Rendiconto del coerede e contratto di locazione

La fattispecie riguarda la vertenza insorta tra coeredi nella divisione dell’asse ereditario con la peculiarità nel caso di specie che uno di essi era stato immesso nel possesso di parte dei beni immobili attraverso un contratto di locazione stipulato con il custode giudiziario nominato dal tribunale e all’uopo autorizzato dal giudice istruttore e dal collegio.

La vicenda. In particolare, nel corso della causa per le operazioni divisionali dell’eredità, il coerede stipulava con il custode giudiziario un contratto di locazione in relazione ad alcuni beni compresi nell’asse ereditario, ma lo stesso si rendeva inadempiente all’obbligazione di pagamento del relativo canone. Il custode giudiziario quindi intraprendeva un giudizio per ottenere il rilascio dei beni locati e la condanna del coerede al pagamento di canone Detto giudizio si concludeva con la condanna del convenuto al rilascio del bene e al pagamento dei canoni inevasi. La decisione tuttavia rimaneva in eseguita. Nel frattempo a conclusione del giudizio di divisione instaurato, il coerede, conduttore inadempiente, veniva condannato al pagamento in favore della massa di una somma di denaro, a titolo di rendiconto, pari ai canoni inevasi e all’indennità di occupazione, oltre interessi. Il coerente condannato impugnava pertanto la sentenza di primo grado lamentando che il giudice del Tribunale non avrebbe potuto condannarlo a titolo di rendiconto, posto che egli non si era appropriato dei beni ereditari, ma ne aveva avuto il possesso in funzione di un titolo legittimo, ovvero tramite il contratto di locazione. Lamentava altresì nel ricorso di appello che il Tribunale aveva, a suo dire, pronunciato ultra petita in quanto lo aveva condannato non in veste di coerede, ma di conduttore dei beni ereditari senza una specifica domanda in tal senso e quindi, peraltro, per una posizione giuridica distinta e non comunicante con quella di coerede. Eccepiva infine la prescrizione del credito vantato dalla massa dovendosi applicare, in funzione del titolo locativo, il termine quinquennale decorrente da ciascuna singola mensilità di canone e non invece quello ordinario decennale decorrente dalla divisione. La Corte d’Appello respingeva però tutte le doglianze del ricorrente e la Corte di Cassazione, successivamente adita, confermava la sentenza di appello. In particolare la Corte di Appello rilevava nella sua sentenza che il ricorrente era stato immesso nel godimento esclusivo dei beni compresi nell’asse ereditario in funzione di un contratto di locazione, ma che lo stesso non aveva pagato il canone previsto, maturando così un debito verso la massa e rimanendo nel godimento di fatto del bene comune senza corrispondere alcuna indennità alla massa stessa. A detto debito, secondo la Corte di Appello, e anche secondo la Cassazione, corrispondeva un’evidente mancata utilità per la massa, rappresentata proprio dall’indisponibilità dei beni goduti esclusivamente del coerede in assenza di pagamento del relativo canone e il controvalore di detta mancata utilità corrispondeva evidentemente al valore locativo dei beni predetti. Pertanto, secondo la Cassazione, il giudice di merito, nel condannare il ricorrente a versare coeredi, ciascuno limitatamente alla quota di sua spettanza, l’importo corrispondente al godimento esclusivo dei beni ereditari, altro non aveva fatto che attribuire a ciascun coerede la porzione del credito della massa corrispondente alla sua quota ereditaria senza con ciò rilevare alcuna pronuncia ultra petita . Rendiconto. In tema, la Cassazione precisava inoltre che, l’espressione utilizzata dalla Corte d’Appello a titolo di rendiconto” alludeva all’obbligo del coerede nel possesso esclusivo del bene di rendere il conto del suo godimento agli altri coeredi. Del resto, sul punto, sottolineava la Cassazione che, in materia di divisione il rendiconto costituisce operazione contabile che deve necessariamente precedere la divisione, in quanto preliminare alla determinazione della quota spettante ciascun condividente. Tutto quanto premesso ne è conseguito anche che, per quanto attiene la prescrizione del diritto del credito, ciò che rileva non è il fatto che il godimento esclusivo del bene ereditato si sia costituita in via di fatto, ovvero in funzione di un titolo legittimante, ma deve ritenersi decisivo invece che, in ambedue i casi, il singolo coerede non è in condizione di esercitare il proprio diritto sino alla divisione ereditaria. E’ infatti solo in questo momento che viene attribuita formalmente al coerede la titolarità della quota parte del credito della massa corrispondente alla sua quota ereditaria e, pertanto, anche la conseguente facoltà di disporne, anche per esercitare le relative azioni conservative.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 29 marzo – 18 giugno 2019, n. 16332 Presidente Gorjan – Relatore Oliva Fatti di causa Con ricorso notificato il 29.4.1987 S.P. e Sc.Pi. esponevano che il 5.1.1987 si era aperta la successione di S.U. e chiedevano al Tribunale di Salerno di disporre il sequestro giudiziario dei cespiti compresi nell’asse ereditario con contestuale nomina di un custode. Veniva disposto il sequestro, nominato il custode e la causa proseguiva nei confronti di S.B. e B.V. , coeredi di S.U. , per la convalida e la divisione dell’eredità relitta dal de cuius. Con sentenza non definitiva n. 459/91 veniva parzialmente convalidato il sequestro e disposta la prosecuzione del giudizio per le operazioni divisionali dell’eredità. In corso di causa S.B. stipulava con il custode giudiziario, giusta autorizzazione del giudice istruttore e del collegio, un contratto di locazione in relazione ad alcuni beni compresi nell’asse ereditario siti in omissis e si rendeva inadempiente all’obbligazione di pagamento del relativo canone. Il custode giudiziario intraprendeva quindi, su autorizzazione del giudice istruttore, un giudizio per ottenere il rilascio dei beni locati allo S.B. e la sua condanna al pagamento dei canoni e delle indennità di occupazione dei medesimi. Con sentenza n. 670/97 detto giudizio veniva definito con condanna del convenuto al rilascio e al pagamento della somma di lire 37.983.000 per canoni e interessi calcolati sino al 28.11.1995. La decisione rimaneva ineseguita. Nel giudizio di divisione veniva invece depositata una seconda sentenza non definitiva, n. 814/2010, con la quale il Tribunale di Salerno accoglieva la domanda di divisione sciogliendo la comunione ereditaria sugli immobili e sui mobili, mentre veniva disposta la prosecuzione del giudizio per il rendiconto del custode e la divisione delle somme di denaro comprese nell’asse ereditario. Infine, con sentenza n. 940/2012 il giudizio di divisione veniva definito con condanna dello S.B. al pagamento in favore della massa della somma, a titolo di rendiconto, di Euro 184.592,86 per canoni, indennità di occupazione ed interessi calcolati fino alla data del 31.8.2011. S.B. interponeva appello avverso detta decisione lamentando che il primo giudice non avrebbe potuto condannarlo a titolo di rendiconto, posto che egli non si era appropriato dei beni ereditari ma ne aveva avuto il possesso in funzione di un titolo legittimo, costituito dalla locazione stipulata con la custodia giudiziaria dell’eredità. Sosteneva quindi che il Tribunale avrebbe al massimo potuto assegnare a ciascun singolo coerede una quota del credito della massa verso di esso appellante corrispondente al valore della rispettiva quota ereditaria. Lamentava inoltre che il Tribunale aveva pronunciato ultra petita in quanto lo aveva condannato non in veste di coerede ma di conduttore dei beni ereditari, senza una specifica domanda in tal senso. Eccepiva inoltre la prescrizione del credito dovendosi applicare, in funzione del titolo locativo, il termine quinquennale decorrente da ciascuna singola mensilità di canone e non invece quello ordinario decennale decorrente dalla divisione. Ed infine, contestava la nullità della sentenza per avere il Tribunale, quanto al profilo attinente la determinazione del credito della massa verso esso appellante, rinviato per relationem al rendiconto fornito dal custode giudiziario, che tuttavia era andato smarrito in uno al fascicolo di ufficio, con conseguente materiale impossibilità di comprendere il metodo con cui si era pervenuti alla somma complessiva oggetto della condanna né di capire se nella relativa determinazione si fosse tenuto conto, o meno, di quanto già liquidato dal Tribunale di Salerno con la sentenza n. 670/1997 con la quale era stato definito il distinto giudizio attivato contro lo S.B. dal custode giudiziario, con condanna del primo al pagamento della somma di lire 37.983.000 per canoni e interessi calcolati sino al 28.11.1995 . Si costituivano S.P. e Sc.Pi. resistendo al gravame. B.V. rimaneva invece contumace in seconda istanza. Con la sentenza oggi impugnata, n. 259/2015, la Corte di Appello di Salerno respingeva l’eccezione di prescrizione del credito ritenendo che la domanda fosse da qualificare come azione di rendiconto proposta nei confronti del coerede che aveva avuto la disponibilità esclusiva di parte dei beni ereditari, con conseguente decorrenza del termine ordinario di prescrizione dal momento in cui ciascun coerede è divenuto titolare delle rispettive quote di crediti e debiti ereditari, ovverosia dalla divisione dell’asse relitto dal de cuius. Ricostruiva poi l’iter logico seguito dai primo giudice affermando che l’espressione a titolo di rendiconto utilizzata dal Tribunale alludesse al fatto che l’appellante, in quanto coerede