Un credito d’imposta non basta per mettere in discussione i redditi dell’ex coniuge

Respinta la tesi portata avanti da un uomo e finalizzata a mettere in discussione l’assegno che deve versare all’ex moglie. Il dato relativo al credito d’imposta non basta a ipotizzare che esso sia destinato ad incidere durevolmente sulle entrate della ex.

La mera presenza di un credito d’imposta nella dichiarazione dei redditi di un coniuge – la moglie, in questo caso – non basta per mettere in discussione l’onere assegnato all’altro coniuge di provvedere a versare l’assegno divorzile stabilito in Tribunale Cassazione, ordinanza n. 3112/20, sez.VI Civile - 1, depositata oggi . Assegno. Una volta sancita la cessazione degli effetti civili del matrimonio”, i giudici del Tribunale pongono a carico dell’uomo l’obbligo di corrispondere alla donna un importo mensile di 300 euro a titolo di assegno divorzile”. In Appello la posizione dell’uomo si fa meno pesante i giudici stabiliscono difatti che l’assegno mensile da 300 euro” vada pagato alla donna fino alla estinzione del mutuo da lei contratto per l’acquisto della casa di abitazione”. Questa parziale vittoria non soddisfa però l’uomo, che sceglie di proporre ricorso in Cassazione, puntando i riflettori sull’effettivo reddito” dell’ex moglie e sottolineando la mancata valutazione di un credito d’imposta risultante dalla dichiarazione dei redditi” da lei presentata. Redditi. I Giudici della Cassazione ritengono però l’elemento richiamato dall’uomo assolutamente non decisivo. Difatti, anche a voler ritenere che il credito d’imposta riportato nella dichiarazione dei redditi costituisca un fatto storico autonomo rispetto al reddito personale della donna, da sottoporre a valutazione nell’ambito del giudizio volto ad accertare l’inadeguatezza dei mezzi a sua disposizione”, tale circostanza non può considerarsi idonea”, spiegano i giudici, ad orientare in senso diverso la decisione, non essendo stata individuata neppure la fonte del credito d’imposta e non potendo quindi ipotizzarsi che esso, riportato nella dichiarazione fiscale relativa all’anno 2011, sia destinato ad incidere durevolmente sulle entrate della contribuente, in quanto avente la propria causale in atti o fatti rilevanti anche ai fini della quantificazione del reddito degli anni successivi”. Peraltro, la funzione equilibratrice perequativa attribuita all’assegno divorzile impone di procedere, ai fini del riconoscimento del relativo diritto, ad un giudizio complessivo rispetto al quale la comparazione delle posizioni reddituali e patrimoniali delle parti costituisce soltanto un aspetto, complementare ed equiordinato rispetto alla valutazione degli altri indicatori previsti dalla prima parte dell’art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970”. Di conseguenza, l’errore eventualmente commesso nella determinazione del reddito di uno dei coniugi in tanto può assumere una portata decisiva, in quanto si deduca e si dimostri che lo stesso ha comportato una significativa alterazione del rapporto tra le situazioni economiche delle parti, tale da inficiare le conclusioni cui si è pervenuti, anche attraverso la valutazione del contributo fornito da ciascun coniuge alla realizzazione della vita familiare ed alle aspettative professionali ed economiche a tal fine sacrificate”.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 10 gennaio – 10 febbraio 2020, n. 3112 Presidente Scaldaferri – Relatore Mercolino Fatto e diritto Rilevato che il Tribunale di Perugia, dopo aver pronunciato, con sentenza non definitiva del 18 gennaio 2017, la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da Ma. An. con Si. Va., con sentenza definitiva dell'8 giugno 2017 pose a carico dell'uomo l'obbligo di corrispondere alla donna un importo mensile di Euro 300,00, da rivalutarsi annualmente secondo l'indice Istat, a titolo di assegno divorzile, con decorrenza dalla data della sentenza che l'impugnazione proposta dall'An. è stata parzialmente accolta dalla Corte d'appello di Perugia, che con sentenza del 22 marzo 2018 ha confermato l'importo dell'assegno, ma ne ha disposto il pagamento fino alla estinzione del mutuo contratto dalla Va. per l'acquisto della casa di abitazione che avverso la predetta sentenza l'An. ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, illustrato anche con memoria, al quale la Va. ha resistito con controricorso. Considerato che è inammissibile la memoria depositata dal ricorrente a mezzo posta, in quanto pervenuta in Cancelleria l'8 gennaio 2019, e quindi successivamente alla scadenza del termine previsto dall'art. 380-bis, secondo comma, cod. proc. civ., ai fini del quale non assume alcun rilievo la data della spedizione, non essendo applicabile in via analogica l'art. 134, comma quinto, disp. att. cod. proc. civ., il quale riguarda esclusivamente il ricorso ed il controricorso cfr. Cass., Sez. VI, 27/11/2019, n. 21041 Cass., Sez. III, 29/08/2019, n. 21777 27/11/2018, n. 30592 che con l'unico motivo d'impugnazione il ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione dell'art. 5 della legge 1. dicembre 1970, n. 898, nonché l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che la sentenza impugnata non ha esaminato il motivo di gravame con cui era stato censurato l'accertamento del reddito della Va., in relazione alla mancata valutazione di un credito d'imposta risultante dalla dichiarazione dei redditi che, in tema di ricorso per cassazione, questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che, ove venga dedotto un vizio di motivazione, il ricorrente è tenuto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., non solo ad indicare il fatto storico del quale lamenta l'omesso esame ed il dato testuale o extratestuale da cui lo stesso risulta, ma anche come e quando tale fatto abbia costituito oggetto di dibattito processuale tra le parti e le ragioni per cui esso deve considerarsi decisivo cfr. Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 Cass., Sez. VI, 10/08/2017, n. 19987 che nella specie, anche a voler ritenere che il credito d'imposta riportato nella dichiarazione dei redditi costituisca un fatto storico autonomo rispetto al reddito personale del coniuge, da sottoporre a valutazione nell'ambito del giudizio volto ad accertare l'inadeguatezza dei mezzi a sua disposizione, non risulta indicata la sede in cui tale circostanza è stata specificamente fatta valere, essendosi il ricorrente limitato a trascrivere, a corredo delle proprie censure, un passo del richiamato motivo di appello, in cui si limitava ad affermare genericamente la superiorità del reddito effettivo della Va. rispetto a quello accertato dal Giudice di primo grado, senza fare alcun cenno al credito d'imposta che in ogni caso, sulla base delle scarne indicazioni fornite dal ricorrente, la predetta circostanza non può considerarsi idonea ad orientare in senso diverso la decisione, non essendo stata individuata neppure la fonte del credito d'imposta e non potendo quindi ipotizzarsi che lo stesso, riportato nella dichiarazione fiscale relativa all'anno 2011, sia destinato ad incidere durevolmente sulle entrate della contribuente, in quanto avente la propria causale in atti o fatti rilevanti anche ai fini della quantificazione del reddito degli anni successivi che peraltro, secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, che ha comportato il superamento dei principi enunciati nel precedente richiamato dalla difesa del ricorrente cfr. Cass., Sez. I, 10/05/ 2017, n. 11504 , la funzione equilibratrice-perequativa attribuita all'assegno divorzile impone di procedere, ai fini del riconoscimento del relativo diritto, ad un giudizio complessivo rispetto al quale la comparazione delle posizioni reddituali e patrimoniali delle parti costituisce soltanto un aspetto, complementare ed equiordinato rispetto alla valutazione degli altri indicatori previsti dalla prima parte dell'art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970 cfr. Cass., Sez. Un., 11/07/2018, n. 18287 che, nell'ambito del predetto giudizio, l'errore eventualmente commesso nella determinazione del reddito di uno dei coniugi in tanto può assumere una portata decisiva, in quanto si deduca e si dimostri che lo stesso ha comportato una significativa alterazione del rapporto tra le situazioni economiche delle parti, tale da inficiare le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, anche attraverso la valutazione del contributo fornito da ciascun coniuge alla realizzazione della vita familiare ed alle aspettative professionali ed economiche a tal fine sacrificate che il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.