‘Guerra di religione’ tra madre e padre: ascoltare il figlio per risolvere il conflitto

Padre cattolico, madre testimone di Geova è scontro totale sull’educazione religiosa del figlio. Necessario l’intervento del Giudice, che dovrà ascoltare il ragazzo per valutare quale è la soluzione migliore, quella cioè che gli eviti ripercussioni psico-fisiche negative.

Se mamma e papà oramai separati litigano anche sull’educazione religiosa del figlio, allora è necessario che intervenga il Giudice per fare chiarezza. Obiettivo principale però è evitare conseguenze pregiudizievoli per la salute psico-fisica del ragazzo, e per questo è fondamentale un confronto diretto con lui. Illegittime, invece, le valutazioni – che sono strettamente personali e private – sulle religioni dei due genitori, e privo di significato è anche il richiamo al fatto che moglie o marito abbiano aderito successivamente a una fede diversa da quella precedentemente seguita in coppia e trasmessa alla prole Cassazione, ordinanza n. 21916/19, sez. I Civile, depositata il 30 agosto . Percorso. A dare il ‘la’ alla ‘guerra di religione’ è la pronuncia con cui in Tribunale viene ufficializzata la separazione personale dei coniugi. Il figlio viene affidato congiuntamente a entrambi i genitori, ma emerge un conflitto sul fronte della sua istruzione religiosa il padre vuole che il ragazzo, battezzato nella Chiesa Cattolica , d’intesa, all’epoca, con la moglie, prosegua il proprio percorso così da poter conoscere i fondamenti di detta fede e poter effettuare da adulto una scelta consapevole , ed esprime il proprio dissenso all’ipotesi che riceva dalla madre, divenuta Testimone di Geova, l’istruzione religiosa propria della dottrina geovista e partecipi con lei alle relative cerimonie . La diatriba tra i due genitori non è risolvibile in maniera razionale e pacifica, e così è necessario l’ulteriore intervento del Tribunale che valuta come la scelta paterna sia maggiormente rispondente all’interesse del figlio, consentendogli più agevolmente l’integrazione nel tessuto sociale e culturale del contesto di appartenenza, il quale, benché notoriamente secolarizzato, resta pur sempre di matrice cattolica . Per i Giudici, poi, va anche tenuta presente la natura settaria della comunità religiosa cui ha aderito la madre, comunità chiusa in sé stessa e ostile al confronto con qualsivoglia altro interlocutore, essendo legata a una interpretazione formalistica e parziaria di taluni testi vetero-testamentari . Di conseguenza, il padre dovrà accompagnare il bambino nel percorso di educazione religiosa da lui prescelto, favorendone l’inserimento nella comunità parrocchiale di appartenenza e la frequenza alla pratica religiosa via via richiestagli anche in giornate e orari diversi dal protocollo di visita, se necessario , mentre la madre dovrà responsabilmente astenersi, onde non destabilizzare il bambino, dall’impartirgli ulteriori insegnamenti della dottrina geovista e dal condurlo alle relative cerimonie . Identica posizione assumono anche i giudici della Corte d’Appello, che respingono le obiezioni mosse dalla madre, osservando che il bambino è stato battezzato secondo il rito cattolico e che la scelta comune dei genitori è stata quella di inserire il figlio nella comunità della Chiesa Cattolica . Ciò significa, sempre secondo i Giudici, che è rispondente all’interesse del minore mantenere tale iniziale libera e comune scelta dei genitori, consentendo al ragazzo di completare la formazione religiosa cattolica sino al sacramento della Cresima e cioè sino ai 12-13 anni , senza ricevere altri insegnamenti contrastanti con quelli della religione cattolica e senza frequentare contemporaneamente le adunanze geoviste nelle cosiddette ‘Sala del Regno’. Osservazione. A fronte della doppia sconfitta, però, la donna decide di presentare ricorso in Cassazione, contestando le valutazioni compiute dai giudici in Tribunale e in Corte d’Appello, e richiamando il preminente interesse del minore ad una relazione significativa con entrambi i genitori . E in questa prospettiva secondo la donna vi è il sacrosanto diritto del figlio a ricevere l’eredità culturale e religiosa della mamma e del papà, in assenza di danni per lui. Per completare il quadro ai Giudici del ‘Palazzaccio’, infine, la donna sottolinea il valore della libertà religiosa e richiama il principio di non discriminazione e di laicità . Tutto ciò per affermare che non vi sono i presupposti legali per proibirle di coinvolgere il figlio nelle sue attività religiose di Testimone di Geova . Ebbene, tali osservazioni convincono sia il Procuratore Generale che i magistrati della Cassazione. Innanzitutto, viene censurata la posizione assunta dai Giudici d’appello, posizione concretizzasi nell’ ancorare la propria decisione ad una scelta pregressa anche della madre quella cioè di acconsentire al battesimo del figlio , senza considerare l’attualità delle sue determinazioni religiose . Tale visione è valutata come irrispettosa dei principi di eguaglianza e di libertà religiosa che implica anche la piena libertà di mutare le proprie credenze . Allo stesso tempo, viene anche sottolineato che mancano le ‘prove provate’ che le pratiche religiose della madre siano pregiudizievoli per il figlio. E si tratta, evidentemente, di una lacuna non secondaria Così come non è irrilevante il fatto che non ci sia stato l’ascolto del minore da parte del giudice. A fronte di tale quadro è necessario una nuova tappa in appello, laddove sarà fondamentale esaminare il ragazzo, tenendo presente, spiegano i giudici della Cassazione, che la decisone sull’educazione religiosa del figlio, visto il conflitto tra i genitori, non può essere disposta da un magistrato sulla base di una astratta valutazione delle religioni cui aderiscono i genitori , né può basarsi sulla considerazione della adesione successiva di uno dei due genitori ad una religione diversa da quella che precedentemente era seguita e praticata da entrambi e che originariamente è stata trasmessa al figlio come religione comune della famiglia . Ciò perché tale criterio astratto lederebbe il mantenimento di un rapporto equilibrato e paritario con entrambi i genitori, rimanendo insensibile alle scelte di vita in divenire dei genitori . Tirando le somme, la possibilità da parte del giudice di adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali dei genitori in tema di libertà religiosa e di esercizio del ruolo educativo è strettamente connessa , spiegano i giudici della Cassazione, e può dipendere esclusivamente dall’accertamento in concreto di conseguenze pregiudizievoli per il figlio che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo , e tale accertamento non può che basarsi sull’osservazione e sull’ascolto del minore .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 14 settembre 2018 – 30 agosto 2019, n. 21916 Presidente Giancola - Bisogni Rilevato che 1. Con sentenza n. 2028/2014 il Tribunale di Como ha pronunciato la separazione personale dei coniugi En. Li. e Vi. Ma., affidato il figlio minore Gi. nato il omissis congiuntamente ai due genitori, con le precisazioni di cui in motivazione circa la sua educazione religiosa, ha fissato la sua residenza presso la madre e disciplinato il diritto di visita del padre cui ha imposto un assegno mensile di 600 Euro a titolo di contributo al mantenimento del figlio, oltre al 50% delle spese di istruzione, cura ed educazione. Ha compensato interamente le spese processuali. 2. Ha rilevato il Tribunale che il sig. Ma. ha espresso decisamente il proprio dissenso a che il bambino che è stato battezzato nella Chiesa Cattolica riceva dalla madre l'istruzione religiosa propria della dottrina geovista e partecipi con lei alle relative cerimonie presso la Sala del Regno frequentata dalla Li. preferendo che egli esperisca fino alla Cresima il percorso di educazione religiosa e introduzione ai sacramenti della Chiesa Cattolica, si da poter conoscere i fondamenti di detta fede e poter effettuare, da adulto, una scelta consapevole. Ha ritenuto quindi il Tribunale che stante il contrasto fra i genitori spetta al giudicante la decisione ex art. 337 ter c.c. e ha pertanto affermato che, pur astenendosi da ogni intento di discriminazione per ragioni religiose deve ritenersi che la scelta paterna sia maggiormente rispondente all'interesse del piccolo, consentendogli più agevolmente la integrazione nel tessuto sociale e culturale del contesto di appartenenza, il quale, benché notoriamente secolarizzato, resta pur sempre di matrice cattolica basti pensare al patrimonio artistico italiano ispirato alla dimensione religiosa cattolica, alla aggregazione giovanile suscitata a livello parrocchiale con iniziative per bambini e adolescenti legate al catechismo, oratorio, grest, ecc. pur con il dovuto