nel godimento esclusivo di parte dei beni compresi nella massa ereditaria, fosse tenuto alla resa del conto ai sensi dell’art. 723 c.c., con conseguente imputazione a suo carico dei debiti derivanti dal rapporto di comunione. Affermava inoltre che la somma determinata dal primo giudice era da ritenere congrua, posto che non vi erano contestazioni sull’ammontare del canone locativo pattuito tra l’appellante e la custodia giudiziaria dell’eredità e pacificamente non pagato dal primo, né era stato formulato specifico motivo di appello in relazione al meccanismo di adeguamento individuato dal Tribunale. Precisava ancora che la condanna dello S.B. doveva intendersi contenuta nei limiti delle quote ereditarie spettanti a ciascun coerede. Infine, osservava che l’appellante non aveva contestato specifiche voci del rendiconto offerto dal custode giudiziario, né aveva allegato duplicazioni di esse rilevava poi che lo stesso si era difeso nel merito sul contenuto del rendiconto, evidenziando in tal modo di aver avuto contezza del suo contenuto e, su queste considerazioni, riteneva non rilevante la mancanza del rendiconto stesso in atti a seguito dello smarrimento del fascicolo di ufficio di prime cure. Propone ricorso per la cassazione di detta decisione S.B. affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso S.P. . Gli altri intimati Sc.Pi. e B.V. non hanno svolto attività difensiva in questo giudizio. Il ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 723, 1571, 2935 e 2948 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché la Corte di Appello lo avrebbe erroneamente condannato nella sua posizione giuridica di coerede senza considerare che nella fattispecie esisteva un valido titolo legittimante il godimento esclusivo di parte dei beni ereditari, rappresentato dal contratto di locazione da lui pattuito con il custode giudiziario nominato dal Tribunale nell’ambito del giudizio di divisione ereditaria. Il ricorrente ritiene, in sostanza, di avere nella vicenda due distinte posizioni giuridiche, l’una come coerede e l’altra come inquilino, che non sarebbero tra loro comunicanti. Ritiene quindi che la Corte territoriale non avrebbe potuto emettere alcuna pronuncia di condanna nei suoi confronti, ma al massimo assegnare a ciascun coerede la quota parte del credito della massa ereditaria derivante dal mancato pagamento dei canoni previsti per l’esclusivo godimento dei beni compresi nell’asse corrispondente al valore di ciascuna singola quota ereditaria. Ad avviso dei ricorrente, in altri termini, alla fattispecie non si applicherebbe l’art. 723 c.c., in quanto la fattispecie non sarebbe quella del coerede immessosi nel godimento del bene comune senza titolo legittimante, posto che qui era stato concluso un contratto di locazione con il custode giudiziario solo a quest’ultimo, quindi, il ricorrente sarebbe stato tenuto a rispondere, e non invece ai singoli coeredi. Di conseguenza, posto che il credito trarrebbe origine solo dal rapporto locativo autorizzato dal giudice della divisione, e non anche dal rapporto di comunione tra i coeredi, ad esso si applicherebbe il termine di prescrizione quinquennale con decorrenza dal momento in cui il credito poteva essere fatto valere, e quindi da ciascuna singola mensilità di canone o indennità di occupazione non pagata. La doglianza è infondata. È infatti pacifico che il ricorrente, immesso nel godimento esclusivo di parte dei beni compresi nell’asse ereditario in funzione di un contratto alla cui stipula il custode giudiziario era stato debitamente autorizzato dal Tribunale, non ha pagato il canone previsto, maturando un debito verso la massa e rimanendo nel godimento di fatto del bene comune senza corrispondere alcuna indennità alla massa stessa. A detto debito corrisponde evidentemente una mancata utilità per la massa, rappresentata dall’indisponibilità dei beni goduti esclusivamente dal coerede in assenza di pagamento del relativo canone. Il controvalore di detta mancata utilità corrisponde evidentemente al valore locativo dei beni predetti, per il cui accertamento, stante l’esistenza del contratto di locazione non era necessario, nel caso specifico, neppure procedere a consulenza tecnica d’ufficio. Inoltre il giudice di merito, ne condannare il ricorrente a versare ai coeredi, ciascuno limitatamente alla quota di sua spettanza, l’importo corrispondente al godimento esclusivo dei beni ereditari di cui anzidetto, non ha fatto altro che attribuire a ciascun coerede la porzione del credito della massa corrispondente alla sua quota ereditaria. La Corte di Appello ha correttamente ricostruito la decisione del primo giudice, precisandone il senso e chiarendo in particolare che l’espressione a titolo di rendiconto utilizzata dal Tribunale alludeva all’obbligo del coerede nel possesso