Il c.d. “divorzio-lampo” rumeno può essere oggetto di delibazione in Italia

In tema di delibazione di una sentenza straniera di divorzio, i diversi - e più brevi - tempi della procedura previsti dalla normativa applicata dalla sentenza stessa non costituiscono un ostacolo al riconoscimento da parte del giudice italiano della pronuncia fondata peraltro sull’accordo delle parti, di per sé sintomo necessario e sufficiente della definitiva cessazione della comunione di vita tra i coniugi.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 12473/18, depositata il 21 maggio. Il caso. La Corte d’Appello di Venezia dichiarava l’efficacia nel territorio nazionale di una sentenza del Tribunale di Galati, Romania, con la quale era stato dichiarato l’annullamento del matrimonio tra l’attrice e la controparte, prevedendo a carico di quest’ultimo il versamento di un assegno mensile per il mantenimento dei figli. La sentenza viene impugnata con ricorso in Cassazione dall’ex marito che non aveva partecipato al giudizio. Notifica. La doglianza relativa alla mancata partecipazione in giudizio per vizio nella vocatio in ius risulta infondata in quanto, dall’esame degli atti, emerge che la Corte d’Appello aveva fissato l’udienza assegnando al convenuto – ora ricorrente – un termine di dieci giorni prima dell’udienza per la costituzione in giudizio, disponendo la notifica di tale provvedimento almeno 30 giorni prima della data fissata per la costituzione. Nessun vizio è riscontrabile nel procedimento notificatorio posto che a seguito di un primo infruttuoso tentativo di notifica, la ricorrente aveva chiesto un differimento d’udienza per la rinnovazione della notifica, correttamente rispettato. Delibazione della sentenza straniera. Con un secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione di legge in relazione all’insussistenza dei requisiti in punto di contrarietà all’ordine pubblico della sentenza straniera delibata in relazione al c.d. divorzio-lampo” rumeno. La doglianza è priva di fondamento. Il Collegio ricorda infatti che, in tema di riconoscimento della sentenza straniera di divorzio, il fatto che il diritto straniero preveda la possibilità di pronunciare il divorzio senza passare dalla separazione dei coniugi previo decorso di un congruo lasso di tempo per consentire ai coniugi di tornare eventualmente sulla loro decisione, non ostacola il riconoscimento in Italia della sentenza stessa in relazione al requisito del rispetto dell’ordine pubblico di cui all’art. 64, comma 1, lett. g , l. n. 218/1995. È infatti elemento necessario e sufficiente che il divorzio segua all’accertamento dell’irreparabile venir meno della comunione di vita tra i coniugi cfr. Cass. n. 16978/06 . In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifuzione delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 13 aprile – 21 maggio 2018, numero 12473 Presidente Campanile – Relatore Tricomi Fatto e diritto RILEVATO CHE La Corte d’appello di Venezia, con l’ordinanza in epigrafe indicata, emessa a seguito di ricorso ex articolo 702 bis cod. proc. civ. e 30 del d.lgs. 1 settembre 2011, numero 150 proposto da D.A. , ha dichiarato l’efficacia nel territorio della Repubblica italiana della sentenza pronunciata dal Tribunale di Galati Romania il 18/02/2014 numero 1526/2014, come integrata dal provvedimento di chiarimenti numero 1208/2014 pronunciato dallo stesso Tribunale il 01/04/2014 detti provvedimenti avevano dichiarato l’annullamento del matrimonio celebrato tra D.A. e B.G. in data omissis ed iscritto nel registro di stato civile del Comune della località di Radiu, ponendo a carico del B. l’obbligo di versare alla D. l’assegno percentuale del 33% del suo reddito realizzato mensilmente per il mantenimento dei figli C.G. omissis e S.C. omissis , di cui il 16% per ciascuno. La Corte di appello, rilevata la mancata comparizione del B. , nonostante la regolare notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza, sulle conclusioni del PM favorevoli all’accoglimento, ha proceduto alla delibazione della sentenza straniera, a norma dell’articolo 67 della legge 31 maggio 1995, numero 218. Avverso questa decisione B.G. ricorre per cassazione con cinque motivi. La ex coniuge replica con controricorso. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli articolo 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ. CONSIDERATO CHE 1.1. Primo motivo Violazione o falsa applicazione di legge degli articolo 702 bis, terzo comma, 153 e 154 cod. proc. civ., per il mancato rispetto del termine per la notifica con conseguente inammissibilità della domanda articolo 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ. . Il ricorrente sostiene che il ricorso non venne notificato nel termine perentorio fissato dalla Corte di appello e che questa avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la decadenza e non rimettere la parte in termini, come invece avvenne. 1.2. Il motivo è infondato. 1.3. Considerato che la rubrica dei motivi è priva di efficacia vincolante Cass. nnumero 5848/2012, 7981/2007 , appare evidente che la censura, non prospetta asseriti errori concernenti l’erronea ricognizione ed esegesi delle norme che si lamentano violate, bensì un preteso error in procedendo per difetto dell’attività valutativa del giudice a quo, con la conseguenza che la Corte può decidere la questione anche mediante l’accesso diretto agli atti processuali, ove necessario, dichiarando, se del caso, la nullità della sentenza impugnata Cass. numero 5971 del 12/03/2018, numero 17653 del 15/10/2012 . Ciò posto, osserva la Corte che nel caso in esame non trova applicazione il condiviso principio al quale il ricorrente si richiama, secondo il quale Nel procedimento disciplinato dagli articolo 702-bis e ss. cod. proc. civ., in caso di inosservanza dei requisiti afferenti tanto all’”editio actionis che alla vocatio in ius , è applicabile, allorché il convenuto non si costituisca sanando il vizio rilevato, la regola della rinnovazione dell’atto introduttivo nullo ai sensi dell’articolo 164 cod. proc. civ. con l’assegnazione, da parte del giudice, di un termine perentorio per provvedere ad una nuova notificazione. Cass. numero 5517 del 06/03/2017, Sez. U. numero 5700 del 2014 Cass. 19345/15 . Invero, dall’esame degli atti emerge che la Corte di appello -a seguito della presentazione del ricorso aveva fissato l’udienza per il 2/12/2015, assegnando il termine di dieci giorni prima dell’udienza per la costituzione del convenuto e disponendo la notifica del ricorso e del pedissequo decreto almeno tenta giorni prima della data fissata per la costituzione con provvedimento in data 16/10/2015, che venne depositato in cancelleria in data 20/10/2015 e comunicato telematicamente alla parte istante in data 21/10/2015. Orbene, alla luce di detto provvedimento il termine per la costituzione del convenuto, da calcolarsi a ritroso ed in teoria scadente nel giorno di domenica 22/11/2015, andava, invece, in concreto a cadere il 20/11/2015, in applicazione dell’articolo 155, quarto e quinto comma, cod. proc. civ. Cass. numero 21335 del 14/09/2017 , ed il termine per la notificazione, sempre calcolato a ritroso andava a scadere il 21/10/2015, e, quindi, con immediata prossimità alla data di deposito del provvedimento stesso, tale da rendere impossibile l’effettuazione degli adempimenti ivi previsti. Sulla scorta di tali inequivoche circostanze il provvedimento adottato dal Presidente della Corte di appello in data 17/11/2015, sia pure su segnalazione della ricorrente, non configura una remissione in termini a favore di quest’ultima, ma costituisce un differimento e con tale termine si esprime il Presidente della Corte territoriale della data d’udienza all’11/01/2016, disposto d’ufficio e riverberantesi automaticamente sui termini ordinatori connessi a catena. A seguito dell’esito negativo del tentativo di notificazione, alla prima udienza dell’11/01/2016 la ricorrente chiese ed ottenne una proroga del termine per la notificazione, questa volta di carattere perentorio, che rispettò provvedendo nei termini. Ne consegue la infondatezza del motivo. 2.1. Secondo motivo Violazione o falsa applicazione degli articolo 70 e ss. cod. proc. civ. relativamente alla mancata notificazione alla Procura della Repubblica ed al mancato intervento personale in giudizio della stessa articolo 360, primo comma, numero 4, cod. proc. civ. . 