Sì all’adozione del minore se non si è in grado di offrirgli uno stabile progetto di vita

In tema di adozione di minori d'età, sussiste la situazione di abbandono quando la situazione familiare è tale da compromettere in maniera grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato non in astratto ma in concreto, cioè in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità.

In questo senso si è espressa la S.C. con la sentenza n. 17945/16, depositata il 13 settembre. Il caso. Il Tribunale per i Minorenni dell’Emilia Romagna dichiarava, nel 2011, lo stato di adottabilità di due bambine, dopo avere accertato lo stato di abbandono in cui versavano. La procedura di adottabilità era stata avviata, nel 2009, su ricorso del Pubblico Ministero ed era stata originata da un procedimento di volontaria giurisdizione -cominciato anni prima - che aveva portato, prima, alla collocazione etero-familiare delle due bambine e, successivamente, alla declaratoria di decadenza della potestà genitoriale. Infatti, era emerso una situazione di degrado morale e materiale nella quale vivevano le minori, nonché diversi episodi di abusi sessuali e violenze perpetrate ai loro danni dal padre. Il Tribunale per i Minorenni accertava che il padre era recluso in carcere per scontare la pena detentiva conseguente ai reati commessi in danno delle figlie e che la madre, dopo i primi due anni, aveva interrotto i rapporti con le figlie e intrapreso una relazione sentimentale con un altro uomo, dalla quale era nato un altro bambino, dato poi in adozione. Avverso la sentenza di primo grado la mamma delle minori presentava ricorso alla Corte di Appello di Bologna che, nel 2012, lo respingeva. La donna, allora, ricorreva in Cassazione avverso la decisione del giudice di secondo grado. I giudici della legittimità si pronunciavano con ordinanza cassando l’impugnata pronuncia con rinvio alla stessa Corte di Appello di Bologna. La mamma delle bambine riassumeva, pertanto, il giudizio di appello, insistendo per la riforma della sentenza emessa in primo grado, ribadendo la sua volontà di voler riprendere i rapporti con le figlie, nel frattempo amorevolmente accudite, curate ed educate da una famiglia affidataria. La donna si era limitata ad affermare che non aveva avuto contezza degli abusi perpetrati dal marito ai danni delle bambine, evidenziando, in tal modo, ad avviso del giudicante, la propria inadeguatezza come madre - nel non sapersi rendere conto delle condizioni di grave e pesante disagio nelle quali vivevano le figlie - e, dunque, la sua assoluta incapacità genitoriale. Il Comune di Modena, nella qualità di tutore provvisorio delle due minori, chiedeva il rigetto della domanda mentre il padre delle bambine restava contumace. Nel 2015 la Corte di Appello di Bologna, giudice del rinvio, dopo aver ascoltato le minori e aver consentito l’accesso agli atti secretati del fascicolo d’ufficio relativo al primo grado di giudizio, si pronunciava con sentenza respingendo l’appello presentato ritualmente dalla donna avverso la decisione emessa in primo grado dal Tribunale per i Minorenni dell’Emilia Romagna. La donna, pertanto, proponeva ricorso per Cassazione. Stato di abbandono. In tema di adozione di minori d'età, secondo l’orientamento dei giudici della legittimità sussiste la situazione di abbandono quando la situazione familiare è tale da compromettere in maniera grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato non in astratto ma in concreto, cioè in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità. Pertanto, una mera espressione di volontà dei genitori di accudire il minore, in mancanza di concreti riscontri, non è idonea al superamento della situazione di abbandono. Nel caso de quo, la mamma delle bambine ribadiva la volontà di riprendere i rapporti con le figlie che, a suo dire, erano stati ostacolati dalla presenza dei Servizi Sociali. In realtà, si era evidenziato, durante il procedimento, la sua totale mancanza di consapevolezza e di elaborazione, anche a distanza di anni, dei fatti accaduti e delle gravissime conseguenze che questi avevano determinato nelle figlie, le quali, soltanto grazie alle cure amorevoli della coppia di affidatari e delle cure psichiche cui erano sottoposte, avevano cominciato ad