Musicista precario chiede la riduzione dell’assegno di mantenimento del figlio. La Corte non condivide

Le censure che il ricorrente pone nel caso di specie si rivelano inammissibili per non pertinenza al decisum, giacché, sul punto, i giudici del reclamo non hanno adottato alcuna innovativa statuizione di merito ma si sono limitati a valorizzare la preclusione in rito alla riconsiderazione della misura dell’assegno mensile per il figlio minore .

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18300/16, depositata il 19 settembre. Il caso. Il Tribunale di Rimini disponeva l’affidamento esclusivo alla madre del figlio minorenne, nato dall’unione con il convenuto contumace, cittadino statunitense. Nel frattempo, confermava il contributo paterno di mantenimento fissato in 800,00€ mensili. La Corte d’appello di Bologna rigettava il reclamo proposto dal cittadino statunitense, che condannava a rifondere alla compagna le spese di lite. Il convenuto aveva chiesto l’azzeramento del proprio contributi in favore del figlio, tenuto conto del fatto che, essendo lui un musicista, aveva lavorato in maniera sporadica e usufruito, in sostanza, solo dei suoi risparmi. La compagna aveva resistito al reclamo eccependone l’inammissibilità. La Procura Generale presso la Corte d’appello era intervenuta in giudizio affermando che il padre si era dichiarato disponibile a versare la somma citata ogni mese per il figlio, giudicando evidentemente l’importo congruo in relazione alle proprie sostanze dell’epoca. Ricorre allora per cassazione avverso tale decisione il cittadino statunitense. Riduzione dell’entità dell’assegno di mantenimento. Il ricorrente chiede la cassazione dell’impugnato decreto onde pervenire alla riduzione dell’entità dell’assegno impostogli per il mantenimento del figlio e ciò considerando le sue allegazioni ovvero con esercizio dei poteri d’ufficio, anche avvalendosi dei fatti di comune esperienza, senza valutare negativamente la sua condotta contumaciale ed applicando correttamente i principi che concorrono a realizzare il requisito di proporzionalità della somministrazione, disciplinati dall’art. 337 –ter c.c. . Censure inammissibili. Il Supremo Collegio ritiene, però, di non poter accogliere la richiesta. A detta della Corte, infatti, il decreto impugnato si rivela oltre che aderente al quadro normativo di riferimento, anche innovato e puntualmente motivato. Quanto, poi, al mantenimento del minore, le censure che il ricorrente pone si riconducono, in parte, alla quantificazione in euro 800,00 mensili che ne è stata attuata col precedente decreto del settembre 2012 ed in parte, al periodo successivo. Le plurime doglianze si rivelano inammissibili per non pertinenza al decisum giacché sul punto i giudici del reclamo non hanno adottato alcuna innovativa statuizione di merito ma si sono limitati a valorizzare la preclusione in rito alla riconsiderazione della misura dell’apporto per il periodo decorso dalla nascita del figlio al precedente decreto del 2012, inferita dal fatto che questo provvedimento non era stato opposto dal ricorrente . Vanno rigettate anche le doglianze relative al mancato esercizio dei poteri officiosi, anche d’indole istruttoria, da parte dei giudici di merito, e ciò al fine della pretesa riduzione della misura dell’assegno paterno di mantenimento ed in funzione del preminente interesse del minore, certo non ravvisabile nel contenimento d’ufficio dello statuito apporto, frutto di insindacabile pregressa valutazione delle esigenze fondamentali del bambino . Per tali ragioni la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 26 maggio – 19 settembre 2016, n. 18300 Presidente Di Palma – Relatore Giancola Svolgimento del processo Con provvedimento n. 429 del febbraio 2014 il Tribunale di Rimini, in parziale accoglimento delle richieste avanzate con ricorso depositato il 12.4.2013 da B.M. , disponeva l’affidamento esclusivo a quest’ultima del figlio minorenne J.J. , nato il -omissis dall’unione della stessa con il convenuto contumace J.I.W.M. , cittadino statunitense nel contempo confermava il contributo paterno di mantenimento fissato in Euro 800,00 mensili col precedente decreto del 7.09.2012 reso ai sensi dell’art. 148 c.c. all’epoca in vigore , dal Presidente del medesimo Tribunale. Con decreto del 18.07.2014 la Corte di appello di Bologna rigettava il reclamo proposto dal J.I. , che condannava a rifondere alla B. le spese di lite. La Corte territoriale osservava e riteneva che il J. , senza contestare l’affidamento esclusivo del figlio alla madre, aveva chiesto col reclamo l’azzeramento o la riduzione ad Euro 200,00 del proprio contributo al mantenimento del bambino. sostenendo che il previsto importo di Euro 800,00 era divenuto eccessivo e comunque inadeguato alle proprie capacità economico-reddituali, tenuto conto del fatto che dal 2008 al 2010, quale musicista impegnato in concerti di noti cantanti di musica leggera, aveva lavorato in maniera sporadica ed usufruito in sostanza solo dei