Eredi tutti contro tutti: come si accerta la divisibilità dell’immobile del de cuius?

Ai fini della valutazione circa la divisibilità o meno dell’immobile, è decisiva la complessiva valutazione dell’intervento in relazione alle caratteristiche dell’edificio e la sua compatibilità con la disciplina urbanistica vigente, sia in relazione alla normativa nazionale che ai regolamenti e strumenti urbanistici locali.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6915/19, depositata l’11 marzo. La vicenda. Il Tribunale di Napoli dichiarava lo scioglimento della comunione tra gli eredi del de cuius e, rilevando la non comoda divisibilità dell’immobile, lo attribuiva ad uno dei comunisti in quanto già proprietario della quota maggiore dell’edificio, regolarmente acquistata con atto pubblico, condannandolo al pagamento del conguaglio a favore degli altri eredi. Questi ricorrevano in appello chiedendo l’accertamento della divisibilità del bene in questione. La Corte territoriale rigettava però il gravame. I soccombenti ricorrono dunque in Cassazione. Divisibilità dell’immobile. Ai fini della divisibilità o meno dell’immobile non è tanto la necessità del permesso di costruire ai fini del frazionamento, motivazione addotta a fondamento della decisione impugnata, né tantomeno la qualificazione dell’intervento edilizio come ristrutturazione o mero restauro conservativo. Ciò che risulta decisivo è la complessiva valutazione dell’intervento in relazione alle caratteristiche dell’immobile e la sua compatibilità con la disciplina urbanistica vigente, sia in relazione alla normativa nazionale che ai regolamenti e strumenti urbanistici locali. Oltre alla valutazione della possibilità giuridica di frazionamento, deve poi essere accertato che le porzioni realizzabili siano suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento in assenza di servitù, pesi e limitazioni eccessivi o sensibili deprezzamenti in proporzione all’intero. Il giudice di merito deve inoltre accertare che tale intervento non richieda opere complesse o di notevole costo. Alla luce della disciplina vigente, deve poi essere verificato se il fabbricato è sottoposto a vicoolo storico-monumentale. Si tratta in conclusione di un accertamento complesso che non risulta essere stato adeguatamente effettuato nel caso di specie. Per questi motivi, il ricorso trova accoglimento e la sentenza viene cassata con rinvio al Tribunale di Napoli.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 11 dicembre 2018 – 11 marzo 2019, n. 6915 Presidente Gorjan – Relatore Federico Fatti di causa Il Tribunale di Napoli, con sentenza depositata il 3 dicembre 2008, dichiarava lo scioglimento della comunione tra P.G. e C.M. , Ca.Pi. e Ca.Ma. , quali eredi di Ca.Ag. e, rilevata la non comoda divisibilità dell’immobile sito in omissis lo attribuiva al signor P.G. quale proprietario della quota maggiore pari ai 36/45 dell’edificio, per averla acquistata con atto pubblico del 3.11.2000, condannando l’attore al pagamento del conguaglio in favore dei convenuti. Avverso detta sentenza proponevano appello i signori C.M. , Ca.Pi. e Ca.Ma. chiedendo accertarsi la divisibilità del bene in questione. Intervenuta volontariamente nel giudizio di appello la moglie del P. , R.F. , la quale aveva acquistato insieme al marito la quota del 36/45 del fabbricato per cui è causa, la Corte territoriale, con la sentenza n. 858/2014 pubblicata il 26.2.2014, rigettava l’appello e confermava la valutazione di non divisibilità dell’immobile oggetto di causa. La Corte rilevava che la suddivisione del fabbricato in due unità immobiliari, secondo il progetto in atti, avrebbe determinato la realizzazione di un monolocale di circa 33 mq in favore degli appellanti superiore alla quota in natura ad essi spettante mentre la porzione di fabbricato spettante ai coniugi P. -R. sarebbe stata costituita dalla cantina, da un ambiente piano terra di circa mq.20, dall’intero primo piano e dal sottotetto non abitabile. Tanto premesso in fatto, il Collegio riteneva di confermare la valutazione di indivisibilità dell’immobile sotto il profilo giuridico già affermata dal giudice di primo grado, considerato che il frazionamento