La prova dell’incapacità naturale del de cuius al momento della redazione del testamento olografo

È onere di colui che impugna il testamento fornire la prova dell’incapacità di testare del de cuius, al momento della redazione del testamento stesso. Nel caso in cui il testatore sia affetto da incapacità totale e permanente, spetta, invece, a colui che intende avvalersi del testamento provare che il documento sia stato redatto in un momento di lucidità del de cuius.

La questio iuris. La Suprema Corte, con la sentenza n. 28758/17, depositata il 30 novembre, - richiamando il consolidato orientamento secondo cui non è sindacabile in sede di legittimità la determinazione del giudice di merito in ordine all’incapacità di intendere e di volere di un soggetto, se fondata su motivazione adeguata, immune da vizi logici ed errori di diritto – ha ribadito che spetta al giudice di merito stabilire, alla luce delle difese delle parti e delle prove fornite nel corso del giudizio, se un soggetto debba ritenersi capace di intendere e di volere, al momento della redazione del proprio testamento. Poiché lo stato di incapacità di un soggetto costituisce l’eccezione”, è colui che intende impugnare un testamento per incapacità del testatore a dover provare che il de cuius , al momento della redazione dell’atto contenente le sue ultime volontà, si sia trovato concretamente in una situazione di menomazione della propria sfera intellettiva e volitiva. Quali sono, quindi, i mezzi di prova che devono essere forniti? Nel caso di specie, la Corte territoriale ha tenuto conto sia della prova documentale allegata in atti, quale il certificato rilasciato dal medico curante della de cuius in epoca prossima alla redazione del testamento da parte della stessa ritenuto, tuttavia, non sufficiente a fornire di per sé prova di un decadimento del soggetto, tale da integrare la carenza della capacità di intendere e di volere sia delle dichiarazioni rese dall’assistente sociale del luogo. Il giudice di merito non ha ritenuto, invece, di espletare la consulenza tecnica d’ufficio, affermando che la stessa non avrebbe potuto fornire risultati attendibili, in quanto avrebbe avuto ad oggetto unicamente l’esame degli atti a distanza, peraltro, di diversi anni dalla data di redazione del testamento e del decesso della testatrice . Anche la richiesta di ammissione delle prove orali è stata rigettata dal giudice del merito, essendo state le stesse ritenute generiche e inidonee a provare lo stato di incapacità della de cuius . La scelta dei mezzi istruttori idonei a provare l’incapacità naturale del testatore è anch’essa, dunque, rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, purché adeguatamente motivato e, pertanto, censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 6 luglio – 30 novembre 2017, numero 28758 Presidente Mazzacane – Relatore Federico Esposizione del fatto P.A. fratello della defunta P.T. convenne innanzi al Tribunale di Ivrea, P.D. altro fratello della de cuius , il figlio di questi P.G. , nonché M.C. e M.A. rispettivamente, marito e figlio della sorella premorta, P.C. , per sentir dichiarare l’invalidità del testamento olografo redatto il 17/7/1999 da P.T. , deceduta il 5/6/2006, per incapacità della testatrice o, in subordine, per mancanza di autografia della scheda testamentaria. Con detto testamento, P.G. , figlio di P.D. , era stato nominato beneficiario dell’intero patrimonio della de cuius. L’attore rilevava che un certificato medico del 28/1/1999, rilasciato dal dott. N. , attestava che la de cuius era affetta da sindrome depressiva in vasculopatia cerebrale arterisclerotica, con turbe della memoria e cognitive, disorientamento, incapacità di compiere da sola gli atti quotidiani della vita. Assumeva, inoltre, che la grafia del testamento lasciava dubbi sull’integrale riconduciblità dello stesso alla defunta. P.G. e D. , costituitisi, resistevano, negando che alla data della redazione del testamento la de cuius fosse incapace di intendere e di volere a partire dall’autunno ‘99 la stessa era assistita per problemi di natura fisica, ma era in grado di gestirsi da sola, anche dal punto di vista economico. Negavano inoltre la falsità del testamento ed eccepivano la