Si è donna ancor prima dell’intervento chirurgico demolitorio

Corte Costituzionale, Corte di Cassazione e Tribunali di merito sono tutte concordi nel ritenere che per ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile deve considerarsi non obbligatoria la preventiva realizzazione dell’intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari. Invero il trattamento chirurgico costituirebbe solo una delle modalità attraverso le quali può realizzarsi il percorso di transizione verso il riconoscimento del diritto all’identità personale.

Così il Tribunale di Treviso con sentenza n. 860/17 depositata il 12 aprile 2017. Il caso. Con atto di citazione notificato al PM, la parte attrice, celibe e senza figli, chiedeva che il Tribunale adito disponesse la rettifica di attribuzione di sesso da maschile a femminile, ordinasse la conseguente rettificazione nei registri dello stato civile e autorizzasse il trattamento medico chirurgico necessario per l’adeguamento dei caratteri sessuali primari. Il Tribunale accoglieva le richieste e in merito alla non obbligatorietà della preventiva esecuzione dell’intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari, richiamandosi alla pronuncia della Corte Costituzione n. 221/2015, nonché ad alcune recenti Cassazioni, ha ritenuto che, se la rettificazione dell’attribuzione anagrafica di sesso si ordinasse solo a seguito di una sentenza passata in giudicato che attribuisca il sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei caratteri sessuali, si subordinerebbe irragionevolmente l’esercizio del fondamentale diritto all’identità di genere a trattamenti sanitari pericolosi per la salute. Inoltre, il Tribunale rilevava che, se interpellate le norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso alla luce dei diritti costituzionali della persona, e di conseguenza del diritto all’identità di genere e all’identità personale, la mancanza in esse di un riferimento testuale alle modalità attraverso le quali si deve realizzare la modificazione, porta ad escludere la necessità, ai fini dell’accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del trattamento chirurgico, il quale, quindi, costituisce solo una delle possibili tecniche per effettuare l’adeguamento dei caratteri sessuali. Il riconoscimento del diritto all’identità di genere quale elemento costitutivo del diritto all’identità personale. In altre parole, nel rispetto dei supremi valori costituzionali, è rimessa al singolo la scelta delle modalità attraverso le quali realizzare, con l’assistenza del medico e di altri specialisti, il proprio percorso di transizione percorso serio e definitivo che deve comunque riguardare gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l’identità di genere. Rispetto ad essi il trattamento chirurgico può quindi costituire solo uno strumento eventuale, di ausilio, atto a garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli di appartenenza, volto a superare quel malessere connesso all’atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica e come tale autorizzabile per il conseguimento del pieno benessere psichico e fisico della persona e della propria identità. In tal senso quindi, il trattamento chirurgico non si configura, né può configurarsi, come un prerequisito necessario per accedere al procedimento di rettificazione, bensì come mezzo funzionale ad un benessere psicofisico del richiedente. Nel caso di specie, infatti, l’attore, sin dalla prima infanzia aveva un’identificazione con il genere femminile, rimasta costante nel tempo e riconosciuta medicalmente come una disforia di genere primaria per l’attore, quindi, la rettificazione chirurgica costituiva solo l’ultimo passo per una completa transizione e per vedersi riconoscere un’identità personale e di genere già affermata, nonché volta principalmente a consentirgli di superare il conflitto fra i connotati fisici e gli aspetti individualizzanti di ordine psichico sessuale e raggiungere così un pieno equilibrio e benessere psicofisico.

Tribunale di Treviso, sez. I Civile, sentenza 28 marzo – 12 aprile 2017, n. 860 Presidente Ronzani – Relatore Ceccon Motivi della decisione omissis ha proposto contestualmente azione per la rettificazione di attribuzione di sesso ai sensi dell'articolo 1 della legge 14 aprile 1982, n. 164 e, richiesta di autorizzazione al trattamento medico-chirugico necessario per l'adeguamento dei caratteri sessuali primari da maschili a femminili. L'attore è celibe e non ha figli, come si ricava dalla documentazione anagrafica prodotta. La domanda è stata pertanto correttamente proposta nei confronti del solo Pubblico Ministero, non sussistendo altri litisconsorti necessari. Va premesso che, pur essendo l'attore di nazionalità argentina, trova applicazione alla fattispecie in esame la legge sostanziale italiana n. 164/1982 , quale norma di applicazione necessaria, in quanto diretta ad assicurare tutela e realizzazione di diritti fondamentali della persona, che non ammettono trattamenti differenziati tra soggetti di diversa nazionalità. In ogni caso, anche con riferimento all'art. 24 della legge 218/1995, in forza del quale verrebbe richiamata la legge argentina, ha documentato l'attore l'esistenza di analoga normativa nell'ordinamento argentino, che consente la rettifica anagrafica del sesso, anche senza necessità di preventivo intervento chirurgico di riassegnazione totale o parziale o di terapie ormonali o di trattamento psicologico o medico . Ciò posto, le domande formulate mentano accoglimento. In merito alla non obbligatorietà della preventiva esecuzione dell'intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari, si richiama la pronuncia della Corte Costituzionale n. 221/15, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge 14 aprile 1982, n. 164, impugnato, in riferimento agli artt. 2, 3, 32, 117, primo comma, Cost., e 8 CEDU in quanto, stabilendo che la rettificazione dell'attribuzione anagrafica di sesso si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali, subordinerebbe irragionevolmente l'esercizio del fondamentale diritto all'identità di genere a trattamenti sanitari pericolosi per la salute. La Corte ha affermato che tale disposizione costituisce l'approdo di un'evoluzione culturale ed ordinamentale volta al riconoscimento del diritto all'identità di genere quale elemento costitutivo del diritto all'identità personale, rientrante a pieno titolo nell'ambito dei diritti fondamentali della persona. Interpretata alla luce dei diritti della persona, la mancanza di un riferimento testuale alle modalità attraverso le quali si realizza la modificatone porta ad escludere la necessità, ai fini dell'accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del trattamento chirurgico, il quale costituisce solo una delle possibili tecniche per effettuare l'adeguamento dei caratteri sessuali. Tale esclusione appare, peraltro, il corollario di un'impostazione che, in coerenza con i supremi valori costituzionali, rimette al singolo la scelta delle modalità attraverso le quali realizzare, con l'assistenza del medico e di altri specialisti, il proprio percorso di transizione, che deve comunque riguardare gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l'identità di genere. Rimane così ineludibile un rigoroso accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo. Rispetto ad esso il trattamento chirurgico costituisce uno strumento eventuale, di ausilio al fine di garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, il conseguimento di un pieno benessere psichico e fisico della persona. Il ricorso alla modificatone chirurgica risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in quei particolari casi nei quali la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica. In tal senso, quindi, il trattamento chirurgico non si configura come prerequisito necessario per accedere al procedimento di rettificazione, bensì come un possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico . Nello stesso senso la recente pronuncia della Corte di Cassazione n 15138/2015 alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata, e conforme alla giurisprudenza della CEDU, dell'art. 1 della L. n. 164 del 1982, nonché del successivo art. 3 della medesima legge, attualmente confluito nell'art. 31, comma 4, del D.Lgs. n. 150 del 2011, per ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile deve ritenersi non obbligatorio l'intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari. Invero, l'acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell'approdo finale sia oggetto, ove necessario, di accertamento tecnico in sede giudiziale' . Nel caso in esame, è stato prodotto certificato medico in data 16.04.14, rilasciato dalla dott. omissis Direttore della S.C. Clinica Psichiatrica dell'Università degli Studi di Trieste, che attesta che l'attore, che riferisce sin dalla prima infanzia una identificazione con il genere femminile, rimasta costante nel tempo, presenta una Disforia di Genere Primaria, non secondaria a psicopatologia. Provenendo tale certificato da struttura sanitaria pubblica, risulta superfluo ogni ulteriore accertamento da parte del Tribunale sul punto. L'attore ha dunque iniziato l'assunzione di terapia ormonale femminilizzante sotto il controllo del Prof. Dott. omissis dell'ASUI UD Presidio Ospedaliero Santa Maria della Misericordia di Udine e, a seguito di tale terapia, si è già verificata la modifica dei caratteri sessuali secondari, avendo assunto egli anche esteriormente sembianze femminili e venendo oramai identificato nelle relazioni interpersonali con il nome femminile di Serena. La rettificazione chirurgica sessuale andro-ginoide costituisce dunque l'ultimo intervento indispensabile per consentire all'attore, che rappresenta tale esigenza, di superare il conflitto fra i connotati fisici e gli aspetti individualizzanti di ordine psichico sessuale e pertanto per raggiungere un pieno equilibrio e benessere psicofisico. Le domande attoree meritano quindi integrale accoglimento. Nulla in punto spese, non sussistendo profili contenziosi. P.Q.M. visti gli artt. 1 e ss della legge 164/1982, definitivamente pronunciando sulla causa di cui in epigrafe, così provvede dispone la rettificazione di attribuzione di sesso di omissis , nato a omissis e residente in omissis , mediante attribuzione del sesso femminile e del prenome omissis in sostituzione di quello di omissis ordina la conseguente rettificazione presso i registri di stato civile del Comune di omissis e negli atti e documenti riguardanti il signor omissis nato a omissis in data omissis nonché all'ufficiale di stato civile del comune ove l'atto di nascita fu compilato la suddetta rettificazione e l'annotazione della presente sentenza autorizza l'esecuzione del trattamento medico chirurgico necessario per l'adeguamento dei caratteri sessuali primari da maschili a femminili manda alla cancelleria per gli adempimenti di legge nulla per le spese.