La stabilizzazione lavorativa ‘tradisce’ l’ex moglie: addio all’assegno divorzile

Sospiro di sollievo per l’uomo che può considerarsi libero dall’obbligo di versare 250 euro al mese a quella che era stata la sua consorte. Decisiva, per i Giudici, la constatazione della rafforzata posizione economica della donna.

Stabilizzazione lavorativa e conseguente innalzamento dei redditi. Questi due elementi positivi si tramutano in un boomerang nel contenzioso con l’ex marito essi, difatti, sono sufficienti, secondo i Giudici, per negare alla donna l’assegno divorzile – 250 euro al mese – riconosciutole in origine Cassazione, sentenza n. 12021/19, sez. I Civile, depositata oggi . Contributo. Ufficializzata la cessazione del matrimonio, in Tribunale viene riconosciuto il diritto della moglie a percepire l’assegno divorzile. Tale decisione viene però ribaltata in Appello, laddove i Giudici ritengono mancare i presupposti per il contributo economico – 250 euro al mese – a favore dell’ex moglie. Su questo fronte, in particolare, viene evidenziato il miglioramento della posizione della donna, che, osservano i Giudici, le garantisce un tenore di vita analogo a quello che avrebbe goduto in costanza di matrimonio . Dall’altro lato, invece, l’uomo, pur avendo goduto dei prevedibili incrementi connessi alla attività di dipendente ministeriale , ha dovuto provvedere anche al mantenimento di un figlio, nato da una nuova relazione . Posizione. L’ottica adottata in Appello, e sfavorevole alla donna, è ritenuta corretta e condivisa anche dalla Cassazione. Anche per i Giudici del Palazzaccio, difatti, la donna non ha subito un apprezzabile deterioramento delle proprie condizioni economiche , anzi la sua posizione si è rafforzata attraverso la stabilizzazione lavorativa e il sostanzioso innalzamento dei redditi . Peraltro, va anche osservato, secondo i giudici, che la breve durata della vita in comune, non caratterizzata dalla nascita di figli, era tale da escludere che essa avesse avuto efficacia condizionante sulla formazione del patrimonio dei due coniugi. Respinta, quindi, definitivamente la richiesta della donna, che deve dire addio all’assegno divorzile da 250 euro al mese.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 marzo – 7 maggio 2019, numero 12021 Presidente Acierno – Relatore Tricomi Fatti di causa Con sentenza del 22 dicembre 2015 la Corte d'appello di Palermo ha accolto il gravame proposto da Fr. Se. avverso la pronuncia del Tribunale di Palermo che - dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto in data 19/7/1993 con Ma. Mo. - aveva disposto che egli versasse in favore di quest'ultima un assegno divorzile di Euro 250,00= mensili, ed ha revocato la statuizione in merito all'assegno divorzile. La Corte d'appello, avendo premesso che l'assetto economico stabilito nel 1998, in sede di separazione consensuale con la previsione di un assegno di mantenimento, così come l'analogo provvedimento provvisorio emesso dalla Corte di appello in sede di reclamo avverso l'ordinanza presidenziale adottata nel giudizio di divorzio non avevano valenza determinante o orientativa, ha ritenuto che non ricorrevano le condizioni per porre a carico del Se. l'assegno divorzile. Mo. ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi Se. ha replicato con controricorso. La controversia perviene all'odierna udienza a seguito di rinvio a nuovo ruolo disposto dalla Sezione Sesta - Prima con ordinanza interlocutoria in data 19/12/2017. Ragioni della decisione 1. Le censure, proposte cumulativamente come Impugnazione ai sensi dell'articolo 360, primo comma, numero 3 cod. proc. civ. - violazione o falsa applicazione di norme di diritto - erronea valutazione dei fatti e dei documenti di causa - violazione o falsa applicazione dell'articolo 5, comma 6, legge numero 898/1970 - per avere errato la Corte di appello nel ritenere non sussistenti le condizioni per la corresponsione di un assegno di mantenimento a favore della ricorrente - Violazione o falsa applicazione dell'articolo 5, comma 6, della legga numero 898/1970 -erronea individuazione dei criteri di determinazione dell'assegno divorzile ex articolo 5, comma 6, cit. - funzione risarcitoria e compensativa sono così distinte nel ricorso 1 Erronea valutazione dei fatti di causa e documenti di causa. La ricorrente si duole della ricostruzione dei fatti compiuta dalla Corte di appello, segnatamente affermando che all'epoca del matrimonio era lei a provvedere al pagamento dell'affitto di casa con somme rivenienti dall'affitto di altra casa in proprietà esclusiva e che guadagnava più di quanto ritenuto dalla Corte di appello si duole inoltre della valutazione compiuta in ordine ai redditi attuali delle due parti, della mancata considerazione del reddito percepito dalla compagna del Se. della mancata ammissione delle richieste probatorie formulate in merito. 2 Sussistenza delle condizioni per la concessione dell'assegno divorzile. La ricorrente lamenta che la Corte di appello non abbia considerato che il reddito dalla stessa percepito Euro 18.000,00 annui lordi non le consentiva di godere del tenore di vita di cui avrebbe potuto godere con la prosecuzione del rapporto, atteso che il reddito del Se. ammontava ad Euro 39.000,00 lordi, e non abbia tenuto conto delle aspettative esistenti nel corso del matrimonio, della disparità economica tra i coniugi - che pure aveva dato luogo all'attribuzione riconosciutale in primo grado - e dell'aspetto assistenziale dell'assegno divorzile. 3 Erronea individuazione dei criteri di determinazione dell'assegno divorzile, in ragione della funzione risarcitoria e compensativa dello stesso. La ricorrente sostiene che non si è tenuto conto che l'assegno divorzile doveva prevedere anche la quota risarcitoria - da ricollegarsi, a suo dire, alle cause della cessazione del matrimonio, ascrivibili esclusivamente al Se., allontanatosi di casa per intraprendere una relazione adulterina, e della quota compensativa e sul punto lamenta la mancata ammissione dei mezzi istruttori legata agli aggravi a cui era stata costretta a causa della cessazione del matrimonio. 