mancata produzione di documenti di comparazione. Gli altri convenuti restavano contumaci. Il Tribunale, respinte le istanze istruttorie in quanto inidonee a dimostrare l’incapacità naturale della de cuius, rigettava le domande. La Corte d’Appello confermava integralmente la sentenza di primo grado, rilevando che la parte impugnante il testamento non aveva fornito la prova rigorosa dell’incapacità del testatore ad autodeterminarsi nel momento in cui aveva elaborato l’atto, non essendo al riguardo sufficiente la dimostrazione di una malattia degenerativa, che, come nel caso di specie, non abbia dato luogo a segni certi di incapacità in epoca antecedente alla redazione della scheda testamentaria ed abbia determinato un’infermità invalidante di molto successiva alla redazione stessa. Il certificato del dott. N. , inoltre, pur attestando le gravi patologie della de cuius richiamate dall’attore, non evidenziava che la stessa fosse, anche temporaneamente, incapace di intendere e di volere. Del pari la relazione dell’assistente sociale Ne. , pur denunziando condizioni fisiche precarie e condizioni mentali non del tutto chiare, affermava che la de cuius rispondeva correttamente alle domande riguardanti la sua vita e la su quotidianità, risultando volutamente evasiva su tempi ed argomenti che non intendeva affrontare da ciò la Corte desumeva la sicura consapevolezza della propria condizione economica e la permanenza di capacità e volontà di autodeterminazione. Anche l’ulteriore certificazione allegata veniva ritenuta dalla Corte territoriale inidonea a dimostrare l’incapacità di intendere e di volere della testatrice al momento della redazione della scheda testamentaria, posto che solo nel certificato del 20/6/2001 e dunque circa due anni dopo la redazione della scheda si segnalava per la prima volta un quadro involutivo cerebrale grave. Quanto alla nullità del testamento olografo, la Corte territoriale rilevava che la parte impugnante non lo aveva disconosciuto. In ogni caso evidenziava che Io stesso impugnante, in realtà, non aveva affermato la falsità del testamento, limitandosi a rilevare che lo stesso poteva essere stato redatto sotto dettatura, e che sembrerebbero esservi difformità tra le modalità di scrittura delle due date riportate nel testamento. Per la cassazione di detta sentenza propone ricorso per cassazione, con sei motivi, P.A. , cui P.D. e G. resistono con controricorso. M.C. e M.A. non hanno svolto, nel presente giudizio, attività difensiva. In prossimità dell’odierna udienza P.A. ha depositato memoria ex art. 378 codice di rito. Considerato in diritto Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 591 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 numero 3 cpc, ponendo in rilievo la differenza tra testamento olografo e quello pubblico, evidenziando che la vicenda in esame si caratterizzava per la sussistenza di una patologia ad andamento ingravescente, come attestato dalla certificazione medica prodotta, ed in particolare il certificato del medico curante dott. N. , il quale attestava un grave deperimento organico per sindrome depressiva e vasculopatia cerebrale arteriosclerotica, con turbe della memoria e turbe cognitive, con disorientamento spazio-temporale e conseguente necessità di accompagnatore. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 cpc, ex art. 360 numero 3 cpc, in riferimento all’omessa ammissione di consulenza tecnica sulle condizioni psichiche della de cuius. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 210 e 213 cpc sempre in relazione all’ara. 360 numero 3 cpc, avuto riguardo alla mancata ammissione delle altre istanze istruttorie per interpello e testi, e di esibizione di documenti ai servizi socio assistenziali ed alla ASL di . Con il quarto motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 cpc, sia in relazione alla natura di atto pubblico della certificazione 28.1.99 del medico curante della de cuius, sia alla domanda subordinata di accertamento e declaratoria di autenticità e provenienza di detto certificato ex art. 360 numero 3 codice di rito. Con il quinto motivo si denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 numero 5 cpc in relazione all’accertamento della capacità di