Rifiuta diverse occasioni di lavoro: confermato comunque il contributo economico da parte del marito

Riconosciuto il diritto della moglie a ricevere un sostegno dal marito, sostegno quantificato in 200 euro. Non provata, secondo i Giudici, una sopravvenuta situazione di stabilizzazione economico reddituale in capo alla moglie, nonostante le occasioni di lavoro da lei rifiutate.

La moglie ha rifiutato alcuni incarichi nella scuola. Questo dato non è sufficiente però per consentire al marito di negarle un contributo economico. Cassazione, ordinanza n. 19020/20, sez. I Civile, depositata il 14 settembre . In primo grado i Giudici modificano parzialmente il decreto di omologa della separazione consensuale tra i coniugi , e, in particolare, revocano il contributo per il mantenimento della moglie , posto a carico del marito riducono a 150 euro la somma dovuta dal marito come contributo al canone di locazione dell’immobile in cui la moglie risiede con il figlio aumentano il contributo al mantenimento del figlio, determinandolo in 450 euro mensili . Tale provvedimento viene impugnato in secondo grado dal marito, con riferimento alla integrazione del canone di locazione , a suo dire non più dovuto poiché condizionato ad una migliore condizione reddituale della donna – che, secondo il marito, ha anche intrapreso una nuova relazione –, e con riferimento all’ incremento dell’assegno in favore del figlio che non ha mutato le proprie esigenze , osserva il padre, che, dal canto suo, sottolinea di avere avuto un’altra figlia . In prima battuta i Giudici d’appello escludono la debenza dell’assegno in favore del figlio , divenuto maggiorenne, che è andato a vivere con il padre . Per il periodo precedente a quel trasferimento, però, va respinta, chiariscono i giudici, la domanda di riduzione presentata dall’uomo. E allo stesso tempo il contributo da parte del marito al pagamento del canone di locazione relativo all’immobile utilizzato dalla donna va considerato intatto fino alla data in cui il figlio si è trasferito a casa dal padre. Ampliando l’orizzonte, poi, i Giudici d’appello osservano che non è emerso un miglioramento effettivo della situazione economica e reddituale della donna, contrariamente a quanto sostenuto dall’uomo. Su questo fronte i giudici hanno osservato che la donna ha sì avuto un incarico nel Nord Italia, dove si è trasferita per un periodo di 6 mesi ma non è emerso che ella abbia rifiutato offerte di lavoro che avrebbero potuto determinare un miglioramento significativo delle sue condizioni economico-reddituali . E peraltro non è risultata infine dimostrata la stabile convivenza con il nuovo compagno , concludono i giudici. In conclusione, quindi, viene respinta la richiesta della donna volta ad incrementare il contributo di 150 euro al pagamento del canone di locazione, mentre viene accolta la sua domanda mirata al riconoscimento di un contributo per sé, in relazione alla rilevante sperequazione economica e reddituale tra i coniugi, quantificato in 200 euro mensili . Inutile poi la decisione del marito di proporre ricorso in Cassazione. Confermata in toto, difatti, la decisione presa dai Giudici d’appello. Centrale in terzo grado è il richiamo al presunto rifiuto di incarichi lavorativi in alcune scuole del Nord Italia da parte della donna . Su questo fronte il marito precisa di aver provato a richiedere idonea documentazione agli istituti scolastici ma di aver ottenuto rifiuti giustificati dalla tutela della privacy . Dalla Cassazione però ribattono che in secondo grado, all’esito di una valutazione complessiva delle emergenze istruttorie, non è stata provata da parte dell’uomo una sopravvenuta situazione di stabilizzazione economico reddituale in capo alla donna , dal momento che le dedotte occasioni di lavoro non avevano questa caratteristica, sia per la loro collocazione geografica che per il carattere episodico .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 16 luglio – 14 settembre 2020, n. 19020 Presidente Giancola – Relatore Acierno Fatti di causa e ragioni della decisione Il Tribunale di Modica a parziale modifica del decreto di omologa della separazione consensuale tra Pa. Cu. e Ma. Au. Mi. ha revocato il contributo per il mantenimento della moglie, posto a carico del Cu., ha ridotto a 150 Euro la somma dovuta dal Cu. come contributo al canone di locazione dell'immobile nel quale la stessa risiede con il figlio ed ha aumentato il contributo al mantenimento di quest'ultimo determinandolo in Euro 450 mensili. Il provvedimento è stato reclamato dal Cu. sia in relazione all'integrazione del canone di locazione ritenuto non più dovuto perché condizionato ad una migliore condizione reddituale della Mi. medio tempore raggiunta dovuta all'aver intrapreso una nuova convivenza, sia in relazione all'incremento dell'assegno in favore del figlio il quale non aveva mutato le proprie esigenze mentre al reclamante era nata un'altra figlia. Ha chiesto infine la precisa determinazione della decorrenza delle obbligazioni comunque accertate come dovute. In primo luogo, la Corte d'Appello ha escluso la debenza dell'assegno in favore del figlio Salvatore, divenuto maggiorenne, che è andato a vivere con il padre a partire dal 30 agosto 2014. Da tale data deve ritenersi cessato l'obbligo di corrispondere la somma come determinata dal Tribunale. Poiché tuttavia l'evento sopravvenuto si è verificato dopo il deposito del ricorso la Corte ha ritenuto necessario statuire sulla domanda di riduzione avanzata dal reclamante, reputandola infondata fino al mutamento di residenza. In secondo luogo la Corte ha ritenuto che il contributo al pagamento del canone di locazione dovesse essere conservato fino al 30 agosto 2014, data in cui il figlio si è trasferito, non essendo emerso un miglioramento effettivo della situazione economica e reddituale della Mi., come invece dedotto dal coniuge. La stessa ha avuto un incarico nel Nord Italia, dove si è trasferita per un periodo tra il febbraio ed il luglio del 2012 ma non è emerso che abbia rifiutato offerte di lavoro che avrebbero potuto determinare un miglioramento significativo delle condizioni economico-reddituali. Non è risultata infine dimostrata la stabile convivenza con il nuovo compagno. Le dichiarazioni del figlio minore al riguardo non possono qualificarsi come testimonianza, essendo la sua audizione uno strumento dettato da finalità diverse. Viene infine rigettato il motivo di reclamo incidentale della Mi. volto ad incrementare il contributo di Euro 150 ma viene accolto quello finalizzato al riconoscimento di un contributo per sé, in relazione alla rilevante sperequazione economica e reddituale tra i coniugi, quantificato il Euro 200 mensili. Ha proposto ricorso per cassazione Pa. Cu. accompagnato da memoria. Ha depositato controricorso Ma. Au. Mi Nel primo motivo viene dedotto il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. in relazione alla domanda proposta nelle note conclusive del giudizio d'appello dall'appellante principale, depositate in data 26/6/2015 ed aventi ad oggetto il riconoscimento dell’obbligo a carico della moglie di un contributo in favore del figlio maggiorenne non autosufficiente con decorrenza 30/8/2014. Su tale domanda la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi. La censura è infondata. Nei giudizi che hanno ad oggetto le statuizioni consequenziali alla separazione personale ed al divorzio, in applicazione del principio rebus sic stantibus possono essere proposte domande in corso di causa ove siano giustificate da sopravvenienze fattuali ex multis Cass. 3925 del 2012 ma senza che possa alterarsi unilateralmente l'applicazione del principio del contraddittorio. Nella specie la parte ricorrente espressamente afferma di aver prospettato il diritto ad un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne, convivente e non autosufficiente, sopravvenuto in corso di causa, soltanto nelle note conclusive, per redigere le quali, secondo quanto emerge dalla lettura del provvedimento impugnato e dall'esame degli atti processuali, consentito in virtù del vizio denunciato, è stato dato un identico termine alle parti, così da escludere ogni possibilità d'interlocuzione alla controparte. Né è stato dedotto od allegato che il contraddittorio sulla domanda nuova sia stato officiosamente attivato dal Collegio. Deve rinviarsi, in conclusione, all'orientamento, del tutto consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale ove la domanda sulla quale si concentra il vizio di omessa pronuncia sia da ritenersi inammissibile od infondata, la Corte di cassazione non deve formalisticamente rilevare l'omissione ma evidenziare la correttezza, come nella specie, del provvedimento impugnato Cass. 16171 del 2017 9693 del 2018 . Nel secondo motivo viene dedotta la violazione dell'art. 115 c.p.c. ed il vizio di motivazione per non essere state ammesse le istanze ex art. 210 e 213 c.p.c. formulate dal Cu. per dimostrare il rifiuto di incarichi lavorativi in alcune scuole del Nord d'Italia da parte del coniuge. Il ricorrente ha precisato di aver provato a richiedere idonea documentazione agli istituti scolastici ma di aver ottenuto rifiuti giustificati dalla tutela della privacy. Le istanze erano state formulate in primo grado e ribadite in appello, come da puntuale riproduzione delle stesse nel motivo di ricorso. Al riguardo si lamenta che la motivazione del rigetto sia stata meramente apparente e che sia inconciliabile la rilevata mancanza di prova ed il rigetto delle istanze volte a colmare questa lacuna. La censura deve ritenersi inammissibile. La Corte d'Appello ha ritenuto, all'esito di una valutazione complessiva delle emergenze istruttorie, che non sia stata provata da parte del ricorrente una sopravvenuta situazione di stabilizzazione economico reddituale in capo alla resistente per il periodo nel quale è stato disposto il contributo al pagamento del canone di locazione, dal momento che le dedotte occasioni di lavoro non avevano questa caratteristica, sia per la loro collocazione geografica che per il carattere episodico. La valutazione di non rilevanza delle istanze istruttorie formulate al riguardo, di conseguenza, avendo ad oggetto l'accertamento di fatto svolto nel provvedimento impugnato, è del tutto insindacabile nel giudizio di legittimità. In conclusione, il ricorso proposto deve essere rigettato, con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio liquidandole in Euro 3000 per compensi, Euro 200 per esborsi oltre accessori di legge. Sussistono i presupposti processuali per l'applicazione dell'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002.