Disconoscimento di paternità: verità a tutti i costi?

L’imprescrittibilità dell’azione di disconoscimento di paternità riguardo al figlio dimostra l’importanza della discendenza biologica e della connessa identità personale. L’interesse del figlio a promuovere tale azione deve essere valutato ed accertato al momento della nomina del curatore speciale per il figlio infraquattordicenne e non già nel successivo giudizio di merito.

Farà discutere la sentenza n. 4020 resa dalla Corte di Cassazione in materia di disconoscimento di paternità pubblicata il 15 febbraio 2017. Il caso. Il procedimento in esame prende le mosse dal sedicente padre biologico che chiede la nomina di un curatore speciale per il figlio minore affinché questi promuova azione di disconoscimento della paternità nei confronti del padre non biologico, ma coniugato con la propria madre. Ciò sull’assunto che il sedicente padre biologico aveva intrattenuto una relazione con la madre del minore nel periodo del concepimento dello stesso. I genitori c.d. sociali si oppongono a tale azione. Il minore viene disconosciuto e perde il cognome del padre non biologico. Il Tribunale dichiara inammissibile l’intervento in causa del sedicente padre biologico ma, con sentenza definitiva, giunge a dichiarare che il minore non era il figlio del padre non biologico e coniugato con la madre e che conseguentemente il figlio non era legittimato a conservare il cognome assunto fino a quel momento. Tale decisione viene confermata anche in sede di gravame. La Corte di Cassazione sposa i ragionamenti dei giudici di merito posto che l’azione di disconoscimento di paternità proposta dal curatore speciale del minore infraquattordicenne era fondata sull’esistenza di una relazione sentimentale con risvolti sessuali tra il sedicente padre biologico e la madre del minore nel periodo del concepimento dello stesso, circostanza questa confermata da tutte le parti in causa, nonché sull’esito della consulenza tecnica biologica che aveva accertato la non paternità del marito relativamente al figlio. L’importanza del legame genetico e la parificazione tra figli legittimi” e naturali”. L’evoluzione normativa legge n. 219/2012 e d.lgs. n. 154/2013 ha superato l’impostazione tradizionale che attribuiva preminenza al favor legitimitatis attraverso la equiparazione della filiazione naturale a quella legittima. Conseguentemente, acquista ancor più rilevanza il legame genetico di un individuo sotto il profilo dell’identità personale, comprensiva del diritto di accertare la propria discendenza biologica e il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini. Per il figlio, a differenza che per la madre e per il padre, le azioni di stato, compresa dunque quella per il disconoscimento di paternità, non è soggetta a prescrizione e ciò, secondo la Corte, dimostra l’importanza della discendenza biologica e della connessa identità personale. Il favor veritatis e il favor minoris. La crescente considerazione del favor veritatis è pienamente coerente con il favor minoris perché la verità biologica della procreazione costituisce una componente essenziale dell’interesse del medesimo minore, che si traduce nella esigenza di garantire ad esso il diritto alla propria identità e alla affermazione di un rapporto di filiazione veridico. L’interesse del minore. Secondo la Corte di Cassazione l’accertamento da parte del Giudice della sussistenza di un interesse del minore a promuovere l’azione di disconoscimento della paternità avviene non già nel momento dell’esame del merito della vicenda ma ancor prima all’interno del procedimento che conduce alla nomina di un curatore speciale. Il cognome del minore. Una volta che il figlio viene disconosciuto, questi perde il diritto a conservare il cognome del padre non biologico. Vane le doglianze del padre sociale” a che il figlio continuasse a mantenere il cognome a lui attribuito sin dalla nascita. Secondo la Corte, il padre non biologico non era legittimato a richiedere che il minore conservasse il proprio cognome, trattandosi di una decisione spettante esclusivamente al minore interessato, in considerazione della natura personalissima del diritto al nome. Solo l’interessato, quindi il minore, ha facoltà di chiedere il riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuitogli se questo costituisce autonomo segno distintivo della sua identità personale. Alcuni dubbi. La sentenza in esame lascia aperti molti interrogativi. L’azione di disconoscimento è imprescrittibile per il figlio ma soggetta a termini e requisiti tassativi per il padre e la madre art. 244 c.c. il sedicente padre biologico interessato a contestare la paternità legittima” di un minore di anni 16 non è legittimato al promovimento dell’azione di disconoscimento. Tuttavia, la sentenza in esame consente al sedicente padre biologico di dare impulso ad un’azione che direttamente non può promuovere ma che, per il mezzo di un curatore speciale, può promuovere senza limiti di tempo. E ancora, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 244 c.c., l’azione può essere promossa da un curatore speciale su istanza del minore che ha compiuto i 14 anni ovvero su istanza del pubblico ministero o dell’altro genitore se il minore ha età inferiore. Pertanto, la nomina di un curatore speciale per questa ipotesi è obbligatoria, non richiedendo la norma un apprezzamento da parte del Giudice o del Pm dell’interesse del minore a che gli venga nominato un curatore speciale per l’introduzione della domanda di disconoscimento. In quale momento, dunque, se non nel corso del giudizio di merito, viene valutato l’interesse del minore ad essere disconosciuto se la nomina di un curatore speciale avviene per legge?

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 26 ottobre 2016 – 15 febbraio 2017, n. 4020 Presidente Di Palma – Relatore Lamorgese Fatti di causa 1.- L’avv. D.F.F. , nominata dal Tribunale di Milano curatrice speciale del minore F.A.F.I. su richiesta di P.L.F. , propose azione di disconoscimento della paternità del minore, nato il omissis in costanza di matrimonio tra F.M. e M.D. , ma figlio biologico del P. con il quale la M. aveva avuto una relazione extraconiugale nel periodo del concepimento. Alla domanda di disconoscimento si opposero il F. e la M. 2.- Il Tribunale emise sentenza parziale con la quale dichiarò inammissibile l’intervento in causa del P. e sentenza definitiva con la quale dichiarò che il minore non era figlio del F. e che quest’ultimo non era legittimato a chiedere che il minore conservasse il cognome F. . 3.- Il gravame del F. è stato rigettato dalla Corte d’appello di Milano, con sentenza 28 aprile 2015. 4.- Avverso questa sentenza il F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi la M. si è difesa con controricorso la curatrice speciale non ha svolto attività difensiva. Ragioni della decisione 1.- Con il primo e secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 165 e 149, terzo comma, c.p.c., in ordine al rigetto dell’eccezione di nullità del processo di primo grado per la tardiva iscrizione della causa a ruolo rispetto al termine di dieci giorni a decorrere dalla data di perfezionamento della notifica dell’atto di citazione per l’attore, e cioè dalla data di consegna dell’atto, e non dalla ricezione da parte del destinatario. I motivi in esame sono infondati. È principio consolidato che la distinzione dei momenti di perfezionamento della notifica per il notificante e per il destinatario dell’atto, con il riferimento per il notificante al momento della consegna dell’atto per la notifica, trova applicazione solo quando dal protrarsi del procedimento notificatorio possano verificarsi conseguenze negative per il notificante come la decadenza conseguente al tardivo compimento di attività riferibili all’ufficiale giudiziario o all’agente postale e non, invece, ove sia previsto che un termine a suo carico debba iniziare a decorrere o altro adempimento debba essere compiuto dal momento dell’avvenuta notificazione, poiché il consolidamento della notifica dipende anche per il notificante dal perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario v. Cass. n. 27010/2008, n. 10837 e 11783/2007 Cons. di Stato, sez. VI, n. 3150/2011 . Pertanto, la corte di merito, nel rigettare l’eccezione di nullità del giudizio di primo grado, correttamente ha escluso che vi fosse stata una violazione del termine di dieci giorni per l’iscrizione della causa a ruolo avvenuta in data 7 luglio 2009 a decorrere dalla data di consegna dell’atto di citazione all’ufficiale giudiziario 26 giugno 2009 , dovendosi invece avere riguardo alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario 3 luglio 2009 . 2.- Con il terzo e quarto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c. per avere i giudici di merito formato il proprio convincimento sulla base della deposizione di un teste inattendibile il P. . I motivi sono inammissibili poiché non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata infatti i giudici d’appello hanno ritenuto fondata l’azione di disconoscimento non sulla base della sola deposizione testimoniale menzionata, ma valorizzando plurimi elementi probatori emersi nel giudizio, tra i quali l’esistenza di una relazione sentimentale con risvolti sessuali tra il P. e la M. nel periodo del concepimento fine 2003 inizio 2004 , confermata da entrambi e dal F. , e l’esito della c.t.u. da cui risultava l’incompatibilità biologica del minore con il F. . 3.- Con il quinto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 244 c.c., per avere i giudici di merito indagato sull’assenza di rischi per il minore derivanti dall’azione di disconoscimento della paternità, mentre avrebbero dovuto valutare il suo interesse rispetto ad un’azione che aveva l’effetto di travolgere la sua serenità e il suo equilibrio nell’attuale e delicata fase preadolescenziale, con effetti imprevedibili nel contesto familiare e scolastico. Il motivo è infondato. 