Niente risarcimento per aver perduto un marito facoltoso

Ufficiale la rottura della coppia. Fatale il fatto che l’uomo abbia avuto una figlia da una relazione con un’altra donna. Evidente la ferita morale subita dalla moglie, che però non può chiedere un maggiore ristoro economico anche alla luce della forza economica del coniuge.

Sorpresa amarissima per una donna ella scopre che il marito ha avuto una figlia da un’altra relazione. Inevitabile e definitiva la crisi della coppia. E legittimo il risarcimento a favore della moglie, limitato però solo al fronte morale. Esclusa l’ipotesi del danno economico seguito alla perdita di un coniuge facoltoso Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 19422/17, depositata oggi . Lesione. Ufficiale la rottura tra moglie e marito. Evidenti le colpe dell’uomo, che ha avuto una relazione con un’altra donna, relazione da cui è nata anche una figlia. Consequenziale la decisione con cui, prima in Tribunale e poi in appello, il coniuge, a cui è addebitata la separazione , viene obbligato a versare il mantenimento alla consorte. A parte viene anche fissato un ristoro economico in favore della donna. Su questa linea di pensiero si assestano pure i Giudici della Cassazione, che respingono la richiesta della moglie, richiesta mirata ad un aumento del risarcimento alla luce delle capacità patrimoniali e reddituali del marito . A questo proposito, viene chiarito che il danno subito dalla donna non è la perdita di un marito facoltoso, ma la lesione della dignità e della salute per effetto delle modalità e circostanze in cui apprese dell’esistenza di una figlia che il coniuge aveva avuto da una precedente relazione .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 28 marzo – 3 agosto 2017, n. 19422 Presidente Dogliotti – Relatore Dolmetta Fatti di causa Gi. Ia. ricorre per cassazione nei confronti di Mi. Di Le., muovendo tre motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli, 16 giugno 2015 n. 2725. Con tale decisione, la Corte territoriale ha rigettato l'appello proposto contro la pronuncia emessa in primo grado dal Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere in data 11 febbraio 2014, che aveva tra l'altro pronunciato la separazione tra i coniugi Ia. e Di Le., con addebito della medesima al marito. In particolare, a fronte alla contestazioni formulate da Gi. Ia. la Corte ha confermato sia la misura del risarcimento del danno liquidato dal Tribunale, sia la misura dell'assegno di mantenimento a cui era stato condannato Mi. Di Le Nei confronti del ricorso resiste, così presentato. Mi. Di Le., che ha depositato apposito controricorso. Gi. Ia. ha anche depositato memoria ai sensi dell'art. 78 cod. proc. civ. Ragioni della decisione 1.- I motivi di ricorso, che sono stati formulati da Gi. Ia., denunziano i vizi qui di seguito richiamati. Il primo motivo, che principia a p. 19, lamenta, in particolare, violazione e falsa applicazione delle norme degli artt. 2043, 2059, 1226 cod. civ. in relazione alle norme degli artt. 112, 115, 116 cod. proc. civ. avendo la Corte limitato la entità del risarcimento alla natura del danno senza alcuna valutazione delle capacità patrimoniali e reddituali del danneggiante e dei conseguenti vantaggi del coniuge in caso di persistenza del vincolo coniugale. Omessa, insufficiente, carente e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360, n. 1, n. 3, n. 5 su punti decisivi della controversia . Il secondo motivo, che viene svolto da p. 33, afferma poi violazione e falsa applicazione delle norme degli art. 156 cod. civ. e dell'art. 5 legge n. 898/1970 anche in relazione alle norme degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. avendo la Corte di Appello escluso una maggiore determinazione dell'assegno di mantenimento a carico di Di Le. Mi. e di procedere alla richieste indagini tributarie. Omessa, insufficiente, carente e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360, n. 1, n. 3, n. 5 su punti decisivi della controversia . Il terzo motivo, articolato da p. 38, censura infine violazione e falsa applicazione degli artt. 156, 2729 cod. civ. e degli artt. 112, 115, 116, 163, 183, 189 cod. proc. civ. avendo la Corte di Appello escluso una maggiore determinazione dell'assegno di mantenimento a carico di Di Le. Mi. avendo rilevato sulla base di un motivo non dedotto dalle parti la volontaria cessazione, in funzione della separazione, del rapporto di lavoro dipendente di Ia. Gi Omessa, insufficiente, carente e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360, n. 1, n. 3, n. 5 su punti decisivi della controversia . 