2.2. Il motivo è infondato. 2.3. Dall’ordinanza impugnata si evince che il PM, nel procedimento in esame, non solo si è espresso, ma ha visto il collegio assumere una decisione conforme alla propria richiesta risulta pertanto soddisfatto il requisito della necessaria partecipazione del P.M. al procedimento di delibazione Cass. numero 19277 del 16.12.2003 , peraltro stabilito nell’interesse dello stesso, senza che rilevi la sua effettiva presenza o meno all’udienza. 3.1. Violazione o falsa applicazione degli articolo 64 e ss. della legge 31 maggio 1995, numero 218 relativamente all’insussistenza dei requisiti ivi previsti in punto di contrarietà all’ordine pubblico della delibanda sentenza straniera relativa al cd. divorzio-lampo rumeno articolo 360, primo comma, numero 4, cod. proc. civ. . 3.2. Il motivo è infondato. 3.3. Va confermato il principio secondo il quale In tema di riconoscimento di sentenza straniera di divorzio, la circostanza che il diritto straniero preveda che il divorzio possa essere pronunciato senza passare attraverso la separazione personale dei coniugi ed il decorso di un periodo di tempo adeguato tale da consentire ai coniugi medesimi di ritornare sulla loro decisione, non costituisce ostacolo al riconoscimento in Italia della sentenza straniera che abbia fatto applicazione di quel diritto, per quanto concerne il rispetto del principio dell’ordine pubblico, richiesto dall’articolo 64, comma 1, lettera g , della legge 31 maggio 1995, numero 218, essendo a tal fine necessario, ma anche sufficiente, che il divorzio segua all’accertamento dell’irreparabile venir meno della comunione di vita tra i coniugi. Cass. numero 16978 del 25/07/2006 . Nel caso di specie il ricorrente invoca la violazione dell’ordine pubblico esclusivamente in relazione al parametro dei differenti e più brevi -tempi della procedura di divorzio, parametro che non integra un ostacolo al riconoscimento della sentenza straniera, assunta peraltro sull’accordo delle parti, che è certamente sintomatico del definitivo venir meno della comunione di vita fol.14 del ricorso . 4.1. Quarto motivo Violazione o falsa applicazione degli articolo 64 e ss. della legge numero 218/1995 in punto di contrarietà della delibanda sentenza straniera all’ordine pubblico processuale con riguardo all’estensione all’obbligo di mantenimento per i figli oltre il consenso prestato e con riguardo alla mancata perimetrazione del reddito netto del genitore obbligato. 4.2. Quinto motivo Violazione o falsa applicazione del’articolo 64, comma 1, lett. b della legge numero 218/1995 in punto di violazione del diritto di difesa quanto alla delibanda sentenza straniera. 4.3. I due motivi possono essere trattati congiuntamente perché concernono la stessa questione e sono avvinti sotto il profilo logico. 4.4. Il ricorrente sostiene che, con la richiesta di delibazione, la ex moglie intendeva preordinarsi i mezzi per agire esecutivamente sui redditi dallo stesso prodotti in Italia, ed assume che gli accordi di divorzio riguardavano solo i redditi prodotti in Romania. Sostiene che l’ordinanza di delibazione nella parte in cui estende l’efficacia esecutiva della sentenza di divorzio resa in Romania, va oltre quanto concordato dalle parti e viola il suo diritto di difesa. 4.5. I motivi sono inammissibili. In disparte che quanto esposto a sostegno della censura non trova riscontro nella ordinanza impugnata e che il ricorso prospetta una interpretazione dell’accordo di divorzio non avvalorata da elementi specifici ed ipotizza finalità che non è dato evincere né dalla ordinanza impugnate, né dagli atti processuali, va osservato che il B. , ritualmente citato nel procedimento di delibazione, ha volontariamente scelto di non parteciparvi, per cui nessuna violazione del diritto di difesa è ravvisabile. 5.1. In conclusione il ricorso va rigettato. 5.2. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. 5.3. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. numero 196 del 2003, articolo 52. P.Q.M. Rigetta il ricorso Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.100,00, compresi gli esborsi, oltre spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. numero 196 del 2003, articolo 52.