rispetto per le credenze della Li. non può sottacersi la natura settaria della comunità religiosa cui ella aderisce, chiusa in sé stessa e ostile al confronto con qualsivoglia altro interlocutore, essendo legata a una interpretazione formalistica e parziaria di taluni testi vetero-testamentari, che non ha ispirato almeno in Italia alcun prodotto letterario o artistico avente dignità culturale. Ovviamente il padre, coerentemente con la sua dichiarata intenzione anche con sacrificio personale dovrà accompagnare il bambino nel percorso di educazione religiosa da lui prescelto, favorendone l'inserimento nella comunità parrocchiale di appartenenza e la frequenza alla pratica religiosa via via richiestagli anche in giornate e orari diversi dal protocollo di visita, se necessario mentre correlativamente la madre dovrà responsabilmente astenersi, onde non destabilizzare il bambino, dall'impartirgli ulteriori insegnamenti della dottrina geovista e dal condurlo alle relative cerimonie . 3. Ha proposto appello la sig.ra En. Li. censurando unicamente le prescrizioni in ordine all'educazione religiosa del figlio di cui ha chiesto la sospensione e la revoca. Ha affermato l'appellante che l'ordine impartitole contrasta con i principi della Costituzione italiana e con quello della laicità dello Stato e, in mancanza di individuazione dell'effettivo, concreto e grave pregiudizio che dall'insegnamento della dottrina da lei professata deriverebbe al minore, anche con le norme del diritto comunitario e internazionale. Secondo l'appellante la sentenza è del tutto carente con riguardo alla motivazione del provvedimento inibitorio, non individuando alcun pregiudizio che il minore subirebbe per effetto degli insegnamenti religiosi materni essa inoltre si pone in contrasto con il principio di bi-genitorialità e con il diritto della madre di trasmettere i propri valori così da consentire al figlio, una volta raggiunta la necessaria maturità, di effettuare una scelta consapevole in merito al credo religioso. Infine la sentenza è nulla in quanto affetta dal vizio di ultrapetizione perché basata sulla necessità di dirimere un conflitto fra i genitori, in realtà insussistente. 4. Il sig. Vi. Ma. si è costituito contestando la fondatezza dell'appello e ne ha chiesto il rigetto. Ha rilevato che il conflitto era insorto dopo la cessazione della convivenza fra i genitori e in seguito alla adesione della Li. alla confessione dei testimoni di Geova. Gi. Ma. aveva ricevuto esclusivamente una educazione religiosa cattolica ed era stato di comune accordo battezzato secondo il rito cattolico. Ha giustificato la propria opposizione alla trasmissione degli insegnamenti della dottrina geovista e alla frequentazione delle cerimonie religiose presso la Sala del Tempio ribadendo il proprio convincimento in ordine all'inopportunità di esporre il bambino a insegnamenti contrastanti e confusivi. 5. La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 3332/2016 ha respinto l'impugnazione della sig.ra Li. e ha compensato interamente le spese processuali anche per il giudizio di appello. La Corte di appello ha escluso la dedotta nullità per vizio di ultrapetizione essendo emerso chiaramente un conflitto genitoriale nel corso del giudizio. Ha ritenuto accertato che Gi. sia stato battezzato secondo il rito cattolico e che la scelta comune dei genitori, sino all'adesione, successiva alla fine della convivenza, della Li. alla dottrina geovista, sia stata quella di inserire il figlio nella comunità della Chiesa Cattolica. Ha ritenuto la Corte territoriale che sia rispondente all'interesse del minore mantenere tale iniziale libera e comune scelta dei genitori consentendo a Gi. di completare la formazione religiosa cattolica sino al sacramento della Cresima e cioè sino ai 12-13 anni , senza ricevere altri insegnamenti contrastanti con quelli della religione cattolica e senza frequentare contemporaneamente le adunanze della Sala del Regno. 6. Ricorre per cassazione En. Li. affidandosi a tre motivi di impugnazione illustrati da memoria difensiva. 7. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione del preminente interesse del minore ad una relazione significativa con entrambi i genitori e a ricevere la loro eredità culturale e religiosa, in assenza di danni per il minore e dei presupposti legali per proibire alla mamma di Gi. di coinvolgerlo nelle sue attività religiose di Testimone di Geova. 8. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione della libertà religiosa, del principio di non discriminazione e di laicità violazione degli artt. 3, 7, 8, 9, 10, 19, 101 della Costituzione, degli artt. 8, 9, 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. 9. Con il terzo motivo di ricorso si deduce, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e cioè che la sig.ra Li. è sempre stata Cristiana Testimone di Geova sin da prima il matrimonio e ha trasmesso i suoi valori religiosi al figlio sin dalla nascita. 10. Non svolge difese Vi. Ma 11. Con requisitoria scritta, depositata in data 11 luglio 2018, il Pubblico Ministero ha chiesto l'accoglimento per quanto di ragione del ricorso sulla base delle seguenti motivazioni che qui si riportano in materia di famiglia fondata sul matrimonio, vige il principio costituzionale secondo cui il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare ex art. 29, secondo comma, Cost . Prima ancora, è tra gli stessi diritti inviolabili dell'uomo che si annovera il diritto di libertà religiosa, garantito dalla Costituzione sia come singolo sia nelle formazioni sociali art. 2 Cost. , in ciò includendosi la famiglia, quale primo nucleo di naturale aggregazione sociale dell'uomo ad es. C. Cost. n. 138/2010 . Tale diritto involabile trova anche una sua duplice declinazione da un lato nell'affermazione del principio di eguaglianza, là dove espressamente garantito dall'art. 3 Cost. anche sotto il profilo religioso, stante la pari dignità davanti alla legge di tutte le confessioni religiose art. 8, primo comma, Cost. , dall'altro nella specifica affermazione della libertà religiosa tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto , cfr. art. 19 Cost. . Tale diritto di libertà del singolo cui corrisponde un diritto-dovere di ciascun genitore di istruire ed educare i figli art. 30, primo comma, Cost. può incontrare un limite proprio nel pari diritto dell'altro genitore che abbia un credo religioso diverso, e, quindi, in un possibile contrasto tra i genitori stessi sul punto, limite che, là dove sfoci in un insanabile stallo, appare superabile alla luce delle specifiche disposizioni di legge, adottate sulla base della previsione costituzionale secondo cui si prevede che nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti cfr. art. 30, secondo comma, Cost. e, comunque, in modo da assicurare adeguata protezione dell'interesse del minore cfr. art. 31, secondo comma, Cost. . Ed è in forza di tali generali disposizioni costituzionali che è prevista dall'art. 316 c.c. e, in caso di separazione, dall'art. 337 ter c.c., la soluzione, affidata al giudice, del contrasto insorto tra i genitori su questioni di particolare importanza qual è quella appunto relativa all'educazione religiosa del figlio minore , soluzione che, per legge, va adottata con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale dei figli ad una crescita sana ed equilibrata cfr. art. 337-ter c.c. , sicché il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l'adozione di provvedimenti limitativi di pratiche o incontri propri di una determinata confessione religiosa, come tali contenitivi o restrittivi di diritti individuali di libertà dei genitori, ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo Cass. n. 12954/2018 . Detti principi di eguaglianza e di libertà di religione sono garantiti anche, come invocato dalla ricorrente, dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali artt. 14, 8 e 9 , principi di libertà che, secondo la stessa CEDU, possono essere limitati dalla legge da misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza pubblica, la protezione dell'ordine, della salute o della morale pubblica o la protezione dei diritti e delle liberà altrui si veda la sentenza della Corte EDU, del 12 febbraio 2013, Vojnity v. Hungary, secondo cui, in materia di contrasto tra genitori sull'educazione religiosa da impartire a figli minori, si è ritenuto non accettabile un differente trattamento, senza un'obiettiva e ragionevole giustificazione ovvero basato sulla sola differenza di religione . Orbene, la Corte di appello di Milano pure superando la motivazione del giudice di primo grado, che era fondata anche su un'inaccettabile valutazione di disvalore della religione dei Testimoni di Geova, è incorsa ugualmente in una falsa applicazione dei richiamati principi di