esclusivo di beni ereditari di rendere il conto dei suo godimento agli altri coeredi. Del resto, in materia di divisione va ribadito il principio secondo cui il rendiconto, pur non essendo necessariamente pregiudiziale rispetto alla proposizione della domanda di divisione, costituisce tuttavia operazione contabile che deve necessariamente precedere la divisione, in quanto preliminare alla determinazione della quota spettante a ciascun condividente Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8040 del 19/07/1993, Rv.483218 conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25120 del 10/01/2018, Rv.650675 . Per quanto invece attiene alla prescrizione del diritto di cui si discute, va osservato che ciò che rileva non è il fatto che il godimento esclusivo del bene ereditario si sia costituito in via di fatto ovvero in funzione di un titolo legittimante, peraltro nel caso di specie assente, posto che il ricorrente ha pacificamente inadempiuto all’obbligo di pagamento del canone locativo pattuito con il custode giudiziario dell’eredità. Quel che infatti appare decisivo è che in ambedue i casi il singolo coerede non è in condizione di esercitare il proprio diritto sino alla divisione ereditaria. Solo in questo momento, infatti, gli viene attribuita formalmente la titolarità della quota parte del credito della massa corrispondente alla sua quota ereditaria e la conseguente facoltà di disporne, anche per esercitare le relative azioni conservative. In termini, va ribadito il principio secondo cui nel caso di rendiconto afferente alla gestione di beni ereditari che sia stata tenuta da uno o più coeredi, non è configurabile una inerzia del creditore alla quale possa riconnettersi un effetto estintivo, in quanto l’obbligo della resa dei conti dal momento dell’apertura della successione, e l’esigenza dell’imputazione alla quota di ciascun condividente delle somme di cui è debitore verso i coeredi in dipendenza dei rapporti di comunione, traggono origine dalla divisione Cass. Sez. 2, Sentenza n. 621 del 09/04/1965, Rv. 311166 cfr. anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 899 del 13/02/1982, Rv. 418749 Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2594 del 14/02/2005, Rv. 579550 Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16700 dell’11/08/2015, Rv. 636398 . Ne consegue che, anche a voler considerare come dies a quo per il calcolo di prime cure n. 940/2012 , nessuna prescrizione si è maturata. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente richiamato, nella motivazione della sentenza oggi impugnata, le relazioni del custode giudiziario senza tuttavia dar conto del loro contenuto. Il ricorrente sostiene che, in conseguenza dello smarrimento dei fascicolo di prime cure, non avrebbe potuto prendere cognizione di dette relazioni e non sarebbe comunque chiaro quale parte della somma indicata dal custode sia da imputare a capitale, quale invece ad interessi, né con quale metodo questi ultimi siano stati contabilizzati, né in qual modo la somma, inizialmente determinata dal custode in Euro 170.899,36 sino al 30.5.2010, sia stata poi attualizzata dalla Corte salernitana in Euro 184.592,86 sino a tutto il 31.8.2011. La censura è inammissibile. La Corte di Appello ha infatti affermato cfr. pag. 8 della sentenza impugnata che gli atti attualmente presenti nel fascicolo hanno consentito alle parti di esercitare adeguatamente i loro diritti di difesa e allo stato non emergono specifici profili con riguardo ai quali il diritto di difesa risulti in qualche modo menomato. Non risulta, d’altra parte, la sussistenza di voci del rendiconto del custode specificamente e adeguatamente individuate che possano essere ritenute non correttamente indicate dal custode stesso o non correttamente valutate dal Tribunale, tenuto anche conto della distribuzione dell’onere della prova . Tale statuizione, non specificamente attinta dal motivo, evidenzia che nel caso di specie ambo le parti avevano potuto argomentare sul contenuto del rendiconto fornito dal custode ne corso del giudizio di merito e che nessuna delle parti - ed in particolare, per quanto qui rileva, il ricorrente S.B. - aveva allegato di aver subito un concreto pregiudizio al proprio diritto di difesa per effetto dello smarrimento del fascicolo di ufficio. Ne consegue che il motivo in esame non coglie appieno la ratio della decisione, con conseguente difetto di specificità e di interesse all’impugnazione. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti della controricorrente S.P. . Nulla invece per gli intimati Sc.Pi. e B.V. , non avendo essi svolto attività difensiva in questo giudizio. Poiché il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento nei confronti della controricorrente delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13.