affrontare i gravi traumi vissuti nell’infanzia. Conclusioni. La Prima Sezione civile della Suprema Corte, con la sentenza n. 17945, ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato dalla donna, relativamente alla più grande delle figlie, essendo questa, nelle more del giudizio, divenuta maggiorenne. Infatti, con il raggiungimento della maggiore età il procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore si estingue per cessazione dalla materia del contendere e la relativa dichiarazione può essere effettuata anche dalla Corte di Cassazione quando il giudizio pende in sede di legittimità. Con riferimento, invece, all’altra figlia, i giudici della legittimità hanno respinto il ricorso. Considerata la natura dei rapporti controversi e la peculiarità della vicenda, essi hanno compensato interamente le spese ripartendole tra la ricorrente e il controricorrente, tutore provvisorio delle minori.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 giugno – 13 settembre 2016, numero 17945 Presidente Di Palma – Relatore Giancola Svolgimento del processo Con sentenza numero 157 del 12-24.01.2012 la Corte di appello di Bologna respingeva il gravame proposto da V.C. avverso la sentenza numero 178 del 27.06 5.07201 l con cui il Tribunale per i Minorenni dell’Emilia Romagna aveva dichiarato lo stato di adottabilità delle sue figlie minori C.R. nata il -omissis e F. nata il -omissis . La V. ricorreva avverso la sentenza d’appello e questa Corte di legittimità, con ordinanza numero 14367 in data 5-6.06.2013, cassava l’impugnata pronuncia con rinvio alla medesima Corte di Bologna, anche affermando il principio di diritto secondo cui In tema di adozione di minori, l’art. 10, secondo comma, della legge 4 maggio 1983 numero 184, come novellato dalla legge 28 marzo 2001. numero 149, dispone che le parti e i loro difensori possano partecipare a tutti gli accertamenti disposti dal tribunale, presentare istanze istruttorie, prendere visione ed estrarre copia degli atti del fascicolo, previa autorizzazione del giudice. Ne consegue che, potendo l’autorizzazione essere negata, deve ritenersi ammissibile la secretazione degli atti, fermo restando che tale scelta ha carattere eccezionale e temporaneo e che, ai fini della decisione finale, il giudice non può tenere conto dei documenti che non siano stati esaminati almeno dopo la chiusura dell’istruttoria dalla parte al fine di apprestare le opportune difese . La Vincilo riassumeva ritualmente il giudizio di appello e insisteva per la dichiarazione di nullità e comunque per la riforma della sentenza di primo grado. Il Comune di Modena, quale tutore provvisorio delle minori C.R. e F. , chiedeva il rigetto del gravame. C.M. , padre delle minori, rimaneva contumace. Con sentenza del 14.05-9.06.2015 la Corte di Bologna, giudice del rinvio, respingeva l’appello della V. avverso la sentenza numero 178/2011 del Tribunale per in Minorenni dell’Emilia Romagna, dopo avere ascoltato le minori e consentito l’accesso agli atti secretati del fascicolo d’ufficio relativo al giudizio di primo grado ad eccezione di quelli contenenti riferimenti al luogo ove vivevano ed avevano vissuto C.F. e R. , ed ai dati identificativi degli affidatari . La Corte territoriale premetteva che sussisteva il dedotto vizio di nullità della sentenza di primo grado, ma trattandosi di violazione non rientrante tra i casi tassativi di rimessione della causa la primo Giudice artt. 353, 354 c.p.c. , considerato l’effetto sostitutivo della sentenza d’appello, ed il principio secondo cui le nullità delle sentenze appellabili si convertono in motivi di impugnazione, era investita del merito del gravame avendo provveduto a sanare il vizio dedotto ed autorizzato la V. ad esaminare gli atti e ad estrarne copia. con limitazione della secretazione la procedura di adottabilità era stata avviata, su ricorso del PM, il 23.6.2009 ed aveva preso origine da un procedimento di volontaria giurisdizione iniziato nel 2001 che aveva condotto, dopo circa un anno, alla collocazione etero-familiare delle due minori allora dell’età di cinque e due armi e poi, nel 2004, alla declaratoria di decadenza dalla potestà dei due genitori, essendo emersi, oltre alla situazione di degrado morale e materiale nella quale vivevano le bambine, anche diversi episodi di abusi sessuali e di violenze perpetrate in loro danno dal padre. In punto di fatto, il Tribunale aveva accertato che il padre si trovava ristretto in carcere per scontare la pena detentiva conseguente ai reati commessi in danno delle figlie la madre, dopo i primi due anni, aveva interrotto ogni rapporto con le bambine ed intrapreso una relazione con un altro uomo, dal quale aveva avuto un figlio, che era stato, a sua volta, adottato. La famiglia affidataria si occupava delle minori amorevolmente, curandole ed educandole e provvedendo a fornire loro le cure necessarie a superare i traumi conseguenti alle violenze subite ed allo stato di abbandono nel quale avevano vissuto. Nel corso dell’istruttoria il padre non era comparso la madre aveva dichiarato di voler riprendere i rapporti con le figlie. avendo reperito un’abitazione adeguata dove viveva con il suo nuovo compagno, ma tali dichiarazioni, oltre ad essere tardive, non smentivano l’inadeguatezza genitoriale della V. la quale non aveva saputo rendersi conto delle violenze che il suo ex marito C.M. aveva posto in essere in danno delle figlie e nemmeno si era accorta del pesantissimo disagio che detta condotta aveva loro cagionato tra l’altro, la donna aveva ulteriormente errato nelle scelte di vita, dando luogo ad una nuova unione dalla quale era nato un bambino a sua volta dichiarato in stato di adottabilità e poi adottato. I parenti paterni non erano mai stati conosciuti dalle minori e neppure avevano mostrato interesse nei loro confronti. Le zie e gli zii materni, con i quali le bambine avevano convissuto fino al momento dell’allontanamento, non avevano mai chiesto di vederle né si erano interessati della loro condizione. Sulla base di tali considerazioni il Tribunale, ravvisato lo stato di abbandono in cui versavano C.R. e F. , le aveva dichiarate adottabili ritenendo provato che la condotta tenuta dai genitori non potesse più offrire alcuna garanzia rispetto alle esigenze di tutela, di accudimento e di educazione delle minori le cui sofferenze avevano reso necessari trattamenti terapeutici ancora in corso la V.C. , nel riassumere il giudizio di appello aveva puntualmente ribadito le doglianze già esposte. Aveva lamentato, in particolare, che i Servizi Sociali erano rimasti indifferenti rispetto al suo diritto di conservare il proprio nucleo familiare e che non era stata lei a disinteressarsi della sorte delle proprie figlie. ma erano stati i Servizi ad impedirle ogni contatto e la possibilità di avere anche soltanto dei colloqui con le minori aveva sostenuto di avere reperito una occupazione lavorativa stabile che con il tempo le avrebbe permesso di conseguire un reddito sufficiente a mantenere sé stessa e le proprie figlie affermato che. anche nel passato, non aveva mai mostrato un disinteresse nei confronti della prole ed era stata impedita a trovare un’occupazione in quanto obbligata a rimanere in casa per accudirla sostenuto di aver trovato un alloggio adeguato ad ospitare R. e F. vivendo, da anni, con un compagno stabile dal quale aveva avuto un altro figlio che sarebbe stato disposto ad accogliere le sue bambine, insistito nelle sue difese, ribadito di non essere responsabile delle violenze subite dalle figlie e di averne avuto conoscenza solo successivamente all’inizio del procedimento penale contro il C. dal quale si era separata giudizialmente ottenendo lo scioglimento dal matrimonio con sentenza del Tribunale di Modena del 5.7.2007 affermato di aver subito un abbandono da parte dei servizi sociali , di non essersi disinteressata delle figlie e contestato che le stesse versassero in uno stato di abbandono irreversibile. Aveva anche lamentato che gli incontri con R. e F. erano stati interrotti unilateralmente dai Servizi Sociali perché ritenuti disturbanti senza che fossero chiariti i fatti posti a fondamento di tale valutazione rilevato, altresì, che R. , la maggiore delle sue figlie. nel corso della disposta audizione aveva manifestato la volontà di conservare il suo cognome, il che sarebbe stato indice del desiderio di conservare un legame con la famiglia d’origine e concluso, quindi, per la revoca del dichiarato stato di adottabilità con ripresa delle sue frequentazioni con le bambine. Tanto