Nessun addebito della separazione al coniuge che abbandona la casa coniugale, se il rapporto era già in crisi

Non basta la violazione dell’art. 143 c.c. diritti e doveri reciproci dei coniugi per imputare ad un coniuge la responsabilità della separazione.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11929/17 depositata il 12 maggio. Il caso. Un Tribunale disponeva l’addebito della separazione tra due coniugi all’ex moglie, la quale proponeva appello avverso la sentenza, ottenendo una riforma della pronuncia. La Corte d’appello, infatti, riconosceva che l’allontanamento dell’appellante dalla casa coniugale non fosse la causa della rottura con l’ex marito, bensì una normale conseguenza di un rapporto già deteriorato tra i due, che aveva reso intollerabile la convivenza. La separazione senza addebito. L’ex marito, dunque, ricorreva in Cassazione, lamentando violazione degli artt. 143 comma 2 diritti e doveri reciproci dei coniugi , 151 comma 2 separazione giudiziale e 2697 c.c Secondo il ricorrente, l’allontanamento dalla casa coniugale sarebbe di per sé una circostanza idonea a configurare addebito a carico dell’ex moglie, frutto inoltre di una scelta arbitraria della stessa. Secondo la Corte di Cassazione il motivo è infondato. Esiste infatti un orientamento consolidato della Corte, secondo cui la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l’art. 143 c.c. pone a carico dei coniugi, essendo invece necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, ovvero se sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza . Qualora manchi la prova di ciò, deve essere pronunciata sentenza di separazione senza addebito.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, sentenza 5 dicembre 2016 – 12 maggio 2017, n. 11929 Presidente Dogliotti – Relatore De Chiara Premesso Che è stata depositata relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., nella quale si legge quanto segue 1. - La Corte d’appello di Napoli ha parzialmente accolto il gravame della sig.ra C.M. riformando la sentenza di primo grado nella parte in cui disponeva l’addebito all’appellante predetta della separazione dal marito, sig. D.C. . La Corte ha ritenuto che, sulla base delle risultanze istruttorie, l’allontanamento dell’appellante dalla casa coniugale non fosse stato causa della rottura con il sig. D. , bensì conseguenza del progressivo deterioramento dei rapporti tra i coniugi, non addebitabile specificamente a nessuno dei due, e quindi della intollerabilità della convivenza. 2. - Il sig. D. ha proposto ricorso per cassazione articolando due motivi. L’intimata non ha svolto difese. 3. - Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 143, secondo comma, 151, secondo comma, e 2697 c.c., si lamenta che la Corte d’appello non abbia ravvisato nell’allontanamento dall’abitazione familiare una circostanza ex se idonea a configurare addebito a carico della sig.ra C. , e che da una corretta analisi delle risultanze istruttorie sarebbe emersa in modo inequivocabile l’arbitrarietà della scelta della moglie, sì da giustificare l’addebito alla stessa della separazione. 3.1 - Sotto il profilo della denunciata violazione di norme di diritto il motivo è infondato, dovendosi confermare il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l’art. 143 c.c. pone a carico dei coniugi, essendo invece necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, ovvero se essa sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza. Pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa del fallimento della convivenza, deve essere pronunciata la separazione senza addebito Cass. 12130/2001, 23071/2005, 14840/2006 e successive conformi . Per il resto, le censure diffusamente articolate dal ricorrente - il quale contesta che dalle prove raccolte sarebbe emerso che l’intollerabilità della convivenza preesisteva all’allontanamento della moglie - si sostanziano in pure e semplici critiche di merito. 4. - Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c., si lamenta che la Corte d’appello abbia omesso di pronunciarsi sul primo dei due motivi del gravame incidentale proposto dall’attuale ricorrente, con il quale si chiedeva, per il caso di accoglimento dell’appello principale in punto di addebito della separazione, di modificare la motivazione della sentenza di primo grado statuendo che l’intollerabilità della convivenza è scaturita da precisa volontà della C. che non ha mai voluto costituire una comunione di vita con il marito ed una abituale convivenza coniugale . 4.1. - L’indicata censura di omissione di pronuncia è manifestamente infondata. I giudici di secondo grado, infatti, hanno espressamente escluso che l’intollerabilità della convivenza dipendesse da colpa di uno qualsiasi dei coniugi ciò hanno dato risposta implicita alla predetta tesi dell’appellante incidentale, ancorché senza farne - per apprezzabile brevità - esplicita menzione. che tale relazione è stata comunicata agli avvocati delle parti costituite che l’avvocato di parte ricorrente ha presentato memoria. Considerato Che il Collegio condivide le considerazioni svolte nella relazione sopra trascritta, non superate dalle osservazioni della memoria di parte ricorrente che pertanto il ricorso va rigettato che in mancanza di attività difensiva della parte intimata non occorre provvedere sulle spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17,1. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.