Il genitore decaduto ha un interesse proprio ad opporsi alla dichiarazione di adottabilità del figlio minore

Il genitore che, sebbene decaduto dalla responsabilità genitoriale, abbia interesse ad un recupero del rapporto genitoriale, ben può opporsi alla dichiarazione di adottabilità facendo valere l’insussistenza dello stato di abbandono del minore per poi, una volta avvenuto gradualmente il recupero di detto rapporto, attivarsi per richiedere la reintegrazione nella responsabilità.

Quanto sopra è stato affermato dalla Suprema Corte nella pronuncia n. 16060 depositata in cancelleria il 18 giugno 2018 Il caso. Il Tribunale per i Minorenni, tenuto conto che entrambi i genitori erano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale e che i nonni paterni erano stati ritenuti inadeguati, dichiarava lo stato di adottabilità del minore. La Corte d’Appello, adita dalla madre, in totale riforma della sentenza impugnata revocava la dichiarazione di adottabilità del minore, essendo insussistente la condizione di adottabilità del medesimo, incaricando i Servizi Sociali di organizzare gli incontri tra minore e madre al fine di consentire un recupero del rapporto. Ricorreva in Cassazione il tutore del minore che era stato nominato in primo grado. La legittimazione attiva processuale del tutore. Innanzitutto i Giudici di legittimità respingono le richieste del Procuratore Generale che aveva chiesto di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per Cassazione da parte del tutore del minore, privo di legittimazione processuale. La Suprema Corte, invece, ne afferma la legittimazione osservando che il tutore di minore, già costituito e soccombente in primo e/o secondo grado, non necessita l’autorizzazione del giudice tutelare per appellare o ricorrere in cassazione mancando la necessità di compiere la preventiva valutazione in ordine all’interesse e al rischio economico per l’incapace. Le doglianze di merito. Il tutore del minore, nell’impugnare la sentenza della Corte d’Appello, rilevava che il provvedimento con cui la madre era stata dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale era passato in giudicato e che erano trascorsi cinque anni prima che la madre contestasse l’adottabilità del minore. Lo stato di abbandono. Il ricorso del tutore veniva respinto con le seguenti motivazioni in diritto. Secondo la Corte di Cassazione, in conformità con i principi espressi dalla Corte Costituzionale e dalle Corti sovrannazionali, di Strasburgo e Lussemburgo, la dichiarazione di adottabilità di un minore deve esser assunta dai giudici come extrema ratio in presenza di genitori che non siano in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio. Ciò alla luce del preminente interesse del minore a vivere con i suoi genitori e di essere allevato all’interno della propria famiglia art. 1 l. n. 184/1983 . Il genitore decaduto può contestare l’adottabilità del figlio Nel ribadire che le doglianze del tutore del minore non sono suscettibili di una valutazione da parte dei giudici di legittimità, rientrando in argomentazioni di merito, la Suprema Corte precisa che la decadenza del genitore dalla responsabilità genitoriale non impedisce al medesimo di contestare la dichiarazione di adottabilità del figlio minore, avendo egli un interesse proprio ad opporsi all’adozione per evitare conseguenze ben più gravi ed irreversibili. Con l’adozione, come è noto, infatti, il genitore biologico perde ogni rapporto nei confronti del figlio. esercitando l’azione in proprio. La legittimazione del genitore a contestare lo stato di adottabilità del figlio non è espressione della rappresentanza legale del figlio minore da parte del genitore, ma viene esercitata da quest’ultimo in proprio in quanto portatore autonomo dell’interesse alla tendenziale conservazione della famiglia naturale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 21 marzo – 18 giugno 2018, n. 16060 Presidente Schirò – Relatore Valitutti Fatti di causa 1. Con sentenza del 9 novembre 2015, il Tribunale per i minorenni di Catania dichiarava, ai sensi degli artt. 8 e 15 della legge n. 184 del 1983, lo stato di adottabilità del minore P.A. , essendo stati entrambi i genitori dichiarati - nell’anno 2009 - decaduti dalla potestà genitoriale, ai sensi dell’art. 330 cod. civ., ed essendosi i nonni paterni - con i quali il minore era andato a vivere a seguito della decadenza dei genitori - rivelatisi inadeguati. 2. La Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 669/2017, depositata il 12 aprile 2017 e notificata il 12 maggio 2017, in totale riforma della sentenza di primo grado, ritenuto non sussistente lo stato di adottabilità del minore, revocava, peraltro, la dichiarazione di adottabilità del medesimo, disponendo che il Servizi sociali del Comune di residenza della madre, C.M. , organizzassero incontri assistiti tra il minore e quest’ultima, ai fini del recupero dei rapporti tra madre e figlio. 3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto, quindi, ricorso l’avvocato G.P. , quale tutore del minore P.A. , nei confronti di C.M. , di P.S. , di P.V. , di S.N. padre e nonni paterni del minore , nonché del P.G. presso la Corte d’appello di Catania, affidato a quattro motivi. La C. ha replicato con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. Ragioni della decisione 1. In via pregiudiziale, devono essere disattese le conclusioni del P.G., che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione processuale del tutore del minore P.A. , avvocato G.P. . 