propri risparmi, mentre negli ultimi anni aveva percepito un reddito medio di circa E 20.000,00 annui, con cui aveva dovuto provvedere a plurime spese, in parte connesse al proprio lavoro e in parte connesse al mantenimento degli altri suoi quattro figli, di cui due, maggiori di J. , nati e residenti negli -omissis e due nati rispettivamente nel XXXX e nel XXXX dalla nuova compagna italiana con comparsa depositata il 15.7.2014 la B. aveva resistito al reclamo eccependone, comunque, in via preliminare l’inammissibilità sul rilievo che il provvedimento impugnato non aveva assunto alcuna effettiva statuizione economica relativa al mantenimento del figlio, essendosi al riguardo limitato a confermare quanto già disposto con il precedente decreto presidenziale del 7.09.2012, non ritualmente opposto dalla controparte e, dunque, divenuto definitivo la Procura Generale presso la Corte di Appello era intervenuta in giudizio con atto del 9.07.2014 chiedendo che l’assegno di mantenimento sia determinato in base alla reale capacità economica del reclamante e alle effettive esigenze del figlio le pretese avanzate dal reclamante non potevano trovare accoglimento il mantenimento in misura pari a 800,00 mensili era stato originariamente posto a carico di J.I.W.M. a definizione di un procedimento introdotto dalla B. ai sensi dell’art. 148 c.c. nella formulazione all’epoca in vigore , procedimento nell’ambito del quale l’odierno reclamante si era costituito per resistere alle avverse pretese quantificate in Euro 5.000,00 mensili , manifestando la propria disponibilità, come da dichiarazione resa a verbale di udienza dell’8.5.2012, a corrispondere la somma di Euro 800,00 mensili, ovvero proprio la somma che il Presidente del Tribunale di Rimini aveva poi indicato nel provvedimento conclusivo, avverso il quale J.I.W.M. non aveva proposto alcuna rituale opposizione nell’ambito del successivo procedimento instaurato, sempre dalla B. , nell’aprile del 2013, avente esclusivamente ad oggetto richieste di affido e decadenza del J.I.W.M. dalla potestà genitoriale, il Tribunale di Rimini, nel provvedere sulle richieste della ricorrente nei termini sopra indicati , aveva inteso prendere atto e confermare le statuizioni economiche vigenti per il minore in ragione dell’esecutività del precedente decreto presidenziale, statuizioni giudicate congrue, non essendo state rilevate anche per la contumacia del J. sopravvenienze tali da indurre d’ufficio ad una modifica quanto alle allegazioni del reclamante relative alla propria condizione economico-reddituale anteriore al 2012 epoca della emanazione del decreto presidenziale del 7.9.2012 , si trattava di argomenti difensivi che non potevano trovare ingresso alcuno nel presente procedimento, in quanto essi avrebbero dovuto essere fatti valere con l’opposizione prevista dal 4 comma dell’art. 148 c.c. nel testo applicabile ratione temporis , fermo restando che, comunque, era stato lo stesso J. a dichiararsi disponibile a versare la somma di Euro 800.00 mensili per il figlio, giudicando evidentemente tale importo congruo in relazione alle proprie sostanze dell’epoca quanto, invece, alle sopravvenienze relative ad epoca successiva al 2012, si trattava di allegazioni nuove, mai sottoposte al vaglio del Tribunale, anche in ragione della scelta di J.I.W.M. di rimanere contumace nel primo grado del procedimento, come tali inammissibili per la prima volta in sede di reclamo la liquidazione delle spese in favore della B. andava attuata in complessive Euro 6.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie, tributi e contributi come per legge, sulla base del valore indeterminato della causa e del pregio dell’attività difensiva svolta a favore della ricorrente e con applicazione dei nuovi parametri di cui al D.M. 55/2014 in vigore sussistevano i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115/2002, come mod. dall’art. 1, comma 17, E. 228/2012. Avverso questo provvedimento il J. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e notificato il 28.08-109.2014 alla B. che non ha svolto difese. Motivi della decisione A sostegno del ricorso il J. denunzia 1. Nullità del decreto della Corte d’Appello di Bologna di cui al n. 240/2014 r.v.g. al sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione degli ardi 132, comma 2 n. 4 c.p.c. e 118, comma 1 e 2 disp. att. c.p.c., degli art.li 337 ter e 337 octies c.c., dell’art. 2697 c.c., nonché degli art.li 115 e 116 c.p.c. . Conclusivamente ed in sintesi il ricorrente chiede la cassazione dell’impugnato decreto onde pervenire alla riduzione dell’entità dell’assegno impostogli per il mantenimento del figlio J.J. e ciò considerando le sue allegazioni ovvero con esercizio dei poteri d’ufficio, anche avvalendosi dei fatti di comune esperienza, senza valutare negativamente la sua condotta contumaciale ed applicando correttamente i principi che concorrono a realizzare il requisito di proporzionalità della somministrazione, disciplinati dall’art. 337 ter, comma IV c.c Il