L’arricchimento indebito nel regime di convivenza more uxorio

In regime di convivenza more uxorio, grazie al rilevante contributo economico della compagna, un immobile intestato all’altro convivente viene ristrutturato. Nonostante l’esborso di lei sia avvenuto durante la convivenza, i Giudici riconoscono l’ingiusto arricchimento a favore del compagno.

Così il Supremo Collegio con l’ordinanza n. 4659/19, depositata il 15 febbraio. La vicenda. Una donna si rivolge al Tribunale chiedendo di condannare ai sensi dell’art. 2041 c.c. Azione generale di arricchimento l’ex convivente more uxorio a corrisponderle la metà del valore di un immobile intestato al convenuto stesso e costruito col rivelante contributo economico dell’attrice . Domanda accolta sia dal Tribunale che dai Giudici del riesame successivamente aditi. Di conseguenza, l’ex convivente ricorre in Cassazione deducendo che l’art. 2041 c.c. non sarebbe applicabile in ambito di convivenza more uxorio ebbene, secondo il ricorrente gli esborsi effettuati in corso di convivenza dovrebbero ricondursi all’adempimento dei doveri morali e sociali ex art. 2034 c.c. . L’arricchimento indebito. Gli Ermellini ribadiscono che l’ingiustizia dell’arricchimento è configurabile anche da parte di un convivente more uxorio nei riguardi dell’altro in presenza di prestazioni che siano a vantaggio del primo , estranee dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza . Inoltre, la medesima Corte precisa che il contenuto di suddette prestazioni deve essere parametrato in base alle condizioni sociali e patrimoniali di componenti della famiglia di fatto . In conclusione, ricordando che il difetto di giusta causa di cui all’art. 2041 c.c. deve essere inteso nei termini di carenza di una ragione che consenta all’arricchito di trattenere quanto ricevuto, la S.C. rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile 3, ordinanza 8 novembre 2018 – 15 febbraio 2019, n. 4659 Presidente Frasca Relatore Sestini Rilevato che P.M. convenne in giudizio l’ex convivente more uxorio C.V. chiedendo che, ai sensi dell’art. 2041 c.c., fosse condannato a corrisponderle la metà del valore di un immobile intestato al solo convenuto, che era stato costruito col rilevante contributo economico dell’attrice, o al pagamento di altra somma pari agli importi investiti dalla P. nella costruzione dell’immobile il Tribunale di Ivrea accolse la domanda per l’importo di 80.000,00 Euro e condannò il C. al pagamento di tale somma in parziale accoglimento del gravame di quest’ultimo, la Corte di Appello di Torino ha ridotto la somma dovuta a 25.000,00 Euro e, rigettato l’appello incidentale della P. , ha condannato il C. al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio ha proposto ricorso per cassazione il C. , affidandosi a tre motivi illustrati da memoria ha resistito l’intimata con controricorso. Considerato che col primo motivo, articolato in due sotto-motivi, il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, e/o omessa o insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360, n. 5 il C. afferma sub IA la inapplicabilità tout court dell’art. 2041 c.c. in ambito di convivenza more uxorio , dovendosi ricondurre gli esborsi effettuati in corso di convivenza all’adempimento di doveri morali e sociali ex art. 2034 c.c., e sostiene sub IB che la Corte ha errato nel valutare solo l’aspetto economico , senza considerare che i supposti trasferimenti di somme non erano privi di causa, in quanto effettuati dalla P. nell’ottica di contribuire alla ristrutturazione della casa coniugale , anche al fine di provvedere alle necessità abitative del figlio allora minorenne premessa l’inammissibilità della censura formulata in termini di omessa o insufficiente motivazione ai sensi del vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 , il primo sotto-motivo è inammissibile ex art 360 bis c.p.c., in quanto la decisione è conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità da cui non v’è ragione di discostarsi , secondo cui è possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza Cass. n. 11330/2009 cfr. anche Cass. n. 1277/2014 e Cass. n. 14732/2018 il secondo sotto-motivo è parimenti inammissibile perché mira a conseguire una diversa valutazione di merito circa il fatto che gli esborsi travalicassero, nello specifico, i limiti di proporzionalità e adeguatezza rispetto al mero adempimento di un’obbligazione naturale tanto più perché il difetto di una giusta causa non va inteso come parrebbe proporre il ricorrente quale assenza di una ragione che abbia determinato la locupletazione in favore dell’arricchito, ma quale carenza di una ragione che consenta a quest’ultimo di trattenere quanto ricevuto il secondo motivo che denuncia nuovamente la violazione o falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. e l’omesso o erroneo esame di un fatto decisivo è anch’esso inammissibile in quanto non contiene alcuna specifica censura in iure, limitandosi a contestare l’apprezzamento delle prove da parte della Corte e a sollecitare una lettura di segno opposto, e non individua specificamente alcun fatto effettivamente decisivo di cui la sentenza abbia omesso l’esame il terzo motivo in punto di violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. censura la sentenza per avere condannato il C. al pagamento delle spese del grado di appello, nonostante il parziale accoglimento dell’appello principale e il rigetto dell’impugnazione incidentale il motivo è infondato in quanto la Corte si è attenuta al criterio della soccombenza, sulla base dell’esito complessivo della lite cfr. Cass. 11423/2016 , che ha visto accogliere seppure parzialmente la domanda della P. , e non è censurabile in sede di legittimità la scelta del giudice di merito di non avvalersi della facoltà di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite al rigetto del ricorso consegue la condanna del C. al pagamento delle spese del presente giudizio sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.