1.1. Va osservato, infatti, che al tutore di persona interdetta o minore, già costituito e soccombente in primo grado e/o secondo grado, non necessita l’autorizzazione del giudice tutelare per appellare o ricorrere per cassazione avverso la relativa sentenza, mancando, in tale ipotesi, diversamente da quella dell’inizio ex novo del giudizio da parte sua, agli effetti dell’art. 374, n. 5, cod. civ., la necessità di compiere la preventiva valutazione in ordine all’interesse ed al rischio economico per l’incapace Cass., 30/09/2015, n. 19499 Cass., 24/03/2009, n. 7068 . 1.2. Nel caso di specie, l’avvocato G.P. , quale tutore del minore, è stata parte appellata nel giudizio di secondo grado, instaurato da C.M. , madre di P.A. all’esito del quale è risultata soccombente. La medesima è da ritenersi, pertanto, legittimata a ricorrere per cassazione avverso la decisione di appello. 2. Premesso quanto precede e passando all’esame del merito, va rilevato che, con il primo, secondo e terzo motivo di ricorso, l’avvocato G. , nella qualità di tutore del minore, denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 8 e 15, lettera a della legge n. 184 del 1983, nonché il vizio di omessa o insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ 2.1. Si duole la ricorrente del fatto che la Corte d’appello abbia revocato la dichiarazione di adottabilità del minore P.A. , non avendo il tribunale per i minorenni predisposto un progetto di recupero e sostegno della genitorialità della madre, sebbene quest’ultima fosse stata dichiarata decaduta dalla potestà genitoriale unitamente al padre del minore fin dal 2009, con provvedimento passato in giudicato. Talché - a parere della istante non costituiva onere del giudice minorile predisporre specifici ulteriori progetti di sostegno, incombendo, semmai, sul genitore al quale viene prospettata la possibilità di un’adozione l’onere di dimostrare l’ esistenza delle condizioni per la revoca della decadenza e, conseguentemente, la possibilità che gli/le venga affidato il figlio con il relativo esercizio della genitorialità . 2.2. La Corte territoriale avrebbe, inoltre erroneamente ritenuto - senza motivazione alcuna, ed in contrasto con quanto accertato nell’istruttoria del giudizio di primo grado - che il lungo termine trascorso dal 2009 ed il 2014, allorquando la madre si è costituita nel giudizio di adottabilità, contestandola, non fosse imputabile alla medesima, bensì al sistema giudiziario che aveva provveduto solo il 31 maggio 2013 a nominare il tutore al minore, creando, in tal modo, per la C. la possibilità di interloquire con qualcuno, e che dagli elementi agli atti fosse desumibile che la madre si era attivata comunque, in tale intervallo temporale, per incontrare il figlio, laddove le risultanze istruttorie deporrebbero - a parere della ricorrente - in senso contrario. 2.3. Le censure non possono trovare accoglimento. 2.3.1. Secondo il costante orientamento di questa Corte, invero, lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre solo allorquando i genitori non sono in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale essendo quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psico-fisico del minore. Il prioritario diritto fondamentale del figlio di vivere, nei limiti del possibile, con i suoi genitori e di essere allevato nell’ambito della propria famiglia, sancito dall’art. 1 della l. n. 184 del 1983, impone, difatti, particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, ai fini del perseguimento del suo superiore interesse, potendo quel diritto essere limitato solo ove si configuri un endemico e radicale stato di abbandono - la cui dichiarazione va reputata, alla stregua della giurisprudenza costituzionale v., in particolare, C. Cost., sent. n. 278 del 2013 , della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia, come extrema ratio - a causa dell’irreversibile incapacità dei genitori di allevarlo e curarlo per la loro totale inadeguatezza cfr., ex plurimis, Cass., 30/06/2016, n. 13435 Cass., 24/11/2015, n. 23979 Cass., 26/05/2014, n. 11758 . La valutazione al riguardo, involgendo un accertamento di fatto, spetta al giudice di merito ed è incensurabile in cassazione, fatto salvo il caso in cui la motivazione sia da reputarsi del tutto carente Cass., 04/05/2000, n. 5580 Cass., 29/10/2001, n. 13358 Cass., 28/03/2002, n. 4503 Cass., 28/04/2008, n. 10809 . 