2. Il primo motivo è inammissibile. La censura non risponde ai canoni del vizio motivazionale e sostanzialmente sollecita un riesame del merito conforme alle aspettative della parte non concerne l'omesso esame di un fatto storico, da intendersi principale o secondario, bensì la valutazione di deduzioni difensive e documenti e non è inquadrabile nel paradigma dell'articolo 360, numero 5, cod. proc. civ. come riformulato dall'articolo 54 del decreto-legge 22 giugno 2012, numero 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, numero 134 ex plurimis, Cass. Sez. U. numero 8053 del 07/04/2014, . 3.1. I motivi secondo e terzo risultano intimamente connessi e vanno trattati congiuntamente. 3.2. Giova ricordare che, a partire dalla sentenza numero 11490 del 1990 delle SU di questa Corte, la giurisprudenza ha affermato il carattere esclusivamente assistenziale dell'assegno divorzile, individuandone il presupposto nell'inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge istante a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, e prevedendo che la relativa liquidazione dovesse essere effettuata in base alla valutazione ponderata dei criteri enunciati dalla legge condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio , con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. Tale orientamento, rimasto fermo per un trentennio, è stato modificato con la sentenza numero 11504 del 2017, con cui questa sezione, muovendo anch'essa dalla premessa sistematica relativa alla distinzione tra criterio attributivo e determinativo, ha affermato che il parametro dell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante deve essere valutato al lume del principio dell'autoresponsabilità economica di ciascun coniuge ormai persona singola e che, all'esito dell'accertamento della condizione di non autosufficienza economica, vanno esaminati in funzione determinativa del quantum i criteri indicati dalla norma. Con la recente numero 18287 del 2018 sono nuovamente intervenute le Sezioni Unite di questa Corte, che, nell'ambito di una riconsiderazione dell'intera materia, hanno ritenuto che l'accertamento relativo all'inadeguatezza dei mezzi o all'incapacità di procurarseli per ragioni oggettive del coniuge richiedente sia da riconnettere alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli durante lo svolgimento della vita matrimoniale e da ricondurre a determinazioni comuni, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età di detta parte, affermando i seguenti principi di diritto, così riportati nelle massime ufficiali a all'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate b la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi c il riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. numero 898 del 1970, articolo 5, comma 6, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto. 3.3. Ciò ricordato, va osservato che la Corte di appello, pur avendo concordato sulla ricostruzione delle condizioni economiche e reddituali delle parti e sulla loro evoluzione a far data dalla separazione, ha criticato il riconoscimento dell'assegno divorzile fondato sulla valorizzazione della sproporzione tra gli attuali redditi delle parti. In proposito ha inteso rimarcare che la posizione della Mo. si era rafforzata dal 2006 per la stabilizzazione lavorativa e per il sostanzioso innalzamento dei redditi ed era tale da garantirle un tenore di vita analogo a quello che avrebbe goduto in costanza di matrimonio, mentre il Se., pur avendo goduto dei prevedibili incrementi connessi alla attività di dipendente del Ministero dell'Interno, doveva provvedere anche al mantenimento di un figlio nato da una nuova relazione. Ha valorizzato, quindi, il fatto che la Mo. non avesse subito un apprezzabile deterioramento delle proprie condizioni economiche e - pur propendendo per il carattere assistenziale dell'assegno divorzile - ha osservato che la breve durata della vita in comune, non caratterizzata dalla nascita dei figli, era tale da escludere che avesse avuto efficacia condizionate sulla formazione del patrimonio delle parti, ove ritenuto astrattamente valutabile quanto all'an debeatur. 3.4. Orbene la statuizione impugnata, anche in ragione di tale conclusiva considerazione, risulta in linea con i principi di recente espressi, mentre la seconda censura non si confronta con l'integrale motivazione, sostanzialmente focalizzandosi sulla disparità dei redditi attuali, senza in alcun modo soffermarsi o smentire la valutazione compiuta convincentemente in merito alla breve durata della convivenza ed alla non incidenza sulla formazione del patrimonio delle parti. 3.5. Quanto alla terza doglianza, circa l'inosservanza dei criteri di liquidazione a titolo risarcitorio e compensativo, va osservato che la stessa risulta meramente assertiva ed inammissibile, poiché la prospettazione è incentrata sulla causa della cessazione della vita coniugale - ascrivibile, per la ricorrente, al Se.-, causa che non ha costituito oggetto di alcun accertamento giudiziale, posto che la separazione venne concordata consensualmente e che, correttamente, nel giudizio divorzile le istanze istruttorie a ciò attinenti non furono ammesse. 4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. Sussistono i presupposti di cui all'articolo 13, comma 1 quater del D.P.R. 30 maggio 2002 numero 115. Va disposto che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. 30 giugno 2003 numero 196, articolo 52. P.Q.M. - Dichiara inammissibile il ricorso - Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.100,00=, oltre Euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge - Dà atto, ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater del D.P.R. numero 115 del 30.05.2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 - Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 numero 196, articolo 52.