Divisione unitaria di masse plurime e contestazione da parte di uno dei condividenti

Nell’ipotesi di giudizio divisorio avente ad oggetto masse plurime ereditarie provenienti da titoli diversi, la divisione unitaria può avvenire per effetto del consenso comunque manifestato dai condividenti. Il condividente che contesti l’avvenuta divisione unica di masse ereditarie plurime dopo l’effettuazione della stessa sulla base del consenso dei condividenti deve risultare in portatore di un concreto ed effettivo suo interesse leso .

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18910/20, depositata l’11 settembre. Due fratelli convenivano in giudizio la sorella per sentire dichiarare nullo o, in subordine, annullato l’atto di rogito con cui la convenuta aveva acquistato dai genitori un appartamento. Gli attori chiedevano inoltre la declaratoria di nullità dei testamenti olografi dei genitori in cui veniva disposto il lascito, a titolo di disponibile e per ogni eccedenza a titolo di legittima, alla sola convenuta di un altro immobile. Secondo gli attori tali beni immobili rientravano nell’ asse ereditario e ne chiedevano dunque la devoluzione, previa formazione di un comodo progetto di divisione. Il Tribunale rigettava la domanda ma la Corte d’Appello ribaltava la decisione e, dopo aver dichiarato aperta la successione, determinava il valore complessivo della massa ereditaria e il valore delle quote spettanti a ciascun coerede, condannando la convenuta al pagamento di oltre 50mila euro a ciascuno dei fratelli. La sentenza è stata impugnata dinanzi alla Suprema Corte. Tra le diverse censure proposte, parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme giuridiche inerenti la divisione ereditaria di masse plurime , ritenendo che si sarebbero dovute avere tante divisioni quanti erano i beni provenienti da titoli diversi. A sostegno di tale argomentazione, viene richiamata la pronuncia n. 314/2009 laddove la medesima Corte di legittimità afferma che nel caso di divisioni di beni provenienti da titoli diversi, e perciò appartenenti a distinte comunioni, deve procedersi a tante divisioni per quante sono le masse , potendo invece procedersi ad una sola divisione solo se tutte le parti vi consentano mediante uno specifico negozio . Il Collegio ricorda però che il precedente citato precisava che il progetto divisionale in quel caso predisposto nel giudizio di primo grado riguardava indistintamente tutte le masse ereditarie a prescindere dai diversi titoli di provenienza e i condividenti nulla avevano contestato sul punto . Nel caso di specie, la ricorrente nulla ha addotto riguardo alla necessaria contestazione circa il progetto di divisione con conseguente carattere innovativo della censura rispetto al giudizio di merito e infondatezza della doglianza. Da ultimo, il Collegio, al fine di precisare il contenuto del precedente invocato, afferma che nell’ipotesi di giudizio divisorio avente ad oggetto masse plurime ereditarie provenienti da titoli diversi, la divisione unitaria può avvenire per effetto del consenso comunque manifestato dai condividenti. Il condividente che contesti l’avvenuta divisione unica di masse ereditarie plurime dopo l’effettuazione della stessa sulla base del consenso dei condividenti deve risultare in portatore di un concreto ed effettivo suo interesse leso da tale di procedimento unitario divisionale . Il ricorso viene in conclusione rigettato e parte ricorrente viene condannata al pagamento delle spese di giudizio a favore dei controricorrenti.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 gennaio – 11 settembre 2020, n. 18910 Presidente Lombardo – Relatore Oricchio Considerato in fatto I germani B.M. e G. convenivano in giudizio innanzi al tribunale di Salerno la di loro sorella B.R.F. al fine di sentire dichiarare nullo o, in subordine, annullato, in quanto simulato ed in frode ad essi attori, l'atto pubblico per notaio G. del 20 dicembre 1966. Con detto rogito la germana evocata in giudizio aveva acquistato da V.R. e M. un appartamento ubicato in omissis , in atti specificamente descritto ed individuato. Parti attrici chiedevano, inoltre, la declaratoria di nullità dei testamenti olografi di entrambi i loro genitori B.M. e S.M.R., atti dispositivi - entrambi di identico contenuto - disponenti il lascito, a titolo di disponibile e per ogni eccedenza a titolo di legittima, alla sola figlia R.F. di altro immobile alla omissis , anch'esso in atti specificamente descritto ed identificato. Veniva, per conseguenza, domandata dagli attori la devoluzione di tutti gli anzidetti beni immobili quali beni ereditari, a tutti i tre i germani M., G. e R.F. secondo legge previa formazione di un comodo progetto di divisione, con condanna dei possessori dei beni stessi al pagamento