L’accertamento delle Entrate presentato dal marito è decisivo per riconoscere l’assegno di mantenimento alla moglie

A sancire la vittoria della donna è proprio la documentazione dell’Agenzia delle Entrate prodotta in giudizio dal marito. Da essa è emersa la differenza di redditi tra i due coniugi, differenza che ha spinto i Giudici a riconoscere il diritto della moglie a percepire l’assegno di mantenimento, che deve decorrere dalla domanda da lei presentata in primo grado.

Autogoal clamoroso per il marito l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, da lui prodotto in giudizio, è decisivo per riconoscere l’assegno di mantenimento alla moglie. Inutili le osservazioni proposte dall’uomo, che deve caricarsi anche gli ‘arretrati’, poiché la decorrenza dell’assegno va fissata alla data della relativa domanda, proposta nel giudizio di primo grado”, sanciscono i magistrati Cassazione, ordinanza n. 31548/19, sez. VI Civile - 1, depositata oggi . Reddito. Decisivo il passaggio in Corte d’appello, dove i giudici ribaltano la decisione del Tribunale e accolgono la richiesta della donna, riconoscendo il suo diritto a percepire dal marito un assegno di mantenimento dell’importo di 350 euro mensili . Ciò a partire dal giorno della presentazione dei coniugi dinanzi al presidente del Tribunale nel giudizio di separazione instaurato dal marito con ricorso risalente al 31 marzo 2010. A inchiodare l’uomo è l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate da lui stesso prodotto. Da quella documentazione, difatti, è emerso che lui è titolare di un reddito annuo di circa 23mila euro mentre la moglie è titolare di un reddito inferiore agli 11mila euro annui e difatti ha usufruito della ammissione al patrocinio a spese dello Stato . La valutazione compiuta in appello è ritenuta assolutamente corretta dai giudici della Cassazione, che confermano, quindi, l’obbligo dell’uomo di versare l’assegno di mantenimento alla moglie. Nessun dubbio, poi, sugli ‘arretrati’, contestati dall’uomo. Su questo fronte i magistrati ricordano che l’assegno di mantenimento in favore del coniuge, fissato in sede di separazione personale, deve decorrere dalla data della relativa domanda, in applicazione del principio per cui un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario a farlo valere in giudizio . Di conseguenza, in questa vicenda la decorrenza dell’assegno non può essere determinata con riferimento alla data di proposizione dell’appello da parte della donna – a cui lei ha dovuto fare ricorso, non essendole stato concesso l’assegno dal Tribunale – mentre invece la decorrenza deve essere fissata alla data della relativa domanda, proposta da lei nel giudizio di primo grado .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 8 ottobre – 3 dicembre 2019, n. 31548 Presidente Di Virgilio – Relatore Valitutti Rilevato che la Corte d'appello di Napoli, con sentenza n. 2325/2018, depositata il 21 maggio 2018, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha disposto che Ar. Ma. debba versare alla moglie, Gi. Gi., un assegno di mantenimento dell'importo di Euro 350,00 mensili, a far data dal giorno della presentazione dei coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale, nel giudizio di separazione personale instaurato dal Ma. con ricorso del 31 marzo 2010 avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Ar. Ma. nei confronti di Gi. Gi., affidato ad un solo motivo la resistente ha replicato con controricorso le parti hanno depositato memorie, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ. Considerato che con l'unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., nonché del principio secondo cui la revisione dell'assegno di mantenimento non può decorrere da una data precedente a quella nella quale ne sia stata richiesta la modifica Ritenuto che sotto il primo dei profili suesposti, concernente la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., il ricorso si palesi inammissibile in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c. operi, invero, interamente sul piano dell'apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito configura un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. come riformulato dall'art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012, e non sub specie del vizio di violazione di legge Cass., 12/10/2017, n. 23940 . in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non possa, pertanto, porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione Cass., 27/12/2016, n. 27000 Cass., 17/01/2019, n. 1229 che nel caso di specie - non avendo il ricorrente denunciato il difetto di motivazione, nei limiti suindicati - non ricorrano neppure i suddetti presupposti di ammissibilità del vizio di violazione di legge dedotto Rilevato che il giudice di appello ha, difatti, fondato la decisione di riconoscere alla Gi. un assegno di mantenimento sull'accertamento dell'Agenzia delle Entrate, prodotto dallo stesso Ma., dal quale risulta che il medesimo è titolare di un reddito annuo di Euro 23.000,00, laddove la Gi. - come risulta dall'ammissione della medesima al patrocinio a spese dello Stato - è titolare di un reddito inferiore ad Euro 11.000,00 annui a fronte di tale accertamento in fatto, la censura si concreta, sostanzialmente, in una inammissibile richiesta di rivisitazione del merito, attraverso la rivalutazione dei fatti già operata dal giudice di appello, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito Cass., 04/04/2017, n. 8758 . Ritenuto che anche il profilo di doglianza, relativo alla dedotta violazione dell'art. 2697 cod. civ., sia da reputarsi inammissibile la violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. sia - per vero - configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece laddove oggetto di censura sia - come nel caso concreto - non già il riparto dell'onere della prova, bensì la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti sindacabile, quest'ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del nuovo art. 360 n. 5 c.p.c Cass., 29/05/2018, n. 13395 Cass., 23/10/2018 , n. 26769 Ritenuto che il profilo di censura, concernente la decorrenza dell'assegno di mantenimento, sia manifestamente infondato l'assegno di mantenimento a favore del coniuge, fissato in sede di separazione personale, debba infatti decorrere dalla data della relativa domanda, in applicazione del principio per il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio Cass., 03/02/2017, n. 2960 Cass., 11/07/2013, n 17199 di conseguenza, nella specie, tale decorrenza non possa essere determinata con riferimento alla data di proposizione dell'appello da parte della Gi. - al quale la medesima ha dovuto fare ricorso, non essendole stato l'assegno concesso dal Tribunale - dovendo la decorrenza essere, invece, fissata alla data della relativa domanda, proposta nel giudizio di primo grado Ritenuto che per le ragioni esposte il ricorso vada, pertanto, rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio, disponendo che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato, ai sensi dell'art. 133 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, essendo stata la Gi. ammessa al patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore della controricorrente, alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge. Dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente sentenza/ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.