendo rivestire carattere di diritto indisponibile solo quello relativo alla parte del contributo economico connotata dalla finalità assistenziale Cass. n. 11061/2011 e Cass. n. 4205/2006 . Nel caso di specie non è stata proposta dall’ex moglie una domanda subordinata correlata alla revoca dell’assegnazione della casa familiare o al venir meno di altri benefici economici. I Giudici di merito hanno erroneamente aumentato l’importo dell’assegno divorzile richiesto, rimarcando che l’aumento suddetto compensava benefici economici venuti meno. E ciò non risulta corretto poiché le suddette circostanze non potevano essere prese in considerazione ufficiosamente senza che vi fosse allegazione e domanda sul punto da parte dell’ex coniuge beneficiario, con una pronuncia esorbitante del petitum azionato. Per questi motivi il Supremo Collegio accoglie il motivo di doglianza, affermato il seguente principio di diritto in tema di soluzione giudiziale della crisi familiare , le statuizioni che regolano gli aspetti economico-patrimoniali tra i coniugi incidono nell’area dei diritti a cd. disponibilità attenuata e soggiacciono alle regole processuali ordinarie con il corollario del limite invalicabile della domanda, in quanto presuppongono l’iniziativa della parte interessata e l’indicazione, a pena di inammissibilità, del petitum richiesto al giudice, potendo configurarsi come diritto indisponibile solo quello relativo alla parte del contributo economico connotata dalla finalità assistenziale .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 8 febbraio – 5 maggio 2021, n. 11795 Presidente Genovese – Relatore Parise Fatti di causa 1. Con decreto del 9-4-2015 il Tribunale di Sondrio, pronunciando sul ricorso proposto L. n. 898 del 1970, ex art. 9 da S.F. nei confronti di G.S. avente ad oggetto la modifica delle condizioni di divorzio congiunto di cui alla sentenza n. depositata il omissis , revocava l’assegnazione esclusiva all’ex moglie della casa coniugale in comproprietà e, di conseguenza, anche la contribuzione al 50% dell’ex marito per le spese relative all’abitazione, disponeva il versamento del contributo di mantenimento in favore della figlia maggiorenne mediante versamento diretto alla stessa, poneva a carico dei genitori il contributo per il pagamento delle spese straordinarie della figlia nella misura del 90% a carico del padre e del 10% a carico della madre e disponeva in favore dell’ex moglie un assegno divorzile mensile di Euro 1.800 rivalutabile annualmente, compensando tra le parti le spese di giudizio. 2. Con decreto n. 2157/2017 depositato il 31-3-2017 la Corte d’appello di Milano ha parzialmente accolto il reclamo proposto da S.F. avverso il citato decreto del Tribunale di Sondrio e, in parziale modifica dello stesso, ha disposto in favore dell’ex moglie e a carico dell’ex marito la corresponsione dell’assegno divorzile dell’importo mensile di Euro 1.000, senza obbligo di restituzione delle eventuali somme ricevute in eccedenza, fino al momento della permanenza della G. nella casa coniugale, nonché ha disposto la corresponsione dell’assegno nell’importo mensile di Euro 1.800 a decorrere dal momento in cui l’ex moglie avrebbe lasciato la casa coniugale, compensando per metà le spese di lite e ponendo a carico della G. la residua metà. La Corte d’appello ha ritenuto che i non ricorresse il denunciato vizio di ultra petizione, per avere il Tribunale riconosciuto alla G. l’assegno di divorzio nell’importo mensile di Euro 1.800, nonostante fosse stato richiesto dall’ex coniuge nell’importo mensile di Euro 1.000, in quanto la maggiorazione di Euro 800 era stata riconosciuta dal Tribunale tenendo conto della revoca dell’assegnazione della casa familiare all’ex moglie e del contributo alle spese per la medesima abitazione, nonché in considerazione del disposto contributo al 10% posto a carico della madre per le spese straordinarie della figlia, sicché la maggiorazione era da ritenersi compensativa del venir meno dei suddetti benefici economici ii sussistessero i presupposti per il riconoscimento dell’assegno di divorzio, non essendo contestata la sopravvenuta perdita del lavoro da parte della G. , e vi fosse un notevole squilibrio economico tra le parti, svolgendo l’ex moglie attività lavorativa part time con retribuzione mensile di 800-1000 Euro ed avendo la stessa sempre lavorato e continuando ad avere capacità reddituali iii fosse congruo l’importo mensile di Euro 1.000 a titolo di assegno divorzile, valutata la durata del matrimonio e le condizioni economiche peggiorative in essere dell’ex moglie, che di fatto continuava ad abitare nella casa coniugale, evidentemente con il consenso del marito, nonché fosse congrua la quantificazione dell’assegno nell’importo mensile di Euro1.800 a decorrere dal momento in cui l’ex moglie avrebbe lasciato la casa coniugale. 3. Avverso questo decreto propone ricorso per cassazione S.F. , affidato a tre motivi, nei confronti di G.S. , che ha depositato controricorso. 4. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.comma e art. 380 bis 1 c.p.c Ragioni della decisione 1. Il ricorrente denuncia i con il primo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato art. 112 c.p.comma in rapporto all’art. 345 c.p.comma e art. 99 c.p.c. , in particolare per avere la Corte d’appello, con motivazione totalmente carente, ritenuto insussistente il vizio di ultra petizione, mentre la G. , nell’opporsi alla revoca dell’assegnazione della casa familiare, aveva chiesto in primo grado l’assegno di divorzio di Euro 1.000, senza svolgere alcuna domanda subordinata, neppure con riferimento alla casa coniugale, in comproprietà con l’altro coniuge e facilmente divisibile, anche perché dell’estensione complessiva di mq. 216, considerato, peraltro, che a dicembre 2016 l’ex moglie era divenuta proprietaria di altri due immobili abitativi personali ii con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo, in particolare per aver omesso la Corte d’appello di considerare che, come rimarcato nel reclamo alle pagine indicate nel ricorso e come emerge dal verbale di accordo prodotto dalla stessa G. in primo grado quale docomma 16, l’ex moglie aveva perso il lavoro a seguito di licenziamento in ambito di procedura ex L. n. 233 del 1991, aderendo ad una mobilità volontaria e percependo n. 50 mensilità lorde dello stipendio, pari ad un importo netto complessivo di circa Euro 150.000-160.000 iii con il terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e la violazione del principio di auto-responsabilità degli ex coniugi, in relazione al riconoscimento del diritto all’assegno divorzile anche in base ai principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 11504/2017, per essere l’ex coniuge economicamente indipendente o in grado di esserlo, nonché per avere la G. perso il lavoro in conseguenza, in concreto, di un esodo volontario con cospicui incentivi, essendo, altresì, l’ex moglie soggetto professionalmente qualificato, tanto da avere reperito un nuovo lavoro presso la società di famiglia nel luogo di residenza e potenzialmente capace di guadagnare di più, oltre che comproprietaria della casa familiare e proprietaria di due immobili acquistati nelle more della decisione d’appello. 2. In via pregiudiziale, deve rilevarsi che, in base all’esame diretto del fascicolo d’ufficio consentito a questa Corte per il controllo della ritualità degli atti processuali, il controricorso non risulta notificato al ricorrente, nè è stata chiesta dalla G. alcuna rimessione in termini in sanatoria. Conseguentemente le questioni sollevate con il controricorso, ove non suscettibili di rilievo ufficioso, non possono essere esaminate cfr. Cass. n. 3218/1987 . 3. Passando all’esame dei motivi, è inammissibile il terzo, da scrutinare prioritariamente in ordine logico in quanto la censura concerne la debenza dell’assegno divorzile, chiesto per la prima volta dall’ex moglie nel nel giudizio di revisione il matrimonio è del , la separazione consensuale è avvenuta nel , il divorzio congiunto nel . 3.1. Il ricorrente, nel sostenere, in modo non del tutto lineare, di aver riproposto nel giudizio di reclamo la questione relativa all’an della pretesa di assegno divorzile azionata in primo grado dall’ex moglie, per avere la stessa subito nelle more un peggioramento della sua situazione economico-patrimoniale a causa della perdita del lavoro, omette di trascrivere nel ricorso, con modalità autosufficienti, le parti di riferimento dell’atto di reclamo, da cui possa risultare con chiarezza dove e come aveva chiesto il diniego dell’assegno di divorzio. Tanto non è dato desumere, in particolare, da quanto espone il ricorrente circa il ragionamento dogmatico e le domande che ci si pongono nel caso in esame cfr. pag. 8 e 9 ricorso che assume di aver dedotto in sede di reclamo, risolvendosi l’illustrazione in un richiamo di considerazioni sulla distinzione tra licenziamento ed esodo volontario incentivato. Dal provvedimento impugnato emerge che il reclamante aveva chiesto la parziale modifica del decreto del Tribunale - cfr. pag. 2 del decreto, in cui si legge che lo S. aveva chiesto stabilire l’assegno entro e non oltre i limiti richiesti dalla controparte - e che, pertanto, in base a quanto esposto dalla Corte di merito sul contenuto del reclamo dell’attuale ricorrente, l’ultra petizione imputata al Tribunale riguardava il quantum dell’assegno divorzile. A fronte di ciò, l’onere di autosufficienza avrebbe dovuto essere assolto dal ricorrente con particolare rigore e precisione, il che non è stato, per quanto si è detto. Sotto ulteriore e dirimente profilo, la doglianza è inammissibile in quanto sollecita, in buona sostanza, una rivisitazione del merito, mediante il richiamo di dati fattuali di cui viene chiesto il riesame a questa Corte, come se il giudizio di legittimità fosse una sorta di prosecuzione di quello di revisione. 