Vivere in un immobile di proprietà compensa in parte il maggior reddito mensile dell’ex coniuge

A proposito di supporto materiale a seguito di separazione personale, analizzando un ricorso che spazia tra l’inammissibile e l’infondato, la Corte di Cassazione ha modo di ribadire alcuni concetti attinenti alla determinazione dell’ammontare dell’assegno di mantenimento.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24853/16 depositata il 6 dicembre. Il caso. Dopo la pronuncia di separazione tra due coniugi, l’ex marito vedeva porsi a suo carico l’obbligo di versare un assegno di mantenimento mensile, il cui ammontare veniva ridotto in appello a seguito di impugnazione ad opera dello stesso. Contro la sentenza di secondo grado l’ex moglie decideva di ricorrere per cassazione. Il chiesto e il pronunciato. La ricorrente, con un primo motivo di doglianza, ritiene che la Corte d’appello abbia violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, accordando una riduzione dell’ammontare dell’assegno di mantenimento, avendo invece l’ex marito impugnato la sentenza di primo grado per l’estinzione completa dell’obbligo di corrisponderlo. A tal proposito, La Corte di Cassazione sottolinea come la domanda di esclusione dell’assegno necessariamente comprende quella di riduzione dello stesso , togliendo quindi dubbi sull’ ultra petitum ad opera del giudice e sull’ arbitrarietà della pronuncia del tribunale, vizi entrambi lamentati dalla ricorrente. La rilevanza delle circostanze abitative. Come secondo motivo di ricorso viene dedotta l’omessa ed insufficiente motivazione e la violazione di legge conseguenti all’apprezzamento fatto dal giudice delle risultanze processuali. Nello specifico, la Corte d’appello, al fine di determinare l’ammontare dell’assegno di mantenimento, ha tenuto conto dell’esistenza di uno squilibrio retributivo tra i due ex coniugi, con il reddito del marito che è circa triplo rispetto a quello della controparte, ma ha considerato anche il fatto che la moglie vive in un immobile di proprietà, mentre il primo è costretto all’esborso di un canone di locazione. A detta della ricorrente è stato dato troppo risalto a quest’ultimo particolare, che ha inciso in maniera determinante sulla sentenza riformante di secondo grado. In realtà, come si precisa in sentenza, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il predetto squilibrio fosse solo parzialmente temperato dalle circostanze abitative delle due parti, e che, in ogni caso, quello che la ricorrente chiede è una diversa interpretazione delle risultanze processuali, al fine di pervenire ad una diversa decisione nel merito. Potendo però occuparsi solo di questioni di legittimità, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la moglie al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, sentenza 16 maggio – 5 dicembre 2016, n. 24853 Presidente Dogliotti – Relatore Ragonesi In fatto e in diritto La Corte rilevato che sul ricorso n. 9597/15 proposto da P.F. nei confronti di D.V.P. il Consigliere relatore ha depositato ex art 380 bis cpc la relazione che segue Il relatore Cons. Ragonesi, letti gli atti depositati, ai sensi dell 'art. 380-bis c.p.c. osserva quanto segue. Il Tribunale di Reggio Calabria ha pronunciato la separazione personale dei coniugi D.V. - Potortì ponendo a carico di D.V. l'obbligo di corrispondere alla sig.ra Potortì un assegno mensile di euro 300, 00. Avverso tale sentenza proponeva impugnazione il sig. D.V La Corte d'Appello di Reggio Calabria, sentenza n. 1912014, in parziale accoglimento dell'appello, rideterminava l'importo dell'assegno mensile in euro 200, 00. La P.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso la detta sentenza sulla base di quattro motivi cui resiste con controricorso il D.V Col primo motivo la ricorrente lamenta che la Corte d'Appello di Reggio Calabria, violando il principio del chiesto e del pronunciato, ha respinto tutte le motivazioni addotte dall'appellante per poi arbitrariamente ridurre l'importo dell'assegno di mantenimento. Secondo la ricorrente, poi, la Corte d'Appello ed ancor prima il tribunale, avrebbe desunto la potenziale redditività esaminando la documentazione prodotta dalle parti, senza dare il giusto riscontro e la giusta motivazione sul punto. Il motivo è infondato. La domanda di esclusione dell'assegno necessariamente comprende quella di riduzione dello stesso per cui la pronuncia della Corte d'appello si è attenuta a quanto richiesto. Le censure avanzate nel secondo motivo di ricorso inerenti al vizio di motivazione si appalesano inammissibili. Ciò posto va premesso che alla fattispecie risulta applicabile catione temporis l 'art 360 n. 5 cpc , come modificato dall 'art 54 comma 1 del d.l n. 83 del 2012 convertito con legge 134 del 2012, che prevede la possibilità di proporre ricorso per cassazione solo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Da ciò discende che le censure proposte nel ricorso sotto il profilo della mancanza, insufficienza o contraddittorietà di motivazione devono ritenersi non prospettabili in sede di legittimità. Altrettanto deve dirsi per quanto concerne il quarto ed il quinto motivo. Venendo all'esame del terzo motivo , lo stesso è inammissibile per quanto riguarda la dedotta omessa ed insufficiente motivazione in ragione di quanto appena detto mentre in riferimento alle doglianze di violazione di legge, si osserva che in realtà il giudice di merito ha effettuato una valutazione corretta ed adeguata motivata sulla base delle risultanze processuali che, come tale non risulta sindacabile in questa sede di legittimità. In particolare, la Corte d'appello ha tenuto conto del maggiore ammontare del reddito mensile del D.V., circa di tre volte superiore rispetto quello della moglie ritenendo tale squilibrio solo parzialmente temperato dall'esborso mensile per il canone di locazione del D.V., mentre la P. vive in un immobile di sua proprietà. Le censure che il ricorrente muove a tale motivazione, tendono in realtà a prospettare una diversa interpretazione delle risultanze processuali chiedendo a questa Corte di effettuare un non consentito accertamento in punto di fatto in tal modo investendo inammissibilmente il merito della decisione. Ricorrono i requisiti di cui all'art 375 c.p. c. per la trattazione in camera di consiglio. P.Q.M. Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio. Considerato che le parti non hanno depositato memorie che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 2500 ,00 oltre euro 100,00 per esborsi ed oltre spese forfettarie ed accessori di legge.