Il mutamento di natura e funzione dell’assegno divorzile non costituisca ex se giustificato motivo valutabile ai fini della sua revisione

Il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto ed è necessario, a monte, che esso sia accertato dal giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell’assegno divorzile, da rendersi alla luce dei rinnovati principi giurisprudenziali. Pur considerando l’ampiezza della formula adottata dal legislatore, consentire l’accesso al rimedio della revisione dando alla formula dei giustificati motivi” un significato che si riferisca alla sopravvenienza di tutti quei motivi che possono far sorgere l’interesse ad agire per il mutamento, tra i quali anche una diversa interpretazione avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, non pare opzione esegetica percorribile, in quanto non considera che l’interpretazione giurisprudenziale costituisce una chiave di lettura dei dati di fatto rilevanti per il diritto e non li produce essa stessa, né nel mondo fenomenico, né quale fonte normativa.

Così la sentenza della Suprema Corte n. 1119/20, depositata il 20 gennaio. Il caso. Nel 2014 il Tribunale di Roma rigettava l’istanza con la quale un uomo, ai sensi dell’art. 9 l. n. 898/70, chiedeva di essere assolto dall’obbligo di versare all’ex moglie l’assegno divorzile e di vedersi ridotto l’assegno corrisposto per il mantenimento della figlia, con la corresponsione del versamento diretto in favore della stessa. Avverso il decreto del giudice di prime cure veniva presentato reclamo dinanzi alla Corte di Appello capitolina, la quale nel 2016 lo rigettava. L’obbligato proponeva, quindi, ricorso per Cassazione avverso il decreto della Corte territoriale sulla base di nove motivi. La donna resisteva in giudizio con controricorso. Con ordinanza interlocutoria del gennaio 2019 la Suprema Corte disponeva la trattazione della causa in pubblica udienza, trattandosi di questione di rilievo nomofilattico. Motivi di impugnazione. Il ricorrente, con i nove motivi di impugnazione, lamenta sostanzialmente che la Corte d’Appello, con la propria decisione, non abbia tenuto conto di una serie di fatti e più precisamente che la controricorrente, in seguito ad una acquisizione ereditaria, ha migliorato in modo significativo la propria posizione economica che anche il reddito da lavoro della stessa è quasi raddoppiato rispetto a quello considerato in seno alla pronuncia di divorzio, avvenuta nel 2012 che non si è proceduto ad un raffronto dei redditi, il cui esame avrebbe evidenziato un forte squilibrio, sopravvenuto, nelle condizioni delle parti che le condizioni di salute del ricorrente sono peggiorate in seguito ad una malattia che lo stesso ha contratto nuovo matrimonio e fornisce anche un sostegno economico alla madre anziana. Osservazioni della Corte di Cassazione. I Supremi Giudici della legittimità, nel pronunciarsi, fanno una doverosa premessa. Affermano che, a partire da una sentenza risalente al 1990, emessa dalla Corte a Sezioni Unite, è stato riconosciuto carattere esclusivamente assistenziale all’assegno divorzile, il cui presupposto è stato individuato nell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. Una volta accertata l’esistenza di tale presupposto, la liquidazione in concreto dell'assegno deve effettuarsi in base alla valutazione ponderata dei criteri enunciati dalla legge condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio , con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. L’orientamento viene modificato, a distanza di quasi trent’anni, a seguito di un’altra sentenza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite n. 11504/17 , con la quale sostanzialmente si afferma che il parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante deve essere valutato alla luce del principio dell’autoresponsabilità economica di ciascun coniuge, ormai persona singola, e all’esito dell’accertamento della condizione di non autosufficienza economica. Le Sezioni Unite, intervenute nuovamente sulla materia con una pronuncia del 2018 sentenza n. 18287 , hanno affermato che all'assegno di divorzio deve attribuirsi una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa. Ai fini del riconoscimento dell'assegno si deve adottare un criterio composito che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall'ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all'età dell'avente diritto. Il parametro così indicato si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l'unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo. Il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell'unione