4. Il primo motivo è fondato. 4.1. È incontroverso in causa che alla G. sia stato riconosciuto dal Tribunale, a titolo di assegno divorzile, un importo superiore a quello che quest’ultima aveva chiesto Euro 1.000 e la Corte d’appello ha in buona sostanza confermato quella statuizione, con una decisione condizionata ad un evento futuro, ossia da valere, quanto alla debenza dell’importo di Euro 1.800 già determinato dal Tribunale, dal momento in cui la G. avrebbe lasciato la casa familiare, in comproprietà con l’ex marito, la cui assegnazione in favore della G. era stata revocata per essere venuta meno la convivenza stabile con la figlia pag. n. 5 decreto impugnato . Ciò posto, a differenza delle condizioni patrimoniali che riguardano la prole cfr. Cass. n. 25055/2017 , le condizioni che regolano gli aspetti patrimoniali tra i coniugi rientrano nell’area dei diritti a cd. disponibilità attenuata e soggiacciono alle regole processuali ordinarie, con il corollario del limite invalicabile della domanda. In base all’orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità Cass. n. 11061/2011 e Cass. n. 4205/2006 , la domanda a contenuto patrimoniale concernente i rapporti tra i coniugi, quale è quella di assegno divorzile, deve contenere, a pena di inammissibilità, il petitum richiesto al giudice, atteso che tutto ciò che riguarda direttamente i rapporti economici di dare ed avere tra i coniugi presuppone l’iniziativa della parte interessata, potendo rivestire carattere di diritto indisponibile solo quello relativo alla parte del contributo economico connotata dalla finalità assistenziale. Nella specie, esclusa la connotazione assistenziale della parte di assegno eccedente il petitum della pretesa azionata dalla G. Euro 1.000 , che non risulta attribuita con quella finalità dalla Corte di merito, peraltro non compatibile con la complessiva quantificazione dell’assegno stesso Euro 1.800 , non è stata proposta dalla G. una domanda subordinata, correlata alla revoca dell’assegnazione della casa familiare o al venir meno di altri benefici economici, in base a quanto emerge dallo stesso tenore del decreto impugnato. I Giudici di merito hanno, dunque, proceduto ad aumentare d’ufficio l’importo dell’assegno divorzile chiesto dalla G. , rimarcando, per l’appunto, che detto aumento compensava benefici economici venuti meno, poiché a suo carico era stato posto il contributo del 10 % per le spese straordinarie per la figlia ed inoltre avrebbe subito la perdita, futura ed eventuale, del godimento della casa familiare, di cui è comproprietaria. Le suesposte circostanze, seppur rappresentano in linea astratta un valore economico Cass. n. 25420/ . sul godimento della casa familiare , non potevano essere prese in considerazione ufficiosamente, senza che vi fosse allegazione e domanda sul punto da parte dell’ex coniuge beneficiario, con una pronuncia esorbitante dal petitum azionato. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il decreto impugnato va cassato nei limiti del motivo accolto e la causa va rimessa alla Corte di merito che dovrà attenersi al seguente principio di diritto In tema di soluzione giudiziale della crisi familiare, le statuizioni che regolano gli aspetti economico-patrimoniali tra i coniugi incidono nell’area dei diritti a cd. disponibilità attenuata e soggiacciono alle regole processuali ordinarie con il corollario del limite invalicabile della domanda, in quanto presuppongono l’iniziativa della parte interessata e l’indicazione, a pena di inammissibilità, del petitum richiesto al giudice, potendo configurarsi come diritto indisponibile solo quello relativo alla parte del contributo economico connotata dalla finalità assistenziale . 5. Dall’accoglimento del primo motivo consegue l’assorbimento del secondo. 6. In conclusione, merita accoglimento il primo motivo di ricorso, dichiarati assorbito il secondo ed inammissibile il terzo, con la cassazione del decreto impugnato nei limiti del motivo accolto e rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarati assorbito il secondo ed inammissibile il terzo, cassa il decreto impugnato nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.