Marito imprenditore ‘in nero’? I giudici rispondano alla richiesta di indagini fiscali presentata dall’ex moglie

Assegno ridotto in appello a soli 250 euro al mese. Insoddisfatta la donna, che auspica un’analisi attenta sulla reale posizione economica dell’ex marito. Necessario che i magistrati diano una risposta all’ipotesi di verifiche sui redditi, ufficiali e non ufficiali, dell’uomo.

Assegno divorzile ridotto ai minimi termini solo 250 euro al mese per l’ex moglie. Quella cifra però può essere messa in discussione. Soprattutto tenendo presente la richiesta della donna di effettuare indagini ad hoc sull’ex consorte per verificare una sua presunta attività imprenditoriale ‘in nero’ Cassazione, ordinanza n. 21359/17, sez. VI Civile, depositata oggi . Reddito. Terreno di scontro tra i coniugi è la determinazione dell’assegno divorzile . In Tribunale l’uomo viene obbligato a versare alla ex moglie 500 euro al mese . In appello la cifra viene dimezzata, e portata a soli 250 euro mensili . Facilmente immaginabili le proteste della donna, che contesta la decisione. In particolare, a suo avviso è evidente l’errore compiuto dai giudici essi hanno determinato il reddito dell’ex marito, sostiene, sulla base della sola sommaria e parziale documentazione prodotta in giudizio , ignorando lo svolgimento di un’attività imprenditoriale non dichiarata fiscalmente . Così in Cassazione la donna ribadisce la necessità di opportune verifiche e indagini di polizia tributaria – magari anche su alcuni conti correnti bancari – prima di ricavare, in contrasto con quanto deciso in Tribunale, un inferiore reddito effettivo per l’uomo, con conseguente riduzione dell’assegno . Ebbene, per i magistrati del ‘Palazzaccio’ l’obiezione proposta dalla donna non è affatto campata in aria, e avrebbe meritato un’analisi approfondita. Ecco spiegata, quindi, la necessità di un nuovo giudizio in appello, dove i giudici dovranno rispondere alla donna, scegliendo se fare ricorso a verifiche fiscali sull’uomo o se confermare l’assegno di 250 euro, ritenendo superflue ulteriori indagini e valutando sufficienti i dati istruttori a disposizione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 7 aprile – 14 settembre 2017, n. 21359 Presidente Dogliotti - RelatoreBisogni Rilevato che 1. La controversia ha ad oggetto la determinazione dell'assegno divorzile effettuata in primo grado nella misura di 500 Euro e in appello nella misura ridotta di Euro 250. 2. Ricorre per cassazione Lo. Ra. che deduce la violazione dell'art. 5 comma 9 della legge n. 898/1970. Secondo la ricorrente la consolidata lettura e interpretazione della disposizione citata è nel senso di impedire al giudice di merito di respingere o di accogliere solo parzialmente la domanda di assegno per carente dimostrazione della consistenza economica e patrimoniale quando vengano omesse le indagini e verifiche fiscali. Ciò che è invece accaduto nel caso in esame in cui il giudice dell'appello ha determinato il reddito del Ma. sulla base della sola sommaria e parziale documentazione prodotta in giudizio nonostante tre diversi ordini giudiziali di esibizione inevasi in primo grado e un ulteriore ordine emesso nel giudizio di appello. La ricorrente rileva che, a fronte delle proprie contestazioni specifiche e circostanziate che indicavano lo svolgimento di una attività imprenditoriale non dichiarata fiscalmente da parte del Ma. ma pubblicizzata anche con uno specifico biglietto da visita e riscontrabile nei suoi movimenti bancari, la Corte di appello avrebbe dovuto disporre le opportune verifiche e le indagini di polizia tributaria prima di ricavare, in contrasto con la prima pronuncia, un reddito effettivo inferiore e tale da legittimare la riduzione dell'assegno. La Corte di appello, secondo la ricorrente, ha ritenuto non acquisita la prova certa dell'espletamento da parte del Ma. di un'attività imprenditoriale senza considerare che le circostanze dedotte dall'odierna ricorrente non potevano essere provate senza attingere a informazioni inaccessibili a una parte privata. 3. Si difende con controricorso St. Ma. che propone a sua volta ricorso incidentale deducendo l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e cioè la ritenuta sussistenza delle esigenze abitative della Ra 4. Ritenuto che 5. Il ricorso principale è fondato alla luce della giurisprudenza cfr. Cass. civ., sez. I n. 14336 del 6 giugno 2013 secondo cui, in tema di divorzio, il giudice del merito, ove ritenga raggiunta aliunde la prova dell'insussistenza dei presupposti che condizionano il riconoscimento dell'assegno di divorzio, può direttamente procedere al rigetto della relativa istanza, anche senza aver prima disposto accertamenti d'ufficio attraverso la polizia tributaria, atteso che l'esercizio del potere officioso di disporre, per il detto tramite, indagini sui redditi e sui patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita rientra nella sua discrezionalità, non trattandosi di un adempimento imposto dall'istanza di parte, purché esso sia correlabile anche per implicito ad una valutazione di superfluità dell'iniziativa e di sufficienza dei dati istruttori acquisiti. Valutazione che nella specie non è stata compiuta dalla Corte di appello. 6. E' inammissibile il ricorso incidentale che nonostante la sua rubrica sottopone a censura un fatto preso in considerazione dalla Corte di appello e cioè le esigenze abitative della Ra. che correttamente la Corte di appello ha ritenuto esistenti sebbene la Ra. goda di una precaria ospitalità presso la sorella. 7. Il primo motivo del ricorso principale va pertanto accolto, restando assorbito il secondo che riguarda la regolamentazione delle spese del giudizio di appello, mentre deve essere dichiarato inammissibile il ricorso incidentale. Consegue alla decisione la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa alla Corte di appello di Roma che in diversa composizione regolerà anche le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.