matrimoniale. Fatte queste doverose premesse, la questione che si poneva nel caso de quo , di revisione dell’assegno divorzile già riconosciuto, era se il mutamento di natura e funzione dell’assegno divorzile, costituisca ex se giustificato motivo valutabile ai sensi dell’art. 9 l. n. 898 oppure se sia comunque necessario il previo accertamento dei giustificati motivi sopravvenuti. Il Collegio ritiene corretta quest’ultima opzione e si richiama alla consolidata giurisprudenza di legittimità a mente della quale, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento dell’attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, e in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e ad adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata. I motivi di ricorso per la Suprema Corte sono inammissibili. Le censure non considerano che i fatti dedotti in esse sono stati puntualmente oggetto di specifica disamina da parte della Corte d’Appello, la quale ha ritenuto che le circostanze allegate non erano da reputarsi sopravvenute e non assumevano carattere significativo. In altre parole non erano decisive. I giudici della Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, dichiarano inammissibile il ricorso e condannano il ricorrente al pagamento delle spese. Trattandosi di procedimento esente, ritengono, altresì, non dovuto il raddoppio del contributo unificato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 6 novembre 2019 – 20 gennaio 2020, n. 1119 Presidente Giancola – Relatore Sambito Fatti di causa Con decreto del 13 maggio 2014, il Tribunale di Roma rigettava l’istanza con la quale P.G. aveva chiesto, L. n. 898 del 1990, ex art. 9, di essere assolto dall’obbligo di corrispondere all’ex coniuge B.D. l’assegno di divorzio, e di vedersi ridotto l’assegno per il mantenimento della figlia, con la corresponsione del versamento diretto in favore della stessa. Il reclamo dell’obbligato veniva rigettato dalla Corte d’Appello di Roma, che, con decreto in data 19.7.2016, osservava che il procedimento intrapreso non costituiva un mezzo per la revisione delle determinazioni assunte in sede di divorzio, ma era, in tesi, volto ad emendare l’alterazione dell’assetto economico delle parti dovuto a circostanze sopravvenute rispetto a quelle statuizioni il reclamo del P. , rilevava la Corte territoriale, mirava, invece, ad una loro rivisitazione, in quanto le circostanze dedotte erano in prevalenza già presenti al momento della pronuncia, e comunque da essa considerate. Per la cassazione del decreto, ha proposto ricorso l’obbligato, sulla scorta di nove motivi, resistiti con controricorso dalla B. . Con ordinanza interlocutoria del 18.1.2019, questa Corte ha disposto la trattazione della causa in pubblica udienza, trattandosi di questione di rilievo nomofilattico, previa acquisizione di una relazione da parte dell’Ufficio del Massimario. Le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 1. Col primo motivo, il ricorrente deduce la violazione della L. n. 898 del 1990, art. 9, lamentando che la Corte non ha considerato il fatto decisivo dell’ammontare del reddito da lavoro della controricorrente, reddito che era sostanzialmente raddoppiato nel 2015, rispetto a quello considerato in seno alla pronuncia di divorzio del gennaio 2012. Era, dunque, documentalmente dimostrato che si trattava di una circostanza sopravvenuta a tale decisione, e tanto comportava, appunto, la violazione della L. n. 898 del 1990, art. 9. 2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta che la Corte è incorsa in vizio di motivazione e, nuovamente, nella violazione della L. n. 898 del 1990, art. 9, nel considerare la sua condizione di pensionato inidonea ad alterare l’equilibrio economico tenuto presente in sede di determinazione dell’assegno. 3. Con il terzo motivo, l’ex marito critica, in riferimento alla L. n. 898 del 1990, art. 9, le conclusioni della Corte territoriale, che, nonostante l’esatta considerazione secondo cui nel giudizio di revisione deve essere valutata l’evoluzione delle condizioni economiche degli ex coniugi , aveva, poi, omesso di procedere al raffronto dei redditi degli stessi, il cui esame avrebbe evidenziato un forte sopravvenuto squilibrio nelle condizioni delle parti. 4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta che la Corte è incorsa nella violazione dell’art. 115 c.p.c., artt. 2727 e 2729 c.c., e D.P.R. n. 18 del 1967, art. 171, laddove ha ritenuto di poter presumere che, avendo egli conseguito redditi significativi nel passato, disponga ancora, nell’attualità, di una consistente liquidità, nell’assenza di ogni prova sul punto. 