3.1.- Ad avviso del ricorrente, al principio del favor veritatis, inteso come prevalenza della verità biologica su quella legale, non potrebbe essere riconosciuto un valore di importanza particolare o preminente, in considerazione del fatto che l’art. 30, quarto comma, Cost. la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella naturale, nonché di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest’ultima, così affidandogli anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione dell’interesse del minore. Questa interpretazione talora seguita dalla giurisprudenza, v. Cass. n. 20254/2006 non può condurre a fare ritenere che al legislatore ordinario sia stata rimessa, non solo, la scelta discrezionale delle modalità procedurali tramite le quali è consentito ai soggetti interessati di ottenere l’accertamento della verità biologica com’è quella ragionevolmente demandata al curatore speciale del minore nominato dal giudice art. 244, ult. comma, c.c. ma anche il potere di precludere tale accertamento all’esito di valutazioni di opportunità effettuate in astratto e preventivamente. La stessa sentenza da ultimo citata ha dato atto dell’accentuato favore per la conformità dello status alla realtà della procreazione, chiaramente espresso nel progressivo ampliamento in sede legislativa delle ipotesi di accertamento della verità biologica, nonché - si deve aggiungere - nel diritto vivente che ha ne evidenziato il valore di rilevanza costituzionale primaria v, tra le altre, Corte cost. n. 7/2012 e Cass., sez. I, n. 19599/2016 . Infatti, non si può negare l’importanza del legame genetico sotto il profilo dell’identità personale, nella quale sono compresi il diritto di accertare la propria discendenza biologica Corte Edu, 14 gennaio 2016, Mandet c. Francia e il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini Corte cost. n. 278 del 2013 . L’imprescrittibilità riguardo al figlio delle azioni di stato artt. 270, primo comma 263, secondo comma 244, quinto comma, c.c. dimostra l’importanza della discendenza biologica e della connessa identità personale, la cui tutela rientra a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla nostra Costituzione, prima ancora che dalle fonti internazionali. La Corte costituzionale ha ritenuto nell’ordinanza n. 7 del 2012 che la crescente considerazione del favor veritatis la cui ricerca risulta agevolata dalle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dall’elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini sentenze n. 50 e n. 266 del 2006 non si ponga in conflitto con il favor minoris, poiché anzi la verità biologica della procreazione costituisce una componente essenziale dell’interesse del medesimo minore, che si traduce nella esigenza di garantire ad esso il diritto alla propria identità e, segnatamente, alla affermazione di un rapporto di filiazione veridico sentenze 322 del 2011, n. 216 e n. 112 del 1997 . È alla luce di questa complessiva evoluzione normativa e giurisprudenziale che, come rilevato da un’attenta dottrina, dev’essere letto il citato art. 30, quarto comma, Cost., così come il terzo comma, la cui portata limitativa della tutela dei figli nati fuori del matrimonio nei limiti in cui sia compatibile con i diritti della famiglia legittima è ormai superata dall’evoluzione normativa v. legge n. 219/2012 e d.lgs. n. 154/2013 . Come osservato dalla Corte costituzionale, il legislatore della riforma del diritto di famiglia ha superato la impostazione tradizionale che attribuiva preminenza al favor legitimitatis attraverso la equiparazione della filiazione naturale a quella legittima ed ha di conseguenza reso omogenee le situazioni che discendono dalla conservazione dello stato ancorato alla certezza formale rispetto a quelle che si acquisiscono con l’affermazione della verità naturale, la cui ricerca risulta agevolata dalle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dall’elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini Corte cost. n. 170/1999 . 