anche premesso la Corte del rinvio osservava e riteneva che la V. si era limitata a ribadire di non avere avuto contezza degli abusi sessuali, dei maltrattamenti e delle violenze perpetrati dal C. in danno delle sue figlie minori. senza però censurare la sentenza nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto che tale assedia inconsapevolezza fosse indice di una gravissima inadeguatezza di essa V. che non ha saputo rendersi conto della condizione di pesantissimo disagio nella quali vivevano i figli le cui conseguenze sono tuttora ben presenti nella loro crescita . E tale valutazione, anche a prescindere dall’assenza di specifici rilievi, non poteva che essere condivisa essendo sintomo di assoluta incapacità genitoriale il fiuto che la V. non avesse avvertito la pericolosità della figura paterna che aveva reso necessario sottoporre R. e F. , per lunghi anni, a trattamenti psicoterapeutici per esiti post traumatici incubi, fobie, difficoltà di attenzione e concentrazione, difficoltà di relazione con adulti ed estranei v. rel. 28.4.2011 del Comune di Modena la V. , pur riconoscendo la situazione di estremo degrado in cui erano vissute le sue figlie fino al momento dell’allontanamento la più grande delle due bambine aveva dovuto far ricorso, tra l’altro, a cure odontoiatriche per poter recuperare l’uso corretto della masticazione R. a quattro anni non masticava ancora ed era alimentata con cibi dati alla sorellina più piccola v. rel. Comune di Modena 15.11.2011 , continuava a sostenere di essere disposta ad accoglierle nella casa in cui viveva con M.R. con il quale si era sposata ed aveva avuto un quarto figlio, v. ultima rel. d’aggiornamento del Comune di Modena del 29.4.2015 senza, però, ancora una volta, censurare l’impugnata sentenza nella parte in cui il Tribunale aveva attribuito valenza negativa all’inizio di tale nuova relazione. Il bambino avuto dalla coppia era stato, infatti, a sua volta adottato e tale circostanza, secondo il condivisibile giudizio del primo Giudice, dimostrava come l’incapacità dell’appellante di assicurare alla prole la necessaria assistenza e cura a livello materiale e morale non fosse assolutamente venuta meno a seguito dell’instaurazione di quella relazione stabile con il nuovo compagno che, a suo dire. avrebbe dovuto costituire una delle ragioni di ripresa della convivenza con le due figlie l’appellante non poteva dolersi di essere stata abbandonata dai Servizi Sociali. Come si evinceva dalla relazione del Comune di Modena del 18.2.2015, sino alla primavera del 2002 sono stati svolti intensi e costanti interventi sociali, educativi e psicologici, in collaborazione con la scuola e la neuropsichiatria infantile, nel tentativo di supportare i genitori in un radicale cambiamento dello stile di vita e di accudimento dei minori gli aiuti e gli interventi attuati dai SS erano stati puntualmente descritti, all’udienza del 26.2.2105, anche dalla psicologa dott.ssa B.A. la quale aveva ribadito che a nulla erano valsi i molteplici tentativi di recuperare le capacità genitoriali della madre non avendo, la stessa, messo in atti tutti i consigli che i diversi operatori le davano le bambine si presentavano, alla mattina, sporche anche la loro capacità di alimentazione non era curata. Si fa presente che nell’abitazione non c’erano asciugamani, saponi e lenzuola, tant’è che il Servizio ha provveduto ad acquistarli . Nella relazione del Comune di Modena del 31.10.2002 si dava atto della mancata puntuale partecipazione della V. agli incontri programmati con le figlie nel 2004 erano state sospese le visite protette tra la V. , le sue bambine e Giorgio il maggiore dei tre figli avuti dal C. , stante -l’inadeguatezza della figura materna v. rel. Comune di Modena 16.4.2010 e, sempre dal 2004, la V. non aveva avuto più contatti con il Servizio Sociale per sua scelta , da quando era stato allontanato il quarto figlio, poi adottato v. ultima rel. d’agg. 29.4.2015 . E tali risultanze smentivano le accuse di disinteresse e di abbandono avanzate dall’appellante risultando. invece, provata l’opera di assiduo supporto posta in essere dai Servizi nel vano tentativo di superare le gravi criticità del nucleo familiare. La dott.ssa B. , all’udienza del 26.2.2015, aveva anche riferito che le