200milioni di lire alla coniuge in sede di separazione: ciò non esclude il suo diritto all’assegno divorzile

Inutile la battaglia legale portata avanti dall’uomo. Confermato il suo obbligo di versare all’ex moglie 200 euro al mese a titolo di assegno divorzile. Irrilevante il versamento da parte sua di 200milioni di lire alla donna, che per i Giudici non è autosufficiente economicamente, essendo inidonea al lavoro, affetta da psicopatologie e priva di una stabile abitazione.

L’accordo concluso dai coniugi in sede di separazione e concretizzatosi nel versamento di 200milioni di vecchie lire alla donna non è sufficiente per escludere l’ulteriore onere a carico del marito, cioè girare all’ex moglie ogni mese un assegno divorzile da 200 euro. Decisiva la constatazione della non autosufficienza economica della donna Cassazione, ordinanza n. 22401, sez. VI Civile, depositata oggi . Bisogno. Decisivo è il passaggio in Corte d’Appello, laddove i Giudici ribaltano la decisione presa dal Tribunale e sanciscono l’obbligo dell’uomo di versare all’ex moglie mensilmente la somma di 200 euro a titolo di assegno divorzile . Centrale è la ‘lettura’ fornita in secondo grado agli accordi assunti dai coniugi in sede di separazione consensuale e concretizzatisi nel versamento di 200milioni di lire alla donna . Per i Giudici d’Appello tali accordi , laddove escludevano per il futuro di poter richiedere emolumenti in sede di divorzio , debbono ritenersi nulli per illiceità della causa , anche perché la corresponsione di ‘una tantum’ può avvenire soltanto in sede di giudizio di divorzio . Ampliando l’orizzonte, poi, viene evidenziato che la donna è risultata priva di autosufficienza economica , essendo inidonea al lavoro e affetta da serie psicopatologie e priva di una stabile abitazione , e la pensione di invalidità da lei percepita è di ammontare esiguo . Inutile si rivela l’ulteriore ricorso in Cassazione da parte dell’ex marito. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, non è in discussione la valutazione compiuta in Appello e culminata nella sottolineatura della non autosufficienza economica della donna. Priva di fondamento, quindi, l’osservazione proposta dall’uomo, il quale ha sostenuto che le somme già corrisposte all’ex moglie all’epoca dell’accordo in sede di separazione consensuale, unite alla pensione di invalidità da lei percepita, permettevano di considerarla autonoma dal punto di vista economico, escludendo l’ipotesi di una sua condizione di bisogno .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 14 maggio – 6 settembre 2019, n. 22401 Presidente Scaldaferri – Relatore Acierno Fatti di causa e ragioni della decisione La Corte d'Appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, ha posto a carico di Pi. Pi., ex coniuge divorziato di An. Ac., la somma di 200 Euro mensili a titolo di assegno divorzile. A sostegno della decisione ha rilevato che il tribunale, ritenuta la esaustività degli accordi assunti in sede di separazione consensuale - consistenti nel versamento di 200 milioni di lire alla Ac. - aveva tenuto in considerazione tali accordi al fine di escludere, unitamente alla percezione della pensione d'invalidità, lo stato di bisogno della ricorrente. Il giudice di secondo grado, al contrario, ha ritenuto, che tali accordi, per la parte in cui escludevano per il futuro di poter richiedere emolumenti in sede di divorzio, dovevano ritenersi nulli per illiceità della causa e che la corresponsione di una tantum può avvenire soltanto in sede di giudizio di divorzio. Nella specie, applicando il criterio assistenziale così come declinato nella pronuncia n. 11504 del 2017, doveva riconoscersi alla Ac. un assegno pari a 200 Euro mensili in quanto la stessa è risultata priva di autosufficienza economica, inidonea al lavoro e affetta da serie psicopatologie oltre che priva di una stabile abitazione. La pensione infine è risultata di ammontare esiguo. Avverso la pronuncia ha proposto ricorso per cassazione Pi. Pi. affidato a due motivi. Ha resistito con controricorso la Ac Nel primo ha dedotto la violazione dell' art. 5 L. n. 898 del 1970 per avere la Corte d'Appello non considerato che le somme già corrisposte unite alla pensione d'invalidità portavano ad escludere la situazione di non autosufficienza economica. La censura è inammissibile perché mira a contestare la valutazione svolta in fatto sulla condizione di non autosufficienza economica della controricorrente. Nel secondo motivo viene dedotta la nullità della sentenza impugnata perché non è stato preventivamente accertato se alla controricorrente fosse stato nominato un amministratore di sostegno, ciò che avrebbe escluso la validità della sottoscrizione del ricorso introduttivo del giudizio. La censura confusamente prospettata appare del tutto nuova e conseguentemente inammissibile. In conclusione il ricorso è inammissibile. Deve essere applicato il principio della soccombenza in relazione alle spese processuali. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della parte controricorrente da liquidarsi in Euro 1100 per compensi, Euro 100 per esborsi oltre accessori di legge. Sussistono le condizioni per l'applicazione dell'art. 13 comma 1 quarter D.P.R. n. 115 del 2002.