eguaglianza e di libertà religiosa, dando rilievo preminente alla originaria scelta di entrambi i genitori di battezzare il proprio figlio. Invero la libertà di religione, quale diritto inviolabile dell'uomo, implica anche la piena libertà di mutare le proprie credenze, senza che pregresse determinazioni o convinzioni possano costituire un pregiudizio o un limite all'esercizio di tale libertà. Ciò è del resto esplicitato dall'art. 9, primo paragrafo, della CEDU allorché si stabilisce che ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione questo diritto importa la libertà di cambiare religione o pensiero . La valutazione dunque della Corte di appello di ancorare la propria decisione ad una scelta pregressa anche della madre quella cioè di acconsentire al battesimo , senza considerare l'attualità delle determinazioni religiose della stessa, non sembra rispettosa dei richiamati principi di libertà. Inoltre la Corte di appello è incorsa in una seconda falsa applicazione di legge segnatamente dell'art. 315 bis, terzo comma, cod. civ. ed anche dell'art. 336-bis e del combinato disposto di cui agli 337-ter e 337-octies cod. civ. allorquando ha ritenuto, nella valutazione dell'interesse del minore, di adottare il provvedimento inibitorio di cui trattasi e cioè di inibire alla madre di impartire al figlio prendendo ella stessa l'iniziativa insegnamenti contrastanti con quelli della religione cattolica sulla base di mere affermazioni, non riscontrate da adeguati elementi la Corte di appello motiva infatti la decisione al fine di non creare confusione nel minore, proponendogli contemporaneamente insegnamenti differenti, con il rischio di disorientarlo, e al contempo di non appesantirlo eccessivamente sotto il profilo della formazione religiosa, con la contemporanea frequenza sia del catechismo, sia delle riunioni dei Testimoni di Geova . Anche in disparte il fatto che la asserita confusione o il rischio di disorientamento o di appesantimento non individuano, in sé, una scelta di campo tra le due professioni religiose, se non in forza di un pregiudizio nei confronti della religione geovista rispetto a quella cattolica, la ricorrente fondatamente sottolinea con il primo motivo che non vi è nessuna prova che le pratiche religiose della Li. siano pregiudizievoli e con il secondo motivo che i giudici di merito non hanno ritenuto necessario né disporre l'audizione del minore né richiedere l'ausilio di una consulenza tecnica d'ufficio che era stata addirittura richiesta dal Ma. . In effetti, il procedimento in questione è stato instaurato in primo grado in data 5/10/2011 e quindi anteriormente al 1/1/2013 data di entrata in vigore della legge, n. 219 del 2012, abrogativa dell'art. 155-sexies cod. civ. Dalla predetta nuova disciplina normativa l'ascolto del minore è previsto dall'art. 315-bis, terzo comma, cod. civ. e, dopo l'entrata in vigore 7 febbraio 2014 del d.lgs. n. 154 del 2013, anche dall'art. 336-bis e dagli 337-ter e 337-octies cod. civ. Peraltro l'obbligatorietà dell'audizione del minore anche nel regime giuridico previgente era stata sancita dal fermo orientamento della Corte tra le più recenti Cass. 11687 del 2013, ribadito da Cass. n. 6129/2015 . In particolare è stato affermato cfr. Cass. 19202 del 2014, richiamata da cit. Cass. n. 6129/2015 che l'audizione è una caratteristica strutturale del procedimento, diretta ad accertare le circostanze rilevanti al fine di determinare quale sia l'interesse del minore ed a raccoglierne opinioni e bisogni in merito alla vicenda in cui è coinvolto . L'iniziale qualificazione giuridica dell'ascolto come un elemento necessario dell'istruzione probatoria nei procedimenti riguardanti i minori è stata ritenuta del tutto riduttiva al fine di comprendere la natura e la funzione dell'adempimento. L'ascolto costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del diritto fondamentale del minore ad essere informato ed esprimere la propria opinione e le proprie opzioni nei procedimenti che lo riguardano, costituendo tale peculiare forma di partecipazione del minore alle decisioni che lo investono uno degli strumenti di maggiore incisività al fine del conseguimento dell'interesse del medesimo, tanto che anche nella vigenza dell'art. 155 sexies cod. civ., l'audizione doveva essere disposta in caso di minore dodicenne ovvero anche se di età inferiore ove ritenuto capace di discernimento Cass. S.U. 