Quando i beni provengono da titoli diversi non si può procedere ad un’unica divisione…

Nei casi in cui i beni in comune godimento provengono da titoli diversi, non si realizza un’unica comunione, ma tante comunioni quanti sono i titoli di provenienza dei beni i due massi possono essere unificati solo in presenza di consenso, espresso in forma scritta, di tutti i condividenti.

Sul tema la Corte di Cassazione con sentenza n. 15494/19, depositata il 7 giugno. Dinanzi al Tribunale venivano chiamati alcuni germani per disporre la divisione ereditaria dei beni pervenuti dalla successione del padre e dei beni acquistati in comunione tra le parti con 2 atti di compravendita. Interveniva in giudizio la moglie del de cuius, nominata usufruttuaria di tutti i beni caduti in successione. Dopo la decisione del secondo grado di giudizio, uno dei germani ricorre in cassazione lamentando violazione di legge, in particolare degli artt. 713 e 720 c.c., sostenendo che nel procedere alla divisione occorreva tenere distinti i beni acquistati in comunione ordinaria da quelli provenienti dalla successione, poiché i due massi non potevano essere unificati vista la mancanza di consenso di tutti i condividenti espresso in forma scritta. Pluralità di titoli, pluralità di masse. Per i Giudici di legittimità tale motivo di ricorso deve essere accolto. Infatti, come più volte già affermato dalla S.C., quando i beni in comune godimento provengono da titoli diversi, non si realizza un’unica comunione, ma tante comunioni quanti sono i titoli di provenienza dei beni. Alla pluralità di titoli corrisponde una pluralità di masse, ciascuna delle quali costituisce un’entità patrimoniale a sé stante, in cui ogni condividente deve poter far valere i propri diritti indipendentemente da quali che gli competono sulle altre masse. Si può procedere ad un’unica divisione ereditaria in presenza di masse diverse distinte solo con il consenso di tutti i condividenti da manifestarsi con apposito negozio scritto. E siccome nel caso in esame tale negozio scritto è mancato, non si poteva procedere ad un’unica divisione. Per tale ragione, è accolto il motivo di ricorso con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’Appello per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 6 febbraio – 7 giugno 2019, n. 15494 Presidente Manna – Relatore Fortunato Fatti di causa P.M.C. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Bergamo i fratelli P.M.M. e P.G. , chiedendo di disporre la divisione ereditaria dei beni pervenuti dalla successione del padre P.M. , deceduto il omissis , nonché dei beni acquistati in comunione tra le parti con due atti di compravendita, datati 11 ottobre 1961 e 13 aprile 1965. Ha inoltre chiesto il pagamento dell’indennità per il mancato godimento degli immobili, lamentando che i convenuti li avevano utilizzati in via esclusiva sin dal 1969. P.M.M. e P.G. hanno aderito alle domande di divisione e hanno spiegato riconvenzionale per la condanna dell’attrice al pagamento delle spese sostenute per la conservazione dei beni comuni e di un’indennità per il godimento esclusivo dell’immobile sito in omissis . Il Tribunale ha disposto la chiamata in causa di M.C. , moglie del de cuius, che, costituendosi in giudizio, ha prodotto il testamento redatto il 23 maggio 1958, con il quale era stata nominata usufruttuaria di tutti i beni caduti in successione. Con sentenza non definitiva n. 2053/2001, ha dichiarato la validità di detto testamento, rimettendo la causa in istruttoria per l’ulteriore prosieguo. All’esito, con sentenza definitiva n. 1753/2012, ha disposto la divisione secondo il progetto n. 1 redatto dal ctu, stabilendo un conguaglio di Euro 22.301,36 a carico dei convenuti. La pronuncia è stata parzialmente riformata in appello. La Corte distrettuale di Brescia ha escluso che occorresse procedere alla formazione di masse distinte per i beni provenienti dalla successione ereditaria di P.M. e per quelli acquistati in comunione ordinaria dalle parti, rilevando che la questione non era stata tempestivamente sollevata in primo grado e che l’appellante non aveva interesse a dolersene, poiché le quote erano state esattamente determinate e la richiesta di procedere ad una divisione dei singoli cespiti cozzava con le regole dello scioglimento delle situazioni di comproprietà . Ha ritenuto di non dover procedere ad una nuova stima degli immobili nonostante il lasso di tempo trascorso tra la consulenza tecnica e la decisione di primo grado, osservando che, pur aggiornando i valori dei beni, la percentuale spettante a ciascun erede non sarebbe mutata e non sarebbe stata alterato il rapporto tra le quote, non essendo intervenuto alcun mutamento di destinazione degli immobili. Ha accolto la domanda proposta da P.M.C. ed ha condannato P.M.M. e P.G. al pagamento di un’indennità per l’occupazione dei beni ereditari, pari ad Euro 24.026,40, oltre accessori. Ha respinto l’appello incidentale sulla compensazione delle spese di I grado alla luce del comportamento processuale delle parti, osservando che P.M.C. aveva rallentato le operazioni di divisione, contestando il testamento mentre le controparti avevano infondatamente resistito alla domanda di pagamento di un indennizzo per l’utilizzo esclusivo dei beni ereditari. La cassazione della sentenza d’appello è chiesta da P.M.M. sulla base di quattro motivi. P.M.C. ha depositato controricorso, mentre P.G. è rimasto intimato. Ragioni della decisione 1. Non è fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso poiché il ricorrente non si è limitato a formulare censure di merito, ma ha dedotto la non corretta applicazione dei principi di diritto che regolano la divisione ereditaria, con esauriente esposizione delle censure ed il corretto riochiamo alle norme violate. 