bambine, pur non rifiutandosi di vedere la madre. dopo gli incontri esprimevano il loro disagio attraverso dei sintomi quali brutti sogni, enuresi notturna, pianti apparentemente immotivati , e che la verificata impossibilità di favorire una relazione positiva portò ad interrompere gli incontri protetti. Erano state, dunque, sufficientemente chiarite le ragioni per le quali la psicologa dott.ssa Q. , nella sua relazione del 18.2.2015, aveva definito disturbanti” gli incontri madre/figlie della cui sospensione la V. pure si doleva dati gli acquisiti elementi di giudizio correttamente, dunque, il Tribunale aveva accertato la sussistenza dello stato di abbandono delle minori R. e F. C. , avendo la Suprema Corte chiarito che in tema di adozione di minori d’età, lo stesso era ravvisabile qualora la situazione familiare fosse tale da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato non in astratto ma in concreto, cioè in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità a nulla rilevando, in mancanza di concreti positivi riscontri, una mera espressione di volontà dei genitori di accudire la prole v, tra le altre Cass. numero 4545/2010 numero 16280/2014 . E che la V. non fosse in grado di offrire alle sue figlie un progetto stabile di vita e di far fronte alle loro esigenze materiali, morali, affettive ed educative, trovava conferma nell’ultima relazione della dott.ssa Q. del 29.4.2015 all’esito dell’incontro avuto con l’appellante Colpisce la totale mancanza di consapevolezza e di elaborazione, anche a distanza di anni, dei fatti accaduti e delle gravissime conseguenze che questi. unitamente al degrado totale e agli enormi limiti genitoriali, hanno determinato nelle figlie. Una posizione, quella della sig.ra V. , talmente rigida e chiusa ad ogni riflessione, così fermamente accusatoria nei confronti dei vari contesti istituzionale e così carica di rancore nei confronti del figlio maggiore rancore velatamente emerso anche nei confronti di R. , quando la signora è stata informata che anche lei aveva raccontato episodi di abuso che inevitabilmente chiude ogni prospettiva circa la possibilità di un incontro futuro tra le due ragazze e la sig.ra V. che, almeno ad oggi, non pare minimamente in grado di poter accogliere tutto il vissuto di dolore e le enormi fatiche che stanno facendo per superarlo come evidenziato dai Servizi, e rilevato nell’appellata sentenza, le minori dal 2002 vivevano con la coppia di affidatari, e le cure e le attenzioni ricevute, la sensibilità e la disponibilità dimostrate dalla nuova famiglia avevano consentito loro di affrontare gradualmente i gravi traumi vissuti nell’infanzia. Le cure anche psichiche a cui erano state sottoposte avevano migliorato la loro condizione, pur a fronte di un percorso ancora lungo e impegnativo. Le minori risultavano perfettamente inserite nel nuovo contesto sociale e familiare R. e F. si trovano molto bene nella famiglia affidataria, di cui si sentono parte a tutti gli effetti. Hanno un ottimo rapporto con i genitori affidatari con cui hanno un dialogo aperto e costruttivo e da cui si sentono protette e supportate Sono state informate della domanda di adozione presentata dagli affidatari 4 anni fa e hanno espresso il proprio consenso. v. rel. d’agg. Comune di Modena 18.2.2015 . E che R. e F. considerassero la famiglia affidataria come la propria, dalla quale si sentivano amate e protette, lo si desumeva chiaramente dalle dichiarazioni da loro rese all’udienza del 26.2.2015 non deponendo, certo, in senso contrario il fatto che F. avesse manifestato la volontà di mantenere il cognome C. perché quello è l’inizio della mia vita . Considerata la situazione di serenità e benessere in cui vivevano le minori, chiaramente emergente dagli atti, non poteva che ritenersi, come già esposto in sentenza, che un eventuale distacco dalla famiglia che le aveva accolte sin dal 2002 avrebbe cagionato loro un gravissimo pregiudizio, incidendo in modo irreparabile sulla loro formazione, sulle esigenze educative e affettive connesse alla loro crescita. Avverso questa sentenza notificata il 9.06.2015 la V. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e notificato il 3/6/7/8/9.07.2015 a C.M. , al SS Area Minori del Comune di Modena ed al PG % la Corte a qua , che non hanno svolto difese, nonché al PG presso questa Corte ed al Sindaco del Comune di Modena, quale tutore provvisorio delle minori, che il 21.09.2015 ha resistito con controricorso. Motivi della decisione A sostegno del ricorso la V. denunzia 1. Ex art. 360 comma 1 numero 3 c.p.c. Violazione o falsa applicazione delle norme della legge numero 184 del 1983. 2. Ex art. 360 comma I numero 3 c.p.c. Violazione o falsa applicazione delle norme della legge numero 184 del 1983”. In primo luogo va rilevata l’inammissibilità del ricorso con riguardo alla maggiore delle due figlie della ricorrente, ossia C.R. , che essendo nata il 7 ottobre 1997 è ormai divenuta maggiorenne art. 20 legge numero 184 del 1983. In tema cfr Cass. numero 4050 del 1993 . Relativamente, invece, a F. C. i due motivi del ricorso, suscettibili di esame unitario, non hanno pregio. Con essi la V. essenzialmente reitera le doglianze che la Corte del rinvio ha già argomentatamente disatteso, tenendo pure presente l’esito della compiuta audizione delle figlie della ricorrente. In particolare, la declaratoria dello stato di abbandono della minore F. . adottata dalla Corte del rinvio, si rivela aderente al dettato normativo e fondata su ragioni puntuali, logiche ed esaurienti, dunque legittima. Le valutazioni anche prognostiche sia d’inadeguatezza materna in rapporto alla necessità di sorvegliare, educare e prestare assistenza morale, cure ed accudimenti materiali alla prole, inadeguatezza intesa nel senso voluto dalla legge, scevro da intenti sanzionatori o da verbali ed inaffidabili disponibilità, e sia di non evincibile capacità a porvi rimedio, nonostante l’intenso e prolungato apporto ricevuto dai servizi sociali ed evidenziato anche dal contenuto delle acquisite, numerose relazioni, richiamate nella pronuncia ed inerenti agli accadimenti avvenuti nel tempo decorso dall’inizio delle vicende, databile al 2001, appaiono coerenti con le emerse ed esaminate risultanze, e segnatamente con il riscontro delle pregresse condizioni di vita del nucleo familiare dal quale nel 2002 si era dovuto allontanare le figlie per subiti abusi e violenze, nonché con la tipologia, risalenza, persistenza e non evincibile transitorietà delle carenze sofferte dalla V. , dati tutti nel loro complesso atti a creare oggettivo grave pregiudizio per la salute, lo sviluppo e l’equilibrio psichico della minore e che non avrebbero neanche potuto ragionevolmente giustificare diversa e positiva prognosi con riguardo a tempi ristretti di recupero di capacità e progettualità genitoriali. D’altra parte i giudici d’appello non hanno mancato di verificare con esito peraltro negativo pag. 5 della sentenza , l’eventuale presenza di altre risorse parentali, disponibili ed atte, in ragione anche dei contegni tenuti rispetto alla minore, a vicariare e/o sostenere i genitori. Per il resto le censure che la ricorrente propone si risolvono in rilievi critici, o smentiti dal tenore dell’impugnata sentenza o generici. assiomatici e privi di autosufficienza, essenzialmente appuntati sull’iter argomentativo della stessa pronuncia, come tali inammissibili. anche considerando i limiti che la nuova formulazione dell’art. 360 numero 5 c.p.c. nella specie applicabile ratione temparis , pone alla deduzione in questa sede di tale tipologia di vizi in tema cfr Cass. SU numero 8053 del 2014 Cass. nnumero 5133, 7983, 12928 e 13911 del 2014 . Infine si rivela inammissibile l’istanza di correzione/integrazione dell’impugnata sentenza. da rivolgere semmai alla Corte di merito che in tesi sarebbe incorsa nella dedotta omissione. Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nei confronti di C.R. e respinto nei confronti di F. C. . La natura dei rapporti controversi e le peculiarità della vicenda giustificano la compensazione per intero delle spese di legittimità tra la V. ed il controricorrente tutore provvisorio. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile rispetto a C.R. e lo respinge relativamente a F. C. . Compensa per intero le spese del giudizio di legittimità tra la ricorrente V. ed il controricorrente tutore provvisorio delle minori. Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.Lgs numero 196 del 2003, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.