22238 del 2009 5547 del 2013, 11687 del 2013 . L'importanza dell'obbligo di ascolto del minore infradodicenne capace di discernimento - direttamente da parte del giudice ovvero, su mandato di questi, di un consulente o del personale dei servizi sociali -, è tale che, secondo Cass. n. 19327 del 2015 proprio in tema di separazione personale , esso costituisce adempimento previsto a pena di nullità ove si assumano provvedimenti che lo riguardino, salvo che il giudice non ritenga, con specifica e circostanziata motivazione, l'esame manifestamente superfluo o in contrasto con l'interesse del minore cfr. da ultimo anche Cass. n. 12957/2018 . Orbene, al tempo del giudizio di appello conclusosi nel 2016 il minore aveva già compiuto sette anni, ma la Corte di appello a ciò obbligata, Cass. n. 15365/2015 non ha proceduto ad alcuna audizione, né direttamente, né attraverso esperti, non dando alcuna contezza di tale mancanza. In effetti, nei più recenti precedenti della Corte di cassazione, che hanno affrontato analoghe questioni di contrasto nell'educazione religiosa di figli minori tra genitori di differente credo religioso cattolico e geovista , i giudici di merito avevano sempre proceduto a c.t.u. sul minore anche di anni 4/5, Cass. n. 9546/2012, nonché Cass. n. 12954/2018 ovvero acquisendo una relazione da parte dei servizi sociali del Comune Cass. n. 24683/2013 . In carenza di tali elementi il ricorso appare fondato anche sotto i menzionati profili. Ritenuto che 12. I tre motivi di ricorso devono essere esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione. 13. La Corte ritiene la requisitoria del Procuratore Generale pienamente condivisibile e coerente alla giurisprudenza di legittimità cfr. Cass. civ., sezione I, n. 12594 del 24 maggio 2018, n. 9546 del 12 giugno 2012, n. 24683 del 4 novembre 2013 secondo, cui in tema di affidamento dei figli, il criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice nel fissare le relative modalità, in caso di conflitto genitoriale, è quello del superiore interesse del minore, stante il suo diritto preminente ad una crescita sana ed equilibrata, sicché il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l'adozione di provvedimenti, relativi all'educazione religiosa, contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori, ove la loro esplicazione determinerebbe conseguenze pregiudizievoli per il figlio, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo. 14. Tuttavia la possibilità di adottare simili provvedimenti restrittivi, in presenza di una situazione di conflitto fra i due genitori che intendano entrambi trasmettere la propria educazione religiosa e non siano in grado di rendere compatibile il diverso apporto educativo derivante dall'adesione a un diverso credo religioso, non può essere disposta dal giudice sulla base di una astratta valutazione delle religioni cui aderiscono i genitori e che esprima un giudizio di valore precluso all'autorità giudiziaria dal rilievo costituzionale e convenzionale Europeo del principio di libertà religiosa. Né tale possibilità può basarsi sulla considerazione della adesione successiva di uno dei due genitori a una religione diversa rispetto a quella che precedentemente era seguita e praticata da entrambi e che, originariamente, è stata trasmessa al figlio o ai figli come religione comune della famiglia perché tale criterio astratto lederebbe il mantenimento di un rapporto equilibrato e paritario con entrambi i genitori rimanendo insensibile alle scelte di vita in divenire dei genitori. Ne deriva che la possibilità da parte del giudice di adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori in tema di libertà religiosa e di esercizio del ruolo educativo è strettamente connessa e può dipendere esclusivamente dall'accertamento in concreto di conseguenze pregiudizievoli per il figlio che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo e tale accertamento non può che basarsi sull'osservazione e sull'ascolto del minore in quanto solo attraverso di esse tale accertamento può essere compiuto. 15. Il ricorso va pertanto accolto affinché la Corte di appello rivaluti la controversia alla luce dei principi di diritto sopra enunciati. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Dispone omettersi qualsiasi riferimento alle generalità e agli altri elementi identificativi delle parti nella pubblicazione della presente sentenza.