Attribuzioni patrimoniali nella convivenza more uxorio tra obbligazioni naturali e arricchimento senza causa

In tema di convivenza more uxorio è configurabile un indebito arricchimento ed è pertanto possibile proporre il relativo rimedio giudiziale, nel caso in cui le prestazioni rese da un convivente e convertite a vantaggio dell'altro esorbitano dai limiti di proporzionalità e adeguatezza, ossia esulano dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza, il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto.

Il caso. Il Tribunale di Torino, nel 2016, nell’accogliere parzialmente le istanze di un uomo, condannava la sua ex convivente a corrispondere, in suo favore, una cospicua somma di denaro. Rigettava la domanda ai sensi dell’art. 2549 c.c. – escludendo, dalla ricostruzione del complesso rapporto economico intercorso tra le parti in venti anni di convivenza, che tra i due fosse sussistente un accordo qualificabile in termini di associazione in partecipazione – qualificandola come azione di arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041 c.c. e ritenendo sussistente il requisito della sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c Avverso la sentenza la donna proponeva ricorso per Cassazione, sulla base di tre motivi, a seguito di ordinanza di inammissibilità dell’appello della Corte territoriale di Torino. L’uomo resisteva in giudizio con controricorso e proponeva ricorso incidentale condizionato all’accoglimento del principale. Motivi di impugnazione. La ricorrente con il primo motivo si doleva del fatto che il Tribunale di Torino non avesse escluso l’esperibilità dell’azione di indebito arricchimento, tenuto conto dell’esistenza di un titolo contrattuale. Con il secondo motivo lamentava il fatto che la sentenza impugnata non avesse ritenuto di ricondurre i versamenti di denaro effettuati dall’uomo nel corso degli anni nella categoria delle obbligazioni naturali, ritenendo invece che fossero assoggettabili all’azione di indebito arricchimento. Con il terzo motivo, infine, deduceva la nullità della sentenza per mancata statuizione su alcuni capi della domanda, non avendo il giudice di prime cure esaminato le vicende patrimoniali riguardanti tutti gli immobili acquistati ed alienati nell’arco temporale di un ventennio. Osservazioni della Corte di Cassazione. Premesso che nel ricorso per Cassazione è fatta espressa menzione dei motivi di appello ed è riportato il tenore della decisione di inammissibilità della Corte torinese, dovendosi evidenziare l'insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice del gravame, i Supremi Giudici della Terza Sezione - richiamandosi alla giurisprudenza di legittimità, cui risulta essersi conformato il giudice torinese - affermano che quella di indebito arricchimento costituisce un’azione autonoma, per diversità della causa petendi , rispetto alle azioni fondate su titolo negoziale ed ha natura sussidiaria, potendo essere esercitata soltanto quando manchi un titolo specifico sul quale possa essere fondato un diritto di credito. L’azione per ingiustificato arricchimento, disciplinata dal legislatore all’art. 2041 c.c., configura un rimedio attraverso il quale chi si sia arricchito, senza una giusta causa, a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a compensare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. In definitiva, l’azione si fonda sulla sussistenza di un arricchimento, posto in correlazione con un depauperamento, avvenuto in mancanza di una giusta causa. Ciò premesso, i Giudici di Piazza Cavour ritengono non sia sussistente tra le parti un accordo qualificabile in termini di associazione in partecipazione e che la sentenza impugnata abbia ritenuto, in coerenza con la giurisprudenza di legittimità, che le attribuzioni patrimoniali effettuate dall’uomo non possano essere ricondotte all’adempimento di un dovere morale e sociale e rientrare, in tal modo, nel novero delle obbligazioni naturali, in quanto esorbitano dalle esigenze familiari e non rispettano i minimi di proporzionalità e adeguatezza di cui all’art. 2034 c.c. Come affermato in dottrina, sebbene il presupposto della proporzionalità non sia menzionato dal codice civile, esso deve ritenersi implicito nella stessa idea di obbligazione naturale, in quanto alla stregua della coscienza sociale non è doveroso ciò che va al di là di quanto l’adempiente può ragionevolmente fare o di quanto il beneficiario abbia ragionevolmente bisogno. In definitiva è ammissibile l'azione di arricchimento senza causa nel caso di convivenza more uxorio ove le prestazioni di uno a vantaggio dell'altro convivente superino l'adempimento delle obbligazioni normalmente connesse e originate dal rapporto di convivenza in termini di proporzionalità e di adeguatezza. Conclusione. I Giudici della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, dichiarano inammissibile il ricorso principale e assorbito quello incidentale. Condannano altresì la ricorrente principale al pagamento delle spese di lite, dando atto, infine, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 10 settembre 2019 – 3 febbraio 2020, n. 2392 Presidente Frasca – Relatore Valle Fatti di causa B.M.C. impugna per cassazione, a seguito di ordinanza di inammissibilità dell’appello della Corte territoriale di Torino, la sentenza del Tribunale della stessa sede di accoglimento parziale delle domande proposte nei suoi confronti da S.E.G. e di condanna alla corresponsione, in favore dello stesso, della complessiva somma di oltre Euro quattrocentosessantamila, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma rivalutate ed interessi dalla sentenza. S.E.G. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato. Entrambe le parti hanno depositato memorie nel termine di legge. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso principale e assorbimento del ricorso incidentale condizionato. Ragioni della decisione In via preliminare si rileva che nel ricorso per cassazione risultano riportati i motivi di appello ed il tenore della decisione d’inammissibilità adottata dalla Corte territoriale di Torino, conformemente ai precedenti specifici di questa Corte segnatamente Cass. n. 10722 del 15/05/2014 Rv. 630702-01 e n. 8942 del 17/04/2014 Rv. 630332-01 , cosicché deve escludersi che si sia formato giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice dell’impugnazione di merito. La domanda di S.E.G. era stata originariamente proposta come derivante dall’associazione in partecipazione che era intercorsa tra lo stesso e l’odierna ricorrente B.M.C. . Il Tribunale di Torino ha rigettato la domanda ai sensi dell’art. 2549 c.c. e, escludendo che fossero applicabili le norme in tema di mandato e di obbligazioni naturali, qualificandola come azione di arricchimento senza causa ai sensi dell’art. 2041 c.c., l’ha accolta nei limiti sopra riportati e con riferimento a due delle operazioni di acquisto e ristrutturazione e rivendita di immobili poste in essere dalla B. e dallo S. nel corso di oltre venti anni di convivenza. I tre motivi del ricorso principale sono formulati il primo ai sensi dell’artt. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 2549 e 2042 c.c. e per la non ritenuta sussidiarietà dell’azione di indebito arricchimento il secondo è proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 2034 e 2041 c.c., ed il terzo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione ad art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., per nullità della sentenza per omessa motivazione. In ordine al primo motivo del ricorso principale, che contesta violazione o falsa applicazione di norme di legge, e segnatamente degli artt. 2549 c.c. e segg. e art. 2042 c.c., per non avere il Tribunale escluso l’esperibilità dell’azione di indebito arricchimento, in considerazione della sussistenza di un titolo contrattuale, affermato dallo stesso attore in primo grado, si rileva quanto segue. La sentenza impugnata ha affermato, coerentemente con la giurisprudenza di questa Corte Cass. n. 2350 del 31/01/2017 Rv. 642718-01 La proponibilità dell’azione generale di indebito arricchimento, in relazione al requisito di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., postula semplicemente che non sia prevista nell’ordinamento giuridico altra azione tipica a tutela di colui che lamenti il depauperamento, ovvero che la domanda sia stata respinta sotto il profilo della carenza ab origine dell’azione proposta, per difetto del titolo posto a suo fondamento e Cass. n. 17317 del 11/10/2012 Rv. 623829-01 L’azione generale di arricchimento ingiustificato costituisce un’azione autonoma, per diversità della causa petendi, rispetto alle azioni fondate su titolo negoziale ed ha natura sussidiaria, potendo essere esercitata solo quando manchi un titolo specifico sul quale possa essere fondato un diritto di credito alla quale si intende in questa sede dare seguito, che sussiste il requisito della sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., non risultando configurabile, nel complesso rapporto economico intercorso tra la B. e lo S. , un’associazione in partecipazione ai sensi degli artt. 2549 c.c. e segg Il primo motivo di ricorso non incide adeguatamente detta motivazione, che, come tratteggiato, ha escluso, sulla base di adeguata ricostruzione in fatto delle articolate vicende patrimoniali intercorse nell’arco di un ventennio tra la B. e lo S. , che fosse sussistente tra i due predetti conviventi un accordo qualificabile in termini di associazione in partecipazione e non si è, pertanto, limitata a ritenere che l’associazione in partecipazione non fosse provata. Il secondo mezzo è proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 2034 e 2041 c.c., per non avere la sentenza impugnata ritenuto di ricondurre le dazioni e comunque i versamenti di denaro effettuati dallo S. al paradigma normativo dell’obbligazione naturale, di cui all’art. 2041, ritenendo, viceversa che esse fosse assoggettabili all’azione di indebito arricchimento in danno della B. . Il motivo non coglie nel segno. La sentenza in scrutinio ha affermato, con accertamento di fatto, non adeguatamente censurato, che l’importo delle operazioni effettuate, del valore superiore alle centinaia di milioni delle vecchie lire nel vigore del precedente corso legale e comunque superiore a centinaia di migliaia di Euro anche per importi di Euro cinquecentomila non potevano essere ricondotte all’adempimento di un dovere morale e sociale, così da rientrare nella previsione di irripetibilità di cui all’art. 2034 c.c., in quanto esorbitanti dalle esigenze familiari e che non rispettano i minimi di proporzionalità ed adeguatezza di cui all’art. 2034 c.c La conclusione della sentenza impugnata è, peraltro, coerente con l’affermazione della giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale Cass. n. 3713 del 13/03/2003 Rv. 561116-01 Un’attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio configura l’adempimento di un’obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens . Sul punto, ed in via conclusiva, sul secondo mezzo, si ribadisce che Cass. n. 11330 del 15/05/2009 Rv. 608287-01 L’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale. È, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza - il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto - e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza . Il terzo motivo di ricorso deduce nullità della sentenza per mancata statuizione su alcuni capi della domanda art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione ad art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., per nullità della sentenza per omessa motivazione , non avendo la sentenza del Tribunale esaminato le vicende patrimoniali riguardanti tutti gli immobili acquistati ed alienati nell’arco di un ventennio. Il mezzo è inammissibile i beni immobili e le operazioni immobiliari dedotte in causa con la domanda originaria da parte dello S. erano soltanto alcuni precisamente quello di omissis e di omissis di quelli costituenti oggetto dei complessi rapporti affettivi e patrimoniali intercorsi, come si è detto, nell’arco di oltre un ventennio, tra la B. e lo S. . La B. non ha mai, e comunque qualora lo abbia fatto non ha specificato in ricorso come dove e quando processualmente ciò sia avvenuto, ossia in quali atti difensivi in primo o secondo grado, abbia dedotto in causa altre operazioni di acquisto e vendita di altri beni immobili, con la conseguenza che la sentenza in esame si è correttamente limitata alla disamina di alcune soltanto delle operazioni concluse e segnatamente di quelle originariamente comprese nella domanda dello S. . Il ricorso principale è, pertanto, dichiarato inammissibile. Il ricorso incidentale condizionato dello S. è basato su tre motivi relativi all’art. 2549 c.c., al rendiconto ed alla domanda di restituzione. Il ricorso incidentale è stato espressamente qualificato come condizionato, all’accoglimento del ricorso principale. Ne consegue che il rigetto del ricorso principale comporta l’assorbimento dell’incidentale. Alla soccombenza della ricorrente principale consegue la condanna al pagamento delle spese di lite, liquidate come in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito l’incidentale condanna la parte ricorrente principale al pagamento delle spese di lite, liquidate in complessivi Euro 5.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA ed IVA per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.