3.2.- Nella specie, con riguardo al profilo dell’interesse del minore che non sarebbe stato valutato nella fase della nomina del curatore speciale, si deve dare continuità all’orientamento secondo cui la proposizione da parte del minore infrasedicenne o, a seguito della riforma, infraquattordicenne di azione di disconoscimento di paternità postula l’apprezzamento in sede giudiziaria dell’interesse di questi, non potendo considerarsi utile equipollente la circostanza che sia l’ufficio del pubblico ministero a richiedere la nomina del curatore speciale abilitato all’esercizio dell’azione stessa tuttavia, siffatto apprezzamento trova istituzionale collocazione nel procedimento diretto a quella nomina - essendo, nel corso di esso, possibile l’acquisizione dei necessari elementi di valutazione e dovendosi, col provvedimento conclusivo, che secondo l’art. 737 c.p.c. ha la forma del decreto motivato, giustificare congruamente le conclusioni raggiunte in ordine alla sussistenza dell’interesse - ma non anche nel successivo giudizio di merito v. Cass. n. 71/1994, coerentemente con Corte cost. n. 429/1991 . Una diversa interpretazione, in base alla quale la valutazione dell’interesse del minore dovrebbe essere effettuata anche nel giudizio di merito, ai fini dell’ammissibilità dell’azione di disconoscimento proposta dal curatore, non solo, è priva di basi normative, non essendo prevista dall’art. 244, ult. comma, c.c. nemmeno dopo la riforma apportata dall’art. 18, comma 1, d.lgs. n. 154/2013 , ma rappresenterebbe un’inutile duplicazione di una indagine già compiuta e sottoposta al vaglio del giudice ai fini della nomina del curatore. In ogni caso, nella specie, la corte di merito ha ampiamente argomentato - con apprezzamento di fatto non censurato con idoneo mezzo ex art. 360 n. 5 c.p.c. - in ordine all’interesse del minore, evidenziando il valore positivo della conoscenza della verità, non contrastata da elementi idonei a fare presumere il rischio di un concreto pregiudizio, tenuto conto che non era posto in discussione il valore della positiva relazione genitoriale con il padre legale e che non era possibile compiere alcuna valutazione negativa in ordine al profilo del padre biologico, il quale, tra l’altro, aveva dimostrato un serio interesse nei confronti del figlio. 4.- Con il sesto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 95, comma 3, dPR n. 396 del 2000, 316 e 320 c.c., in ordine alla sua negata legittimazione a chiedere la conservazione del cognome F. da parte del minore, avendo la corte di merito omesso di valutare che egli aveva la potestà genitoriale sul figlio e che era tenuto a tutelarlo rispetto ai pregiudizi personali e sociali derivanti dal disconoscimento. Il motivo è infondato. La corte di merito ha ritenuto che il F. non fosse legittimato a chiedere che il minore conservasse il proprio cognome, a seguito dell’annotazione della sentenza di disconoscimento nell’atto di nascita ex art. 49, comma 1, lett. o , dPR n. 396/2000, trattandosi di una decisione spettante esclusivamente al minore interessato, in considerazione della natura personalissima del diritto al nome. È una decisione conforme a diritto l’art. 95, comma 3, dPR n. 396 del 2000 conferisce solo all’ interessato la facoltà di richiedere il riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuitogli se questo costituisce ormai autonomo segno distintivo della sua identità personale . 5.- Il ricorso è rigettato. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio, a norma dell’art. 92, secondo comma, c.p.c. nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 45, comma 11, della legge n. 69 del 2009 , in considerazione della complessità e novità delle questioni controverse. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso compensa le spese del presente giudizio. Sussistono i presupposti per porre a carico del ricorrente il pagamento dell’ulteriore contributo dovuto per legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.