2.- La sostanza del primo motivo di ricorso è che la Corte di Appello avrebbe dovuto tenere conto - nel provvedere alla liquidazione equitativa del danno patito da Gi. Ia. in relazione ai fatti che ha portato alla separazione con addebito - anche delle capacità patrimoniali e reddituali del danneggiante Di Le Il motivo è inammissibile. E' principio ricevuto di questa Corte che la valutazione in concreto della liquidazione equitativa del danno rimane insindacabile in cassazione, purché la stessa sia sorretta da motivazione adeguata e sia indicato il percorso argomentativo seguito in proposito cfr., di recente, Cass., 15 marzo 2016, n. 5090 Cass., 31 luglio 2015, n. 16222 . La motivazione della Corte napoletana rispetta senz'altro i detti parametri. La stessa rileva, con chiarezza e puntualità, che il danno subito dall'attuale ricorrente non è la perdita di un marito facoltoso, ma, in ipotesi, la lesione della dignità e della salute per effetto delle modalità e circostanze nelle quali apprese dell'esistenza . di una figlia che il marito aveva avuto da una precedente relazione . 3.- La sostanza del secondo motivo, che attiene alla misura dell'assegno di mantenimento posto a carico di Mi. Di Le., è che la Corte avrebbe dovuto procedere a omesse indagini tributarie . Se l'avesse fatto, precisa la ricorrente, la Corte si sarebbe accorta che Mi. Di Le. gode di un reddito anche indiretto molto elevato. Il motivo è inammissibile. La violazione e falsa applicazione dei detti artt. 115 e 116, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, è apprezzabile - in sede di ricorso per cassazione - nei soli limiti del vizio di cui al n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. cfr., da ultimo, la sentenza di Cass., 30 novembre 2016, n. 24434 . Nella specie la motivazione della Corte napoletana - che risulta svolta, in specie, nel corpo del suo n. 10 da p. 7 a p. 9 – risulta particolarmente articolata e del tutto ragionevole. Quanto allo specifico punto delle indagini tributarie, va anche richiamata la recente pronuncia di Cass., 15 novembre 2016, n. 23263 ord. , secondo la quale in tema di determinazione dell'assegno di mantenimento, l'esercizio del potere del giudice, che può disporre . indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull'onere della prova l'esercizio di tale potere non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata . tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi . 4.- La sostanza del terzo motivo, che pure attiene alla misura dell'assegno di mantenimento posto a carico di Mi. Di Le., consiste nel contestare uno specifico passo della motivazione svolta dalla Corte territoriale in relazione, appunto, alla concreta determinazione di tale misura. Assume dunque il ricorso non essere vera l'affermazione della Corte, secondo cui la Ia., in vista della separazione, si rese volontariamente disoccupata . In realtà, continua il ricorso, l'attuale ricorrente era stata licenziata dalla D& amp T in data 7.04.2005 per sequestro cava . Il motivo è inammissibile. Come già rilevato in relazione al precedente motivo di ricorso, che precede, in punto di determinazione dell'assegno di mantenimento, la Corte territoriale ha svolto una motivazione assai articolata, con decisione che si nutre di un'ampia serie di distinte ragioni. L'eventuale caducazione di quella attinente ai motivi della cessazione dell'attività lavorativa di Gi. Ia. comunque non risulta incidere, dunque, sul risultato finale della compiuta valutazione. 5.- In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del grado, liquidate nella misura di Euro 5,600 di Si dà atto che sussistono le condizioni per l'applicazione dell'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115/2002.