immobiliare, pur nel rispetto della sagoma, destinazione d’uso e volumetria originaria, configurava un intervento di ristrutturazione edilizia che richiedeva il permesso di costruire, poiché dava luogo alla creazione di un organismo diverso da quello precedente D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 3. Il giudice di appello concludeva pertanto che, seppure la Sovrintendenza avesse espresso parere favorevole, non poteva ritenersi che la normativa urbanistica consentisse il frazionamento del fabbricato. Per la cassazione di detta sentenza propongono ricorso i signori C.M. , Ca.Pi. e Ca.Ma. affidandosi a due motivi. Resistono con controricorso, illustrato da successiva memoria, i signori P.G. e R.F. . Ragioni della decisione Il primo motivo di ricorso denuncia l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, poiché la Corte d’Appello non si sarebbe pronunciata sull’eccezione di difetto di interesse ad agire delle controparti, deducendone la carenza in capo ai coniugi P.G. e R.F. . Il motivo è inammissibile sotto diversi profili. Si osserva anzitutto che in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.p., n. 5 , applicabile ratione temporis al caso di specie, in quanto la sentenza risulta pubblicata il 26.2.2014, non è più censurabile il vizio di omessa o insufficiente motivazione Cass. Ss.Uu. n. 8053/2014 . Non sussiste inoltre la dedotta carenza di interesse stante l’evidente utilità concreta degli odierni resistenti ad ottenere l’assegnazione dell’intero fabbricato, previa corresponsione del conguaglio, a fronte del dedotto pregiudizio alla funzionalità del bene derivante dal frazionamento ed il conseguente deprezzamento del valore del bene stesso. Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 380 del 2001, del regolamento e del PRG del Comune di Caserta e della L. n. 133 del 2014. I ricorrenti sostengono che il giudice di appello avrebbe erroneamente qualificato l’intervento richiesto per il frazionamento dell’immobile come ristrutturazione , laddove, in forza della L. n. 133 del 2014 tale intervento costituiva restauro e risanamento, per il quale non sarebbe neppure necessario rilascio del permesso a costruire, non essendovi mutamento di destinazione d’uso i ricorrenti deducono in oltre che l’intervento di frazionamento sarebbe pienamente compatibile con la vigente normativa urbanistica. Il motivo è fondato. Ciò che rileva ai fini della divisibilità o meno del bene non è tanto la necessità del permesso di costruire ai fini del frazionamento, elemento su cui sembra incentrarsi la motivazione della sentenza impugnata, nè la qualificazione dell’intervento edilizio come ristrutturazionè o mero restauro conservativo , quanto la complessiva valutazione dell’intervento stesso in relazione alle caratteristiche dell’immobile oggetto di causa e la sua compatibilità con la disciplina urbanistica vigente, sia avuto riguardo alla normativa nazionale che ai regolamenti e strumenti urbanistici locali. Occorre inoltre accertare se, pur risultando il frazionamento giuridicamente possibile, le porzioni realizzabili siano suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento e non risultino gravate da servitù, pesi o limitazioni eccessive o sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell’intero ed inoltre se la divisione richieda o meno opere complesse o di notevole costo. Tale complesso accertamento non risulta essere stato adeguatamente effettuato dalla sentenza impugnata. Occorre in particolare accertare se, alla luce della disciplina attualmente vigente avuto riguardo sia alla legislazione nazionale che ai regolamenti e strumenti urbanistici locali , l’intervento edilizio necessario per la divisione del fabbricato, che risulta sottoposto a vincolo storico-monumentale, sia giuridicamente fattibile, in quanto pienamente compatibile con la suddetta normativa anche in considerazione del vincolo su indicato ed inoltre se il frazionamento possa essere utilmente realizzato senza compromissione del valore dell’intero edificio, nonché del godimento e del valore economico delle singole unità realizzabili. Il ricorso va dunque accolto. La sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli.