Licenziato e di nuovo a casa con la madre: niente mantenimento dal padre

Irrilevante la disoccupazione subita dal giovane. Respinta la richiesta della donna di avere un contributo da parte dell’ex marito.

Momento difficile per il figlio maggiorenne, che si ritrova all’improvviso senza lavoro ed è costretto a tornare a vivere con la madre, ormai divorziata dal padre. Questo dato, però, non è sufficiente per rendere legittima la domanda della donna di ottenere dall’ex coniuge un contributo economico per il mantenimento del ragazzo Cassazione, sentenza n. 12063/17, sez. I Civile, depositata il 16 maggio . Assegno. Messa per iscritto la cessazione degli effetti civili del matrimonio . Sciolti anche i nodi economici nel rapporto tra i due ex coniugi. A modificare il panorama è, secondo la donna, la crisi subita dal loro figlio maggiorenne. Quest’ultimo è stato licenziato, si trova in disoccupazione ed è stato obbligato a tornare a vivere con la madre. Consequenziale è la richiesta della donna di ottenere dall’ex marito un contributo per il mantenimento del ragazzo. Secondo i magistrati della Cassazione, però, la domanda non ha alcun appiglio. In particolare, è irrilevante il fatto che il figlio sia tornato ad essere economicamente dipendente dopo aver perduto l’occupazione lavorativa . Decisivo il richiamo al principio secondo cui il diritto ad un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato ad espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento ad opera del genitore . Di conseguenza, non può avere rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori come il fatto del licenziamento che non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti siano già venuti meno .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 febbraio – 16 maggio 2017, n. 12063 Presidente Di Palma – Relatore Lamorgese Fatti di causa La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 22 luglio 2014, ha rigettato il gravame di T.R. avverso l’impugnata sentenza che, dichiarando la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con C.D. nel 1980, aveva rigettato le sue domande di attribuzione di un assegno divorzile, di una quota dell’indennità di fine rapporto percepita dall’ex marito, nonché di un contributo di mantenimento per il figlio maggiorenne G. . La Corte ha ritenuto che, rispetto all’epoca della separazione anno 2002 , quando le era stato attribuito un assegno di mantenimento di Euro 150,00 mensili, le condizioni economiche dell’attrice fossero migliorate, e quelle del C. fossero rimaste invariate la T. beneficiava di una pensione di circa Euro 650,00 mensili e non v’era prova del pregresso tenore di vita matrimoniale interrottasi nel 1987 al mancato riconoscimento dell’assegno divorzile conseguiva il rigetto della domanda concernente l’assegnazione di una quota del tfr dell’ex coniuge il figlio 33 anni era economicamente indipendente, come dimostrato dal fatto che, nel 2009, era stato assunto a tempo indeterminato. Avverso questa sentenza la T. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui si è opposto il C. con controricorso e memoria. Ragioni della decisione Il primo motivo di ricorso denuncia omesso esame di fatti ritenuti decisivi, quali la disparità reddituale tra le parti e lo stato di disoccupazione del figlio, nel frattempo licenziato dal datore di lavoro, ai fini della domanda di assegno divorzile e del contributo di mantenimento del figlio maggiorenne. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto in ordine alle medesime circostanze sopra esposte. Entrambi i motivi sono, in parte, inammissibili, laddove si risolvono nella critica della sufficienza del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., apportata dall’art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012 v. Cass., sez. un., n. 8053/2014 inoltre, la ricorrente - pur denunciando la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. - non ha svolto specifiche argomentazioni intese a dimostrare come e perché determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, siano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie v., tra le tante, Cass. n. n. 635/2015 . I motivi sono infondati nella parte concernente il contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne, già indipendente, e poi, in tesi, tornato ad essere dipendente economicamente per avere perduto l’occupazione lavorativa. E ciò alla luce del principio secondo cui il diritto del coniuge separato o, in questo caso, dell’ex coniuge di ottenere dall’altro coniuge o ex coniuge un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato ad espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento se previsto ad opera del genitore. Né assume rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori come, nella specie, il fatto del licenziamento, peraltro controverso e non accertato dal giudice di merito , le quali non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti siano già venuti meno Cass. n. 26259/2005 . Il ricorso è rigettato. Sussistono giusti motivi per compensare le spese, a norma dell’art. 92, secondo comma, c.p.c. nella versione, applicabile ratione temporis , successiva alla prima modifica, operata dall’art. 2, comma 1, lett., a, della legge n. 263 del 2005 , in considerazione della dimensione sostanziale della controversia. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso compensa le spese. Doppio contributo a carico della ricorrente, come per legge.