testare della de cuius. I motivi che precedono, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati e sono infondati. Conviene premettere che secondo il consolidato orientamento di questa Corte l’apprezzamento del giudice di merito circa l’incapacità di intendere e di volere costituisce indagine di fatto e valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità, se fondata su congrua motivazione, immune da vizi logici ed errori di diritto. Cass. numero 162/1981 . Come questa Corte ha precisato, tale giudizio deve necessariamente risultare dall’esame coordinato di numerosi elementi e l’adeguatezza della motivazione del giudice del merito deve essere vagliata con riferimento all’insieme degli stessi, nonché alle difese delle parti, al fine di verificare che, nel suo complesso, il giudizio risulti adeguatamente e concretamente giustificato Cass. 23900/2016 , mentre appare al riguardo irrilevante la distinzione tra testamento olografo e testamento raccolto da notaio, non mutando la nozione di incapacità naturale del testatore, che postula la esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius , bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi. Considerato inoltre che lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a colui che impugna il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente nel qual caso è compito di chi vuole avvalersi del testamento dimostrare che esso fu redatto in un momento di lucido intervallo Cass. numero 8079/2005 . Orbene, nel caso di specie, la Corte ha fondato la statuizione secondo cui non può ritenersi provata l’incapacità naturale della de cuius al momento della redazione del testamento olografo, sul complessivo esame delle risultanze istruttorie, sottoposte ad analitico scrutinio, onde la decisione risulta sorretta su un apparato argomentativo logico e del tutto congruo, in quanto il giudice di appello ha dato ampiamente conto in motivazione degli elementi in forza dei quali ha ritenuto che l’attore in impugnazione non abbia assolto all’onere di fornire la prova rigorosa dell’incapacità di intendere e di volere della de cuius al momento della redazione della scheda testamentaria. Ed invero, seppure il certificato del medico curante prodotto attestava che in epoca prossima alla redazione del testamento la de cuius era affetta da fenomeni patologici gravi, che determinavano l’impossibilità per la medesima di compiere da sola gli atti quotidiani della vita, tale giudizio medico, ben potendo ritenersi riferito alle incombenze squisitamente materiali e dunque ad una compromissione afferente la sfera dell’integrità fisica e non anche psichica, secondo la adeguata valutazione del giudice di merito, non implica di per sé la prova, a quella data, di un decadimento tale da integrare la carenza della capacità di intendere e di volere. Il giudice di merito ha altresì dato rilievo alle dichiarazioni rese dall’assistente sociale Ne. , la quale ha dichiarato che nell’ottobre 1999 la P. aveva risposto correttamente alle domande riguardanti la sua vita e quotidianità, risultando invece volutamente evasiva su temi che non intendeva affrontare, traendo da tali dichiarazioni, con valutazione di merito coerente ed adeguata, la conclusione di una - sicura consapevolezza in capo alla de cuius della propria condizione economica e della permanenza di capacità e volontà di autodeterminazione. Non appare dunque ravvisabile né la dedotta violazione degli artt. 591 e 2697 c.c. primo motivo , in relazione alla nozione di incapacità naturale quale desumibile dall’art. 591 comma 1 numero 3 c.c., ed alla corretta attribuzione a colui che impugna la scheda testamentaria del relativo onere della prova, né la dedotta carenza motivazionale quinto motivo posto che la Corte ha fondato la sua statuizione sulla complessiva valutazione degli elementi istruttori, con apprezzamento di merito logico ed adeguato, ed in quanto tale non censurabile nel presente giudizio. Passando alle altre censure, deve senz’altro rilevarsi l’inammissibilità dei motivi secondo e terzo con cui si denuncia la violazione degli artt. 115 e 116, nonché 210 e 213 cpc, in relazione al vizio di violazione di legge ex art. 360 numero 3 cpc. Ed