Cliente defunto e avvocato a bocca asciutta: la moglie erede è tenuta al pagamento dell’intero debito?

In presenza di un debito ereditario, chi eccepisce l’esistenza di altri coeredi, nonché la divisione pro quota del debito ereditario, ha l’onere di provarne l’esistenza, la consistenza numerica, il titolo alla successione e la stessa qualifica di eredi.

Lo ha ribadito la Cassazione con sentenza n. 17122/20 depositata il 13 agosto. L’ avvocato conveniva in giudizio la moglie del cliente ormai defunto chiedendone la condanna al pagamento del compenso professionale spettante per l’attività difensiva svolta in suo favore nel procedimento di separazione giudiziale. Avverso l’ordinanza con cui il Tribunale accoglieva la domanda dell’avvocato, la convenuta propone ricorso per cassazione lamentando che la decisione del Collegio è stata fondata sull’erroneo presupposto che lei fosse l’ unica erede del defunto. In particolare, la ricorrente sostiene che nell’ordinamento non esiste disposizione che stabilisca che in presenza di più chiamati all’eredità, chi accetti l’eredità e assuma così la qualità di erede debba pagare interamente un debito ereditario. Secondo la Cassazione il motivo di ricorso è infondato e la ricorrente è obbligata al pagamento dell’intera somma , in quanto, se non vi è dubbio sulla sua qualità di erede, ella non ha provato la qualità di eredi dei fratelli del marito. Ed infatti, ribadisce la Corte, chi eccepisce l’esistenza di altri coeredi , nonché la divisione pro quota del debito ereditario, ha l’onere di provarne l’esistenza , la consistenza numerica agli effetti della eccepita divisione del debito in proporzione della rispettiva quota ereditaria , il titolo alla successione e la stessa qualifica di eredi . Pertanto, i Giudici di legittimità hanno ritenuto inconferente il riferimento operato dalla ricorrente all’orientamento che distingue l’ambito di operatività dell’art. 752 c.c., relativo ai rapporti tra coeredi, e quello dell’art. 754, secondo cui i creditori possono pretendere nei confronti di ciascun erede l’adempimento della prestazione divisibile in misura non eccedente la rispettiva quota ereditaria.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 ottobre 2019 – 13 agosto 2020, n. 17122 Presidente d’Ascola – Relatore Mercheis Fatti di causa 1. Con ricorso dell’11 maggio 2015 l’avvocato P.E. conveniva in giudizio D.M.A. , in qualità di erede del marito G.G. , chiedendone la condanna al pagamento del compenso professionale spettante per l’attività difensiva svolta in favore di G. nel procedimento di separazione giudiziale, poi dichiarato estinto, iscritto al r.g.n. 4032/2010 del Tribunale di Avellino. Il Tribunale - con ordinanza 21 luglio 2015, n. 154 - ha accolto il ricorso e ha condannato D.M. a pagare in favore di P. la somma di Euro 3.141, oltre a IVA e CPA. 2. Contro l’ordinanza ricorre per cassazione D.M.A. . L’intimata P.E. non ha proposto difese. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c Il ricorso è stato inizialmente assegnato alla sesta sezione, che, con ordinanza n. 1978/2017, ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1 e ha rimesso il ricorso alla pubblica udienza. Considerato in diritto Che I. Preliminarmente va affermata l’ammissibilità del ricorso. L’ordinanza impugnata è infatti stata resa dal Tribunale in composizione collegiale ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, comma 2 e pertanto la medesima è inappellabile ex comma 4 del medesimo art. 14, v., per la diversa ipotesi in cui il Tribunale consapevolmente abbia pronunciato ordinanza monocratica, Cass. 24515/2018 e ricorribile in via straordinaria per cassazione. II. Il ricorso è basato su un unico motivo che lamenta violazione dell’art. 754 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 il Tribunale avrebbe ingiustamente condannato la ricorrente a pagare l’intera somma liquidata all’avvocato P. , sull’erroneo presupposto che fosse lei l’unica erede del G. , quando non esiste nell’ordinamento nessuna disposizione di legge che stabilisce che in presenza di più chiamati all’eredità - come nel caso in esame - chi accetta l’eredità e assume di conseguenza la qualità di erede deve pagare interamente un debito ereditario . Il motivo è infondato. Il Tribunale ha infatti affermato che la ricorrente è obbligata al pagamento dell’intera somma, in quanto, pacifica la sua qualità di erede, non ha provato la qualità di erede ma al più la mera qualità di chiamati all’eredità dei fratelli del marito. La ricorrente, d’altro canto, che deduce di non essere l’unica erede di G.G. perché, nella successione legittima di quest’ultimo, concorre con i fratelli e sorelle del defunto, e cioè M. , A. , An. , N. e L. e dichiara di averne prodotto apposita documentazione , non ha provato l’esistenza di altri eredi, ma, essendosi limitata a depositare la copia certificato anagrafico dei figli procreati dai coniugi G.R. e I.L. , genitori del defunto G.G. , ha - come ha affermato il Tribunale - al più provato la mera qualità di chiamati all’eredità dei germani del marito. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, chi eccepisce l’esistenza di altri coeredi, nonché la divisione pro quota del debito ereditario, ha l’onere di provarne l’esistenza, la consistenza numerica agli effetti della eccepita divisione del debito in proporzione della rispettiva quota ereditaria , il titolo alla successione e la stessa qualifica di eredi così Cass. 2291/1996 , prova che il Tribunale ha correttamente ritenuto non essere stata fornita nel caso in esame. Inconferente è quindi il riferimento, operato dalla ricorrente, all’orientamento che distingue tra l’ambito di operatività dell’art. 752 c.c., che concerne i rapporti tra coeredi, e quello dell’art. 754 c.c., in base al quale i creditori possono pretendere nei confronti di ciascun erede l’adempimento della prestazione divisibile in misura non eccedente la rispettiva quota ereditaria. III. Il ricorso va quindi rigettato. Nulla viene disposto in punto spese, non avendo l’intimata svolto difese nel presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Sussistono, ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.