È escluso dalla comunione legale l’immobile acquistato da un coniuge dopo il matrimonio ma con denaro personale?

La mera dichiarazione contenuta nell’atto di vendita relativa all’acquisto di beni immobili da parte di un coniuge dopo il matrimonio, ma con denaro personale, non è sufficiente ai fini di escluderne l'inclusione nella comunione legale.

Sul tema la Corte di Cassazione con ordinanza n. 7027/19, depositata il 12 marzo. Il caso. Dopo aver contratto matrimonio, la moglie acquistava alcuni locali ad uso commerciale più un appartamento compreso nel medesimo stabile, prevedendo nell’atto di acquisto che tali beni, essendo stati acquistati con suo denaro personale, fossero esclusi dalla comunione legale ai sensi dell’art. 179, lett. f , c.c Il Tribunale dichiarava il fallimento della società di cui il marito dell’attrice era socio unico illimitatamente responsabile e il curatore del fallimento, previa autorizzazione del giudice, trascriveva la sentenza di fallimento sugli immobili di cui sopra sulla base del presupposto che la partecipazione al contratto del coniuge non acquirente ed il suo assenso all’acquisto personale in favore dell’altro coniuge non fossero elementi sufficienti ad escludere l’acquisto della comunione legale. L’attrice conveniva in giudizio il curatore medesimo e dopo i primi due gradi di giudizio in cui veniva rigettata la sua istanza decide così di ricorrere in Cassazione. I presupposti per l’esclusione dalla comunione legale. Interviene sul punto la Corte di Cassazione, la quale sottolinea che nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei due coniugi in regime di comunione legale, la partecipazione all’atto dell’altro coniuge non acquirente si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione, poiché a tal fine occorre non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, ma anche l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall’art. 179, comma 1, c.c., con la conseguenza che l’inesistenza eventuale di tali presupposti può essere fatta valere con una successiva azione di accertamento negativo. Orbene, nel caso in esame, la domanda di accertamento formulata dalla ricorrente implicava necessariamente l’accertamento della sussistenza dei presupposti di fatto dell’esclusione dei beni dalla comunione, poiché non è sufficiente, ai fini di escluderne l’inclusione nella comunione legale, la mera dichiarazione contenuta nell’atto di vendita. Sulla base di quanto detto gli Ermellini rigettano il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 28 novembre 2018 – 12 marzo 2019, n. 7027 Presidente Gorjan – Relatore Federico Esposizione del fatto Con atto di citazione ritualmente notificato, S.A. , premesso di aver contratto in data 20.6.1970 matrimonio concordatario con P.R. , esponeva che - con atti per notar D.T. dell’8.6.1987 e dell’10.6.1988 la S. aveva acquistato alcuni locali ad uso commerciale siti al piano terra dello stabile ubicato in Casoria, riportati in catasto alla partita , F. X, n. , sub. , sub. X e sub. , nonché un appartamento compreso nel medesimo stabile, prevedendo nell’atto di acquisto che i beni su indicati, essendo stati acquistati con denaro personale dell’attrice, fossero esclusi dalla comunione legale ai sensi dell’art. 179 c.c., lett. F . il Tribunale di Napoli, con sentenza del 3.5.2006 aveva dichiarato il fallimento della omissis s.n.c. e del socio unico illimitatamente responsabile P.R. - il curatore del fallimento, previa autorizzazione del giudice delegato, aveva trascritto la sentenza di fallimento sugli immobili di cui sopra, sul presupposto che la partecipazione al contratto del coniuge formalmente non acquirente ed il suo assenso all’acquisto personale in favore dell’altro coniuge non fossero elementi sufficienti ad escludere l’acquisto dalla comunione legale. Tanto premesso, l’attrice conveniva in giudizio la curatela del fallimento omissis s.n.c. e del socio unico illimitatamente responsabile P.R. al fine di sentir dichiarare che gli immobili di cui sopra erano esclusi dalla comunione legale con la conseguente cancellazione della trascrizione della sentenza di fallimento. Si costituiva la curatela, contestando tutto quanto sostenuto dall’attrice ed eccependo che non ricorreva la fattispecie di cui all’art. 179 c.c., lett. f . Il Tribunale di Napoli rigettava la domanda di parte attrice e la condannava al pagamento delle spese di lite. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 4104/2014 confermava le statuizioni del giudice di primo grado. Avverso detta sentenza propone ricorso in cassazione, articolato in due motivi, S.A. . Resiste con controricorso la curatela del fallimento omissis s.n.c. e del socio unico illimitatamente responsabile P.R. . In prossimità dell’odierna adunanza il resistente ha depositato memoria. Considerato in diritto Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 179 c.c. per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato la domanda di parte attrice, volta ad ottenere non già l’accertamento del fatto che il prezzo di acquisto dei cespiti venne ricavato dal trasferimento di beni personali, ma degli effetti prodottisi in conseguenza della dichiarazione riportata negli atti notarili, alla cui stipula aveva partecipato il coniuge non acquirente. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in riferimento agli artt. 38 e 167 c.p.c. per aver la Corte territoriale erroneamente qualificato domanda riconvenzionale anziché eccezione riconvenzionale quella proposta dalla Curatela del fallimento in merito all’accertamento dell’appartenenza dei su indicati beni alla comunione legale. I motivi di ricorso, che, in quanto connessi, possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili. Ed invero, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, occorre distinguere l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda o la pronuncia su una domanda non proposta, dall’ipotesi in cui, come nel caso di specie, si censuri l’interpretazione data dal giudice del merito del contenuto o ampiezza della domanda in tal caso, essi integrano accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito e non sindacabili in sede di legittimità Cass. 7932/12 . Nel merito, ambedue i motivi sono, in ogni caso, infondati. Quanto alla prima censura, la Corte d’Appello di Napoli, ha rigettato la domanda di parte attrice sulla base del presupposto che, mancando la prova della sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione legale di cui all’art. 179 c.c., lett. c , d ed f , la mera partecipazione del coniuge non acquirente all’atto di trasferimento e la sua dichiarazione circa la natura dei beni non comportasse l’esclusione de beni medesimi, acquistati in regime di comunione legale, dalla comunione stessa. Tale statuizione è conforme a diritto. Invero, nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la partecipazione all’atto dell’altro coniuge non acquirente, prevista dall’art. 179 c.c., comma 2, si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall’art. 179 c.c., comma 1, lett. c , d ed f , con la conseguenza che l’eventuale inesistenza di tali presupposti può essere fatta valere con una successiva azione di accertamento negativo, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente sia intervenuto nel contratto per aderirvi Cass. SS.UU. 22755/2009 . La domanda di accertamento formulata dall’odierna ricorrente implicava dunque necessariamente l’accertamento della sussistenza dei presupposti di fatto dell’esclusione dei beni dalla comunione, non essendo all’uopo sufficiente, ai fini di escluderne l’inclusione nella comunione legale, la mera dichiarazione contenuta nell’atto di vendita. Secondo un accertamento di fatto, effettuato dalla Corte territoriale e non censurabile in questa sede, non sussistevano gli ulteriori presupposti, di natura sostanziale, per poter escludere l’appartenenza dei suddetti beni alla comunione. Con riferimento alla seconda censura, la stessa si risolve nella sollecitazione al sindacato sull’interpretazione della domanda riconvenzionale della curatela da parte del giudice di merito, inammissibile nel presente giudizio di legittimità. La Corte, con apprezzamento adeguato, ha infatti qualificato domanda riconvenzionale , la domanda ritualmente formulata dalla Curatela del fallimento al fine di ottenere una pronuncia che dichiarasse l’appartenenza degli immobili di cui sopra alla comunione legale, ed il conseguente assoggettamento degli stessi in ragione della metà alla procedura fallimentare, quale conseguenza dell’insussistenza della causa di esclusione di cui all’art. 179 c.c., comma 1, lett. c , d ed f . Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M. Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 3.200,00 Euro di cui 200,00 Euro per esborso, oltre a rimborso forfettario per spese generali in misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.