invero, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge Cass. Civ. Sez. I sent del 20/09/2013 numero 21603 . Nel caso di specie, peraltro, la Corte territoriale ha adeguatamente motivato la decisione di non espletare una consulenza tecnica d’ufficio, ritenendo che una consulenza medica unicamente fondata sull’esame degli atti, a distanza di diversi anni dalla data di redazione del testamento e dello stesso decesso della testatrice, non potesse fornire risultati con apprezzabile grado di attendibilità. Risulta adeguatamente motivato il rigetto di ammettere le prove orali per la loro genericità e difetto di decisività, in quanto dirette a confermare, oltre alla circostanza, non rilevante nel presente giudizio, della fiducia riposta nel fratello Carlo, ciò che non è controverso, vale a dire, la necessità di assistenza della de cuius, circostanza peraltro inidonea a provare uno stato di incapacità della stessa. Del pari infondata la censura al provvedimento di rigetto dell’istanza di rimessione in termini ex art. 184 bis cpc per l’acquisizione di ulteriore documentazione, atteso che, come evidenziato nella sentenza impugnata, di trattava di documenti già esistenti al maturare delle preclusioni istruttorie e che comunque avrebbero potuto essere acquisiti da chi vi aveva interesse. La Corte ha dunque correttamente fondato la propria valutazione sulla documentazione medica ritualmente acquisita, in forza della quale, solo con il certificato medico del 20/6/2001 si attesta nella de cuius la presenza di Parkinson e di un quadro involutivo cerebrale grave, mentre l’accertamento della invalidità ha data ancora successiva. Risulta del pari infondata quinto motivo la censura di omessa pronuncia in ordine alla domanda di accertamento dell’autenticità e di provenienza della certificazione medica del dott. N. sulle condizioni di salute della de cuius. La Corte territoriale ha infatti evidenziato che la parte che tale certificazione contestava non aveva proposto querela di falso, né istanza di verificazione, onde non risultava contestata la provenienza del certificato dal pubblico ufficiale, né gli altri atti che questi attestava essere avvenuti in sua presenza ex multis Cass. 18868/15 . Il giudice di appello ha peraltro affermato il difetto di decisività di tale certificazione, che è stata, in ogni caso, specificamente presa in esame e valutata dal giudice. Ed invero, premesso che l’efficacia privilegiata che l’art. 2700 c.c.c assegna all’atto pubblico non si estende all’intrinseca veridicità delle dichiarazioni in esso contenute, né tanto meno i certificati medici possono fare prova in ordine ai giudizi valutativi che il sanitario ha in quell’occasione espresso Cass. 6045/2000 , la Corte territoriale, con valutazione di merito adeguata, ha ritenuto che le patologie descritte nella certificazione del dott. N. non fossero idonee a provare l’incapacità di intendere e di volere della de cuius e dunque non potessero, neppure indirettamente, rilevare ai fini della prova dell’incapacità naturale alla data successiva di redazione del testamento olografo. Con il sesto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cpc, nonché l’omessa e contraddittoria motivazione, sia in relazione alla disposta condanna integrale dell’odierno ricorrente al pagamento delle spese di ambedue i gradi, sia avuto riguardo all’ammontare liquidato. Pure tale motivo è infondato. Quanto alla statuizione di condanna, la stessa costituisce corretta applicazione del principio della soccombenza di cui all’art. 91 cpc, atteso che la domanda dell’odierno ricorrente è stata integralmente rigettata e nessun particolare onere motivazionale, a differenza dell’ipotesi in cui fosse stata disposta la compensazione delle spese, faceva carico al giudice di merito ex multis Cass. numero 2730/2012 . Avuto riguardo all’ammontare delle spese, risulta corretta l’applicazione dello scaglione di valore indeterminabile, ferma la valutazione discrezionale del giudice di merito, nell’ambito dello scaglione correttamente individuato, del quantum in relazione alla natura e concrete modalità di svolgimento della causa. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi, Euro 2700,00 cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.