Reddito medio fatale all'avvocato: confermato l’obbligo del mantenimento per i figli

Respinto il ricorso proposto da un legale nei confronti della decisione che l’ha onerato di un assegno mensile di 1.000 € a favore dei figli nati dal legame con l’ex compagna. Decisivo per i Giudici il richiamo ai suoi redditi e alla prospettiva di un loro incremento.

Rottura definitiva per la coppia, non legata, peraltro, dal vincolo coniugale. Necessario, però, definirne i rapporti, soprattutto per tutelare i figli. E su questo fronte i redditi dell’uomo – avvocato di professione – sono sufficienti per caricarlo dell’onere di un assegno mensile di 1.000 € per il mantenimento della prole Cassazione, ordinanza n. 5449/19, sez. VI Civile - 1, depositata oggi . Introiti. A inchiodare il professionista sono soprattutto le dichiarazioni dei redditi da lui presentate. Questo elemento, difatti, è ritenuto sufficiente per calcolare una media reddituale netta degli ultimi anni e, una volta effettuato un confronto con la posizione economica dell’ex compagna, fissare il suo obbligo di corrispondere 1.000 euro mensili come assegno di mantenimento per i figli . Questa visione, condivisa da Tribunale e Corte d’Appello, è ritenuta legittima anche in Cassazione, dove le obiezioni proposte dal professionista si rivelano inutili. Inutile, in particolare, il richiamo difensivo a una presunta disponibilità di soli 1.200 euro mensili , al licenziamento della segretaria e al costo della locazione dello studio . Per i Giudici è significativa, invece, la media netta dei suoi redditi , senza dimenticare, poi, che gli introiti professionali sono suscettibili di incremento .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 5 – 25 febbraio 2019, n. 5449 Presidente Genovese - Relatore Nazzicone Fatti di causa - che è proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Catania, la quale - per quanto ancora rileva - ha respinto l'impugnazione contro la decisione del tribunale, che ha determinato nella somma di complessivi Euro 1.000,00 mensili l'assegno da corrispondere per il mantenimento dei figli di coppia non coniugata - che la corte del merito ha al riguardo argomentato nel senso che le dichiarazioni dei redditi presentate dal ricorrente, avvocato soprattutto amministrativista, sono di provenienza unilaterale e vanno valutate con ragionevole prudenza, mentre il tribunale ha comunque correttamente determinato, alla stregua delle dette dichiarazioni, la media reddituale netta degli ultimi anni che detti introiti sono suscettibili di modifica, onde ogni diversa decisione potrà essere assunta all'eventuale mutamento dei presupposti reddituali, essendo i provvedimenti patrimoniali in materia sempre adottati rebus sic stantibus, che deve tenersi conto sia dell'immobile in proprietà del ricorrente, sia dell'onere di mantenimento di un precedente figlio, sia del principio di proporzionalità dei redditi dei due genitori - che l'intimata si difende con controricorso - che il ricorrente ha depositato la memoria Ragioni della decisione - che il primo motivo censura la violazione e la falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., perché la corte del merito ha affermato la scarsa attendibilità delle dichiarazioni dei redditi, di provenienza unilaterale, dimostrando anche un pensiero precostituito nei confronti dei liberi professionisti avvocati - che il motivo è manifestamente inammissibile, posto che al riguardo la corte territoriale espone una duplice ratio decidendi, avendo dapprima compiuto l'affermazione di cui il ricorrente si duole e, poi, comunque tenuto a fondamento della propria decisione proprio quelle dichiarazioni dei redditi ed il secondo rilievo, non risulta in alcun modo contestato dal ricorrente, il quale difetta pertanto d'interesse ad impugnare il primo noto essendo come, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l'omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l'autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l'annullamento della sentenza cfr., e multis, Cass. 20 marzo 2018, n. 6908 Cass. 27 luglio 2017, n. 18641 Cass. 21 giugno 2017, n. 15350 Cass. 18 aprile 2017, n. 9752 - che il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 337-ter e 2597 c.c., 115 c.p.c, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c, oltre ad omesso esame di fatto decisivo, avendo la corte territoriale affermato di avere considerato gli oneri deducibili e di doversi detrarre le imposte, ma senza operare davvero detta operazione, né avendo valutato il peso dell'assegno corrisposto per il mantenimento dell'altro figlio, le risultanze dei dati probatori e la proporzione dei rispettivi redditi ma egli ha disponibilità di non più di Euro 1.200,00 mensili, come è palesato dal licenziamento della segretaria e dal costo della locazione dello studio, al contrario godendo la controparte di un ingente patrimonio immobiliare - che il predetto motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato - che, invero, il giudice del merito, nel confermare la misura dell'assegno di mantenimento per 1 figli minori, ha valutato proprio gli elementi, di cui il ricorrente lamenta l'omesso esame, nel perseguimento dell'interesse dei minori stessi invero, la corte territoriale ha operato riferimento alla 'media reddituale netta dei suoi redditi, aggiungendo che gli introiti professionali sono suscettibili di incremento inoltre, ha tenuto conto dell'obbligo di mantenimento di altro figlio ed ha comparato 1 redditi delle parti in tal modo restando coerente a tutti i principi che regolano la materia ivi compresi quelli richiamati dal ricorrente i memoria, di cui alla recente Cass. 14 gennaio 2019, n. 651 - che, nel censurare la predetta disciplina disposta dal giudice del merito, la difesa del ricorrente in sostanza si limita ad insistere sulla rilevanza di circostanze già prese in considerazione dalla corte territoriale, riproponendo le questioni sollevate in quella sede, e dimostrando quindi di voler sollecitare un nuovo apprezzamento dei fatti, non consentito in questa sede, non spettando alla S.C. il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica della decisione impugnata, nonché la sussistenza di una motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c, comma 1, n. 5, nel testo, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 - che, a fronte di cd. doppia conforme, la censura ai sensi di tale disposizione non è del resto proponibile - che il terzo motivo lamenta la violazione o la falsa applicazione dell'art. 89 c.p.c. perché non è stata accolta la propria istanza di cancellazione delle espressioni offensive, contenuta negli scritti della comparsa di costituzione in appello di controparte, in cui si afferma che egli sottrarrebbe somme al fisco rinviando gli incassi e conservando il denaro in luoghi improbabili - che il motivo è inammissibile, essendo già stato chiarito, da un lato, come il provvedimento di rigetto dell'istanza di cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive contenute nella sentenza impugnata ha carattere ordinatorio e non incide sul merito della causa, al quale è anzi estraneo e, pertanto, non è suscettibile d'impugnazione con ricorso per cassazione Cass. 16 gennaio 2009, n. 1018 , dovendo del resto ribadirsi come l'apprezzamento circa l'effettivo rapporto tra queste e l'oggetto della causa è rimesso alla valutazione del giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità Cass. 27 giugno 2011, n. 14112 - che le spese seguono la soccombenza - che, trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione l'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1 L. 24 dicembre 2012, n. 228 P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.800,00, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, alle spese forfetarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori di legge. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.