dei frutti e delle rendite naturali maturate. Gli attori chiedevano, altresì ed in via di ulteriore subordine, la declaratoria di simulazione del citato atto del 1966 per atto notaio G. da intendersi come atto di donazione da parte del genitore B.M. in favore di B.R.F Costituitasi in giudizio la parte convenuta resisteva alle avverse domande attoree di cui chiedeva il rigetto. L'adito Tribunale, con sentenza n. 2801/2007, rigettava le domande proposte dalle parti attrici e compensava tra le parti le spese di lite. Con la detta decisione veniva ritenuto che, nella fattispecie, andava configurata la donazione indiretta dell'immobile di omissis e non del denaro impiegato per l'acquisto veniva, inoltre, reputata l'insussistenza di qualsiasi motivo di nullità e/o annullabilità dei succitati testamenti olografi. Gli originari attori interponevano appello avverso la sentenza del Tribunale di prima istanza, della quale veniva richiesta la riforma. Il gravame era resistito dalla B.R.F., che instava per il rigetto dell'appello. L'adita Corte di Appello di Salerno, con sentenza n. 385/2016 accoglieva la proposta impugnazione e, in riforma della gravata decisione, dichiarava aperta la successione di S.M.R. e di B.M. determinava in Euro 323mi1a il valore complessivo della massa ereditaria, in Euro 107.666,66 l'ammontare della quota disponibile ed in Euro 71.777,77 l'ammontare della quota legittima spettante a ciascun coerede determinava in Euro 179.444,43 la quota spettante a B.R.F., condannata al pagamento in favore di ciascuno dei suoi due germani della somma di Euro 57.316,98, nonchè alla refusione delle spese di lite. Per la cassazione della detta decisione della Corte territoriale ricorre la B.R.F. con ricorso fondato su cinque ordini di motivi e resistito con controricorso dai germani intimati. Le parti hanno depositato memorie. Ritenuto in diritto 1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione delle norme sostanziali regolanti la legge cambiaria per quanto attiene la prova del pagamento art. 360 c.p.c., n. 3 ed art. 45 Legge Cambiaria, artt. 2726 e 2967 c.c. e art. 116 c.p.c. . La doglianza è tutta incentrata, nella sostanza, sulla valutazione della prova in relazione al pagamento dei titoli cambiari a mezzo dei quali fu effettuato l'acquisto dell'immobile di omissis . Il possesso dei titoli, da parte dell'odierna ricorrente, e le girate dei titoli avrebbero dovuto indurre - secondo la prospettazione di cui al motivo del ricorso in esame - a far ritenere che il pagamento era stato effettuato da colei che possedeva i titoli. La Corte del merito ha, viceversa e nell'ambito delle proprie prerogative, svolto accertamento inteso a verificare la sussistenza, in punto di fatto, di una donazione indiretta. A tal fine il Giudice del merito ha valorizzato le risultanze della prova testimoniale, ritenute idonee al fine del detto accertamento. Orbene col motivo si tende proprio a contestare la valutazione dell'esito dello svolto accertamento così come operata dalla Corte del meriti Si tratta, quindi, di perseguire - da parte della ricorrente - l'intento di ottenere, in sede di giudizio di legittimità, un nuovo accertamento di carattere meritale non più possibile. Il motivo è, quindi, inammissibile. 2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione delle norme sostanziali regolanti le presunzioni semplici e la loro valutazione art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 2727 e 2729 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. . Viene contestata ad opera della ricorrente la valorizzazione, operata dalla Corte territoriale, del dato inerente la qualifica di casalinga ed impossidente della ricorrente. Quel dato stimato è stato valutato dalla Corte territoriale, con accertamento in punto di fatto, al fine di ritenere che l'acquisto de quo non avvenne direttamente dalla odierna parte ricorrente e con sua autonoma provvista economica. Col motivo del ricorso si tende oggi ad ottenere una nuova valutazione di quel dato, la quale è preclusa nell'odierno giudizio di legittimità. Peraltro quel dato di impossidenza non risulta neppure essere stato idoneamente contestato nel giudizio di merito. E, per di più, la verifica di quel dato ad opera della Corte del merito è stato svolto nel contesto di un complessivo accertamento, il cui risultato finale - ovvero una valutazione in punto di puro fatto - non può essere riaffrontato in sede di legittimità anche alla stregua del vigente sistema processuale in base al quale - e secondo consolidata giurisprudenza - al cospetto della motivata valutazione data, come in ipotesi, dalla sentenza del Giudice del merito solo un irrimediabile contrasto o una anomalia motivazionale possono condurre alla cassazione della decisione . Il motivo è, quindi, inammissibile. 3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme sostanziali e processuali regolanti l'interrogatorio formale, la sua assunzione e la sua valutazione art. 360 c.p.c., n. 3 e artt. 2730-2734 c.c., nonchè artt. 230,115 e 116 c.p.c. . Il motivo non può essere accolto, per un verso, in ragione della mancata osservanza del noto requisito dell'autosufficienza, che imponeva alla parte di trascrivere o riportare nei suoi elementi essenziali il contenuto dell'interrogatorio formale, in relazione al quale si fa questione. Il motivo stesso, per di più, elude del tutto la prospettazione della assoluta decisività, nel complessivo contesto istruttorio, del medesimo interrogatorio formale. Il motivo va, quindi, respinto. 4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di violazione e falsa applicazione delle specifiche norme giuridiche inerenti la divisione ereditaria di masse plurime art. 360 c.p.c., n. 3 e artt. 726 c.c. e segg., art. 747 c.c. . Parte ricorrente si duole del fatto che, con la divisione per come stabilita dalla sentenza impugnata, vi sia stata una violazione delle suddette norme e non si sarebbe provveduto a svolgere più divisioni per effetto della non unicità, per provenienza, delle masse ereditarie. Insomma, secondo la prospettazione del motivo, si sarebbero dovute avere tante divisioni quanti erano beni provenienti da titoli diversi. Al fine di corroborare il proprio assunto parte ricorrente si rifà a noto orientamento giurisprudenziale ed a molteplici massime citate in ricorso Cass. n.ri 2231/1985 e 5694/2012, nonchè - in particolare - 314/2209 e 5798/1992 . La parte cita giustamente e riporta parzialmente Cass. n. 314/2009 nel punto in cui vi si afferma che nel caso di divisioni di beni provenienti da titoli diversi, e perciò appartenenti a distinte comunioni, deve procedersi a tante divisioni per quante sono le masse, potendo invece procedersi ad una sola divisione solo se tutte le parti vi consentano mediante uno specifico negozio Cass. 15.5.1992 n. 5798 , cosicchè il litisconsorzio necessario tra i condividenti sussiste soltanto all'interno del giudizio di divisione relativo a ciascuna massa . Senonchè dalla lettura della medesima decisione citata dalla parte ricorrente emerge anche e al di là della massima che tuttavia la sentenza impugnata in quel giudizio è sorretta da una autonoma ratio decidendi non oggetto di censura in questa sede, atteso che la Corte territoriale ha ritenuto che di fatto il progetto divisionale predisposto nel giudizio di primo grado aveva riguardato indistintamente tutte e tre le masse ereditarie a prescindere dai diversi titoli di provenienza, e ciò senza alcuna contestazione da parte dei condividenti . Orbene, affermando oggi semplicemente che la censura sarebbe stata sollevata dalla ricorrente per il suo interesse concreto ed attuale a vedersi riconosciuta l'effettiva sua quota per le successioni tastamentarie dei compianti genitori , il motivo nulla adduce al riguardo di quella necessaria contestazione da parte del condividente , pretesamente indicata come avvenuta , ma non rilevabile dalla decisione gravata, nè indicata compiutamente dalla parte ricorrente. Ciò comporta, innanzitutto, il carattere innovativo della censura rispetto al giudizio di merito e l'insussistenza - proprio secondo la giurisprudenza citata - della fondatezza della doglianza. Va, in ultimo, aggiunto anche al fine di precisare meglio il dicutum di Cass. n. 314/2009 e delle altre citate pronunce ed affermato, quindi, che nell'ipotesi di giudizio divisorio avente ad oggetto masse plurime ereditarie provenienti da titoli diversi, la divisione unitaria può avvenire per effetto del consenso comunque manifestato dai condividenti ed, ancora, che il condividente che contesti l'avvenuta divisione unica di masse ereditarie plurime dopo l'effettuazione della stessa sulla base del consenso dei condividenti deve risultare in portatore di un concreto ed effettivo suo interesse leso da tale tipo di procedimento unitario divisionale . Il motivo va, dunque, rigettato. 5.- Con il quinto motivo si deduce la violazione di norme inerenti la determinazione del valore dei beni comuni da dividere art. 360 c.p.c., n. 3 e artt. 558,726,745,747 c.c. e segg. Il motivo sollecita un nuovo esame ed una novella valutazione in punto di fatto. Ed, invero, la determinazione del valore dei beni è oggetto precipuo dell'accertamento cui, per legge, sono appositamente preposti i Giudici del merito. Il motivo è, pertanto, inammissibile. 6.- Alla stregua di quanto esposto, affermato e ritenuto, il ricorso va rigettato. 7.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo. 8.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio, determinate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.