2.3.2. Tanto premesso, va anzitutto precisato che la decadenza del genitore dalla potestà non impedisce al medesimo di contestare la dichiarazione di adottabilità del minore, stante il suo interesse ad opporsi all’adozione per evitare le più incisive e definitive conseguenze di tale provvedimento che comportano, oltre alla perdita della potestà, il venir meno di ogni rapporto nei riguardi del figlio. La legittimazione a contestare lo stato di adottabilità non è, d’altro canto, espressione della rappresentanza legale del figlio minore da parte del genitore, ma viene esercitata dal medesimo in proprio, quale portatore dell’interesse alla tendenziale conservazione della famiglia naturale, cui la normativa in questione è prioritariamente ispirata Cass., 30/10/2013, n. 24482 Cass., 18/06/1986, n. 4062 . Ne discende che - nell’ottica della conservazione della famiglia di origine del minore - il genitore che, sebbene decaduto dalla potestà ora responsabilità , abbia interesse ad un recupero del rapporto genitoriale, ben può opporsi - per intanto - alla dichiarazione di adottabilità, facendo valere l’insussistenza di uno stato di abbandono del minore, per poi, una volta avvenuto gradualmente il recupero di detto rapporto, eventualmente attivarsi per richiedere la reintegrazione nella responsabilità genitoriale, ai sensi dell’art. 332 cod. civ 2.3.3. Ciò posto, va rilevato che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha ampiamente ed adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per le quali lo stato di abbandono del minore P.A. debba essere escluso, alla stregua delle risultanze della c.t.u. disposta nel giudizio di appello, dei rilievi proposti dai c.t. di parte, e di quanto riferito dall’assistente sociale incaricata del caso, circa il miglioramento della madre del minore, sia sul piano neuro-psichico - essendo stata la severa diagnosi, effettuata nel 2009, di disturbo della personalità di tipo schizoide con funzionamento intellettivo limite , rettificata, già dai consulenti nominati in primo grado, in quella più leggera di variante torbida dell’ipoevolutismo psichico - sia su quello della sua idoneità a fare da mamma al piccolo A. . La resistente si è, infatti, coniugata con un uomo idoneo al ruolo di padre il padre naturale si è, invece, sempre disinteressato del figlio , disposto ad accogliere A. in famiglia, e dal quale ha avuto una bambina che cura adeguatamente. 2.3.4. Ebbene, a fronte di tali motivate valutazioni del giudice di merito, che fanno corretta applicazione dei principi giuridici suesposti, le doglianze della tutrice del minore, sub specie del vizio di violazione di legge, si traducono sostanzialmente in una inammissibile - in questa sede - rivisitazione del merito della vicenda, mediante la riproposizione - in chiave di ricostruzione alternativa delle risultanze processuali - dei temi difensivi già svolti nel merito. È, invero, inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando il ricorrente, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito Cass., 04/04/2017, n. 8758 . In ogni caso, tali censure - nella parte relativa ala presunta violazione di legge - non si palesano idonee a scalfire il nucleo centrale della decisione di appello, nella parte in cui ha motivatamente escluso lo stato di adottabilità del minore. Esse, pertanto, oltre che inammissibili, sono altresì infondate. 2.3.5. Senz’altro inammissibile è, poi, la deduzione del vizio di omessa o insufficiente motivazione, considerata la novella dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., introdotta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012 applicabile ratione temporis , che ha operato una riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, escludendo qualsiasi rilievo alla motivazione insufficiente e contraddittoria Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054 Cass., 06/07/2015, n. 13928 , e non potendo ritenersi - per le ragioni suindicate - che la motivazione della sentenza di appello sia addirittura inesistente. 2.4. Le doglianze vanno, pertanto, disattese. 3. Con il quarto motivo di ricorso, l’avvocato G. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 61 cod. proc. civ., nonché l’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. 3.1. Lamenta la ricorrente che la Corte d’appello abbia fatto proprie le conclusioni della c.t.u. disposta in appello, omettendo del tutto di considerare le conclusioni del collegio dei quattro consulenti nominati in primo grado. 3.2. Il motivo è infondato. 3.2.1. Il giudice di appello ben può, invero, condividere le conclusioni del consulente nominato in secondo grado e disattendere quelle della consulenza disposta in primo grado, purché non si limiti a recepirle acriticamente, ma motivi in tal senso Cass., 17/05/1999, n. 4787 Cass., 09/08/2002, n. 12125 . 3.2.2. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha illustrato le ragioni - anche in considerazione del tempo trascorso dal primo accertamento peritale e delle mutate dinamiche familiari, oltre che delle migliorate condizioni di salute della C. - che l’hanno indotta considerare attendibili pp. 8, 9 e 19 - pur non senza tenere conto dei rilievi dei consulenti di parte - le risultanze della c.t.u. disposta in seconde cure, laddove il motivo si concreta in una sostanziale richiesta di rinnovazione del giudizio di fatto, inammissibile in questa sede. 3.3. La censura va, di conseguenza, disattesa. 4. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio. Dagli atti il processo risulta esente, sicché non si applica l’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente, in favore della controricorrente, alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Dispone, ai sensi del d.lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente sentenza si omettano le generalità.