5. Con il quinto motivo, l’ex marito censura la decisione della Corte territoriale, per aver omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nel peggioramento delle sue condizioni di salute, essendo stato affetto da patologia tumorale e dovendo sottoporsi a controlli diagnostici per tutta la vita. 6. Col sesto ed il settimo motivo, il ricorrente addebita nuovamente alla Corte di merito la violazione della L. n. 898 del 1990, art. 9, e l’omesso esame dei fatti decisivi, per non aver, rispettivamente, tenuto conto degli oneri derivanti dalla necessità di fornire un sostegno economico all’anziana madre, nonché dall’aver contratto nuovo matrimonio. 7. Con l’ottavo motivo, l’ex marito censura, in relazione ai profili di violazione della L n. 898 del 1990, art. 9, e di nullità del procedimento, la decisione assunta dalla Corte d’Appello per non aver tenuto conto del significativo miglioramento della posizione economica della ex moglie in forza di acquisizione ereditaria . 8. Con il nono motivo, il ricorrente critica la decisione assunta dalla Corte di merito per non avere esaminato il fatto decisivo relativo alle altre entrate della ex moglie. 9. In sede di memoria, in vista dell’adunanza del 3 dicembre 2018, il ricorrente ha invocato l’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte in tema di assegno divorzile Cass. n. 11504 del 2017 e SU n. 18287 del 2018 intervenuta in epoca successiva al deposito della decisione impugnata, ed ha insistito per la valutazione delle sue censure al lume del rinnovato quadro giurisprudenziale. 10. Al riguardo, appare opportuno premettere che, con la sentenza delle SU di questa Corte n. 11490 del 1990, è stato affermato il carattere esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile, il cui presupposto è stato individuato nell’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge istante a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, ed il cui ammontare da liquidare in base alla valutazione ponderata dei criteri enunciati dalla legge condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio , con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. Tale orientamento, rimasto fermo per un trentennio, è stato modificato con la menzionata sentenza n. 11504 del 2017 di questa Corte, che, muovendo anch’essa dalla premessa sistematica relativa alla distinzione tra il criterio attributivo e quello determinativo, ha affermato che il parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante deve essere valutato al lume del principio dell’autoresponsabilità economica di ciascun coniuge, ormai persona singola , ed all’esito dell’accertamento della condizione di non autosufficienza economica, da determinare in base ai criteri indicati nella prima parte della norma. Con la recente sentenza n. 18287 del 2018 le Sezioni Unite di questa Corte sono nuovamente intervenute nella materia, e, nell’ambito di una complessiva sua riconsiderazione, hanno ritenuto che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi o all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive del coniuge richiedente sia da riconnettere alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli durante lo svolgimento della vita matrimoniale e da ricondurre a determinazioni comuni, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età di detta parte, ed hanno affermato i seguenti principi di diritto, così riportati nelle massime ufficiali a all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo - compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate b la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi c il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. 11. Si pone dunque la questione dell’applicabilità di tali nuovi principi nell’ipotesi, qui in esame, di domanda di revisione dell’assegno divorzile già riconosciuto, ed in ispecie se sia a tal fine necessario il previo accertamento dei giustificati motivi sopravvenuti o se il mutamento di natura e funzione dell’assegno divorzile, affermato da questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica, costituisca ex se giustificato motivo valutabile ai sensi dell’art. 9 legge divorzio. 2. Il Collegio ritiene corretta la prima di dette opzioni. Queste le ragioni Dispone la L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 1, che Qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli artt. 5 e 6 . 13. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la revisione dell’assegno divorzile di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9, postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e adeguare l’importo, o lo stesso obbligo della contribuzione, alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertate Cass. n. 787 del 20917 e n. 11177 del 2019 . 14. Il principio si coniuga con quello secondo cui in tema di statuizioni c.d. determinative il giudicato si forma sempre rebus sic stantibus e cioè esso è modificabile in caso di successive variazioni di fatto, le quali, per avere rilevanza, devono, poi, esser dedotte mediante l’esperimento dell’apposito procedimento di revisione, fermo restando che il diritto a percepirlo di un ex coniuge ed il corrispondente obbligo dell’altro a versarlo, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di divorzio, conservano la loro efficacia sino a quando non intervenga la modifica di tale provvedimento, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’assegno, talché in mancanza di specifiche disposizioni, in base ai principi generali relativi all’autorità, intangibilità e stabilità, per quanto temporalmente limitata rebus sic stantibus , del precedente giudicato impositivo del contributo di mantenimento, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza anticipata al momento dell’accadimento innovativo, rispetto alla data della domanda di modificazione Cass. n. 16173 del 2015 cfr. pure Cass. n. 17689 del 2019, in tema di opposizione a precetto . 14. Va, per altro verso, sottolineato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della regula iuris, non già creativa della stessa, e che, come di recente affermato dalle SU di questa Corte, con la sentenza n. 4135 del 2019, l’interpretazione delle norme giuridiche da parte della Corte di Cassazione e, in particolare, delle Sezioni Unite mira ad una tendenziale stabilità e valenza generale, sul presupposto, tuttavia, di una efficacia non cogente ma solo persuasiva, trattandosi di attività consustanziale all’esercizio stesso della funzione giurisdizionale, sicché un mutamento di orientamento reso in sede di nomofilachia non soggiace al principio di irretroattività, non è assimilabile allo ius superveniens ed è suscettibile di essere disatteso dal giudice di merito. Deve, ancora, aggiungersi che un orientamento del giudice della nomofilachia cessa di essere retroattivo come, invece, dovrebbe essere in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, e può quindi parlarsi di prospective overruling, a condizione determinate, prima tra di esse che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo, e non anche, come nella specie, su disposizioni di natura sostanziale Cass. SU n. 4135 del 2019, cit. Cass. 13 settembre 2018, n. 22345 18 luglio 2016, n. 14634 24 marzo 2014, n. 6862 3 settembre 2013, n. 20172 11 marzo 2013, n. 5962 . 15. Da quanto sin qui esposto, discende che il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto ed è necessario, a monte, che esso sia accertato dal giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell’assegno divorzile, da rendersi, poi, al lume dei rinnovati principi giurisprudenziali. Pur considerando l’ampiezza della formula adottata dal legislatore, consentire, come auspica parte della dottrina, l’accesso al rimedio della revisione dando alla formula dei giustificati motivi un significato che si riferisca alla sopravvenienza di tutti quei motivi che possano far sorgere l’interesse ad agire per il mutamento, tra i quali, quindi, anche a una diversa interpretazione avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, pare al Collegio opzione esegetica non percorribile, in quanto non considera che l’interpretazione giurisprudenziale costituisce una chiave di lettura dei dati di fatto rilevanti per il diritto e non li produce essa stessa nè nel mondo fenomenico nè, come si è visto, quale fonte normativa. Il timore che in tal modo possono ingenerarsi differenze nel trattamento dei destinatari dei comandi giudiziari, a seconda che il giudizio di revisione trovi o meno base nel verificarsi di fatti sopravvenuti, non ha ragion d’essere tenuto conto che in assenza di essi il diritto all’assegno poggia sul giudicato rebus sic stantibus, che comprende i parametri complessivi al riguardo valutati, e considerato, peraltro, che, anche, nel diverso caso di successione della legge nel tempo, l’applicazione della nuova legge trova, com’è noto, il suo limite nell’intervenuto giudicato sul rapporto dedotto in