motivo in tutte le sue articolazioni non ha pregio. In primo luogo l’impugnato decreto si rivela oltre che aderente al quadro normativo di riferimento pure innovato, puntualmente ed adeguatamente motivato, considerando anche che la motivazione di tale tipologia di provvedimenti, ove necessaria, come nel caso che qui rileva di procedimenti camerali contenziosi, non dev’essere ampia come quella della sentenza, né succinta, come quella dell’ordinanza, ma può ben essere sommaria, nel senso di sufficiente, in ottemperanza all’obbligo di motivazione imposto dall’art. 111 Cost., sesto comma, a giustificare logicamente la decisione anche in relazione alle difese svolte dalle parti, funzione che nella specie risulta debitamente assolta. Quanto poi al mantenimento del minore le censure che il ricorrente pone si riconducono in parte alla quantificazione in Euro 800,00 mensili che ne è stata attuata col precedente decreto del 7.09.2012, reso ai sensi dell’art. 148 c.c. all’epoca in vigore dal Presidente del Tribunale di Rimini, ed in parte al periodo successivo. Le plurime doglianze che attengono alla quantificazione per il primo periodo di tempo decorso sino al 7.09.2012, si rivelano inammissibili per non pertinenza al decisum , giacché sul punto i giudici del reclamo non hanno adottato alcuna innovativa statuizione di merito involgente valutazioni delle condizioni personali ed economiche delle parti o il loro pregresso tenore di vita , ma si sono limitati a valorizzare la preclusione in rito alla riconsiderazione della misura dell’apporto per il periodo decorso dalla nascita del tiglio al precedente decreto del 2012, inferita dal fatto che questo provvedimento non era stato dal J. opposto ai sensi dell’art. 148, commi terzo e quarto, c.c., conclusione che è rimasta in questa sede incensurata. Anche le doglianze che invece attengono al periodo successivo non meritano favorevole sorte. Di nuovo ed in parte non pertengono alle ragioni della decisione, non contiate ad indebita diretta valenza probatoria attribuita. ai fini decisori, alla contumacia del J. né ad arbitrario diniego di rilievo alle sopravvenienze, ma al mancato rispetto delle regole processuali sui tempi di proposizione della domanda giudiziaria ed in particolare limitate alla declaratoria in rito dell’inammissibilità della pretesa modifica riduttiva dell’apporto paterno, in quanto tardivamente proposta nella seconda fase di reclamo, e non nella prima in cui il J. non si era costituito. Per altra parte le censure s’incentrano del pari inammissibilmente sul mancato esercizio di poteri officiosi, anche d’indole istruttoria, da parte dei giudici di merito e ciò al fine della pretesa riduzione della misura dell’assegno paterno di mantenimento ed in funzione del preminente interesse del minore, certo non ravvisabile nel contenimento d’ufficio dello statuito apporto. frutto di insindacabile pregressa valutazione delle esigenze fondamentali del bambino, oltre che di rinnovata verifica officiosa di non sopravvenuta insufficienza del già determinato importo. 2. Nullità del decreto della Corte d’Appello di Bologna di cui al n. 240/2014 r.v.g. ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione degli artt.li 91 e 132 c.p.c., degli affili 4. comma 1 e comma 5 e 5 D.M. 10 marzo 2014 n. 55, nonché per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13, comma 1 quater D.P.R. n. 115/2002, come mod. dall’art. 1, comma 17, legge 228/2012 . Il motivo è infondato per la parte inerente alla statuizione di condanna del J.I.W.M. al pagamento, in favore della controparte vittoriosa, delle spese processuali del disatteso reclamo, per la cui liquidazione la Corte di merito ha applicato i nuovi parametri del DM n. 55 del 2014 ed in base ad essi irreprensibilmente adeguato l’attribuito compenso al valore del definito procedimento camerale di natura contenziosa, tenendo anche logicamente conto del pregio dell’attività giudiziale prestata dal difensore della B. . Il medesimo secondo motivo va invece accolto relativamente alla censura incentrata sull’attestazione della debenza del contributo unificato raddoppiato, che con decisione nel merito va elisa, trattandosi di causa in materia di assegno per il mantenimento della prole e, perciò, di causa esente dal contributo in questione ai sensi dell’art. 10 del DPR n, 115 del 2002. Non deve statuirsi sulle spese del giudizio di legittimità, dato il relativo esito, il rilievo che la B. vittoriosa non ha svolto difese e l’irripetibilità di quelle eccedenti il rapporto processuale con l’intimata. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo del ricorso e le censure dei secondo motivo relative alla condanna del J.I.W.M. al pagamento delle spese processuali del reclamo accoglie l’ulteriore censura sull’attestazione della debenza del contributo unificato raddoppiato, attestazione che con decisione nel merito elide. Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.Lgs n. 196 del 2003, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.