2. Il primo motivo censura la violazione degli artt. 713 e 720 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sostenendo che nel procedere alla divisione occorreva tener distinti i beni acquistati in comunione ordinaria con i rogiti dell’11.10.1961 e del 13.4.1965, da quelli provenienti dalla successione di P.M. , non potendosi unificare le due masse senza il consenso di tutti i condividenti espresso in forma scritta. Ha dedotto inoltre che la questione era rilevabile d’ufficio e che le eccezioni sollevate dal ricorrente non potevano considerarsi comunque tardive. Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 720, 722, 727 e 728 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, lamentando che la stima dei beni era stata eseguita dal consulente tecnico in data 9.9.2004 ma che la decisione di primo grado erano stata emessa solo in data 26.7.2012, allorquando i valori erano significativamente mutati, peraltro in modo non uniforme per ciascun cespite, per effetto delle oscillazioni del mercato immobiliare che l’asse, considerato nella sua unitarietà, era comodamente divisibile per cui ciascun condividente aveva titolo ad ottenere una quantità di mobili, immobili e crediti in proporzione alle singole quote, da individuare mediante il rinnovo della consulenza tecnica. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza liquidato in favore di P.M.C. un indennizzo per l’occupazione dei beni ereditari da parte degli altri coeredi, pur in mancanza della prova che questi ultimi avessero effettivamente utilizzato in via esclusiva i cespiti caduti in successione, non potendo configurarsi un danno in re ipsa. Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, sostenendo che le spese del giudizio di primo grado non potevano esser poste a carico del ricorrente senza tener conto del comportamento processuale di P.M.C. , che, pur avendo proposto il giudizio, non aveva chiamato in causa la madre, M.C. , aveva infondatamente contestato la validità del testamento del 23.5.1958 ed aveva chiesto un indennizzo di Euro 50.000,00 senza fornire la prova dell’utilizzo esclusivo dei beni da parte delle controparti, occorrendo quindi tener conto della reciproca soccombenza delle parti e regolare le spese in base all’esito finale del giudizio. 2. Il primo motivo di ricorso merita accoglimento. La domanda di divisione proposta da P.M.C. riguardava sia i beni pervenuti dalla successione di P.M. che quelli acquistati dalle parti, in comunione ordinaria, con gli atti di compravendita dell’11.10.1961 e del 13.4.1968. Di conseguenza si era in presenza di masse fondate su titoli diversi, che in sede di divisione non potevano essere unificate. Questa Corte ha costantemente asserito che quando i beni in godimento comune provengono da titoli diversi, non si realizza un’unica comunione, ma tante comunioni quante sono i titoli di provenienza dei beni, corrispondendo, quindi, alla pluralità di titoli una pluralità di masse, ciascuna delle quali costituisce un’entità patrimoniale a sé stante, nella quale ogni condividente deve poter far valere i propri diritti indipendentemente da quelli che gli competono sulle altre masse. Nell’ambito di ciascuna massa, inoltre, debbono trovare soluzione i problemi relativi alla formazione dei lotti e alla comoda divisione dei beni immobili che vi sono inclusi Cass. 27645/2018 Cass. 2231/19885 . La possibilità di procedere ad un’unica divisione in presenza di masse distinte esige il consenso di tutti i condividenti che deve trovare titolo in uno specifico negozio che ove, riguardante beni immobili, deve rivestire la forma scritta ad substantiam Cass. 314/2009 , con il quale si attui il conferimento delle singole comunioni in una comunione unica. In mancanza, la parte che non si sia opposta alla domanda di divisione sin dal primo grado può sollevare la questione in grado di appello Cass. 5798/1992 . Il giudice di merito avrebbe dovuto rilevare che i beni da dividere provenivano da titoli diversi e che nessun consenso scritto era stato prestato dalle parti affinché si procedesse ad un’unica divisione, non potendo giudicare inammissibili le contestazioni sollevate dal ricorrente, dato che - peraltro - il giudizio era stato proposto con citazione notificata in data 8.9.1987 e non erano comunque operanti le preclusioni introdotte dalla L. n. 353 del 1990 le cui disposizioni, relativamente alla nuova disciplina del processo di cognizione, sia in primo grado che in grado di appello, sono applicabili ai soli processi proposti a far data dal 30.4.1995 . 3. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo sono assorbiti, dovendo il giudice del rinvio procedere ad una nuova divisione, conformandosi al principio di diritto enunciato e riesaminando le ulteriori questioni sollevate in sede di legittimità, anche ai fini della regolazione delle spese di giudizio, da compiere in base all’esito finale della lite. In conclusione, è accolto il primo motivo di ricorso, sono assorbiti gli altri, la sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di appello di Brescia, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Brescia, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.