giudizio, senza che ciò comporti un vulnus al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., rientrando nella discrezionalità del legislatore di modificare nel tempo la disciplina giuridica degli istituti salvo l’ambito penale in considerazione della gravità con cui le sanzioni penali incidono sulla libertà o su altri interessi fondamentali della persona, cfr. in tema di retroattività degli effetti delle pronunce di illegittimità costituzionale Corte Cost. n. 43 del 2017 e n. 10 del 2015 . Non va sottaciuto, poi, che ammettere che un mutamento di orientamento giurisprudenziale possa integrare uno dei giustificati motivi che consentono la revisione delle statuizioni in materia di revisione dell’assegno divorzile importerebbe conseguenze incongrue, sia nell’ipotesi di un successivo mutamento giurisprudenziale, sia nell’ipotesi in cui il giudice del merito, non tenuto per legge al principio dello stare decisis, non aderisse alla nuova linea interpretativa, anche resa in sede nomofilattica da questa Corte. 16. Procedendo alla luce di tali principi, alla valutazione dei motivi di ricorso, essi vanno dichiarati inammissibili. 17. Le plurime doglianze riferite alla violazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, non considerano che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa viceversa, quando, come nella specie, si alleghi un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa il vizio è esterno all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, nei limiti previsti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che, da una parte, ha circoscritto il sindacato di legittimità sulla motivazione alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza e qui non ricorrenti, e, dall’altra, ha introdotto il vizio di omesso esame di un fatto che sia decisivo ed oggetto di discussione tra le parti. 18. A tale stregua, le censure non considerano che i fatti in esse dedotti sono stati puntualmente oggetto di specifica disamina da parte della Corte romana, che ha, in ispecie, affermato che le circostanze allegate reddito di lavoro della donna, effetti del pensionamento del marito, incidenza di disponibilità finanziarie, oneri derivanti dall’accudimento della madre da parte del ricorrente, contrazione di nozze da parte dello stesso, acquisizioni ereditarie da parte di lei non erano sopravvenute tanto che il giudice del divorzio aveva attribuito valore al pensionamento dell’obbligato in sede di determinazione del quantum e non assumevano carattere significativo, id est non erano decisive. 19. Se la mancata considerazione dello stato di salute del ricorrente non appare decisiva, non avendo egli dedotto in che modo tale fatto abbia negativamente inciso nel suo reddito, l’addebito oggetto del quarto motivo non incontra la decisione, in quanto ciò che la Corte ha considerato non è la natura giuridica delle indennità percepite all’estero, quanto piuttosto le disponibilità finanziarie dell’obbligato dal lavoro all’estero, in altri termini, ciò che viene contestato non è il procedimento logico secondo cui il giudice del merito ha desunto l’esistenza di un fatto ignoto dalla presenza di un fatto noto secondo la normalità dei casi, ma, a monte, l’accertamento del fatto noto percezione di redditi il che costituisce puro merito. Nè può utilmente invocarsi l’art. 115 c.p.c., la cui violazione è deducibile se il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, mentre detta violazione non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice abbia valutato tali prove in modo non condiviso da una di dette parti, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che demanda, appunto, in via esclusiva, al giudice del merito la ricostruzione in fatto della vicenda disposizione che il motivo tende, al dunque, ad aggirare. Resta da aggiungere che la mancata valutazione delle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà rese dall’odierno ricorrente, provenendo dallo stesso obbligato, non possono assurgere a fonte di prova nei confronti dell’ex moglie. 20. L’insussistenza di fatti sopravvenuti vale, ovviamente, anche in relazione alla richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento in favore della figlia, ed a quella di versamento diretto, come, del resto, già evidenziato dalla Corte territoriale. 21. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Trattandosi di procedimento esente, non è dovuto il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per spese vive oltre accessori. In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.