Sospensione feriale: il termine per la domanda di disconoscimento della paternità non fa eccezione

Al termine di decadenza annuale prescritto, ai sensi dell’art. 244 c.c., per la presentazione della domanda di disconoscimento della paternità naturale, deve essere applicata la sospensione per il periodo feriale, prevista dall’art. 1 della l. n. 742/1969.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1868/2016, depositata l’1 febbraio scorso. Il caso. La Corte d’Appello di Lecce rigettava la domanda di gravame proposta da una donna, e dalla figlia, avverso la pronuncia con cui il Tribunale di prime cure aveva accolto la domanda di disconoscimento della paternità da parte, rispettivamente, dell’ ex marito e padre, delle appellanti. In particolare, quest’ultimo aveva adito il Tribunale per ottenere il disconoscimento della paternità della figlia, in quanto era venuto a conoscenza dalla stessa di non esserne il padre biologico. Le soccombenti ricorrevano per cassazione, lamentando violazione dell’art. 244 c.c. e sottolineando come la Corte territoriale avesse ritenuto che l’azione di disconoscimento della paternità fosse stata proposta rispettando il termine annuale, previsto dalla suddetta norma, basandosi sul presupposto dell’applicabilità della sospensione feriale del termine annuale. La sospensione per il periodo feriale è applicabile all’art. 244 c.c La Suprema Corte ha affermato che, anche al termine di decadenza annuale prescritto per la presentazione della domanda di disconoscimento della paternità naturale, deve essere applicata la sospensione per il periodo feriale, prevista dall’art. 1 della l. n. 742/1969. Gli Ermellini, a supporto di quanto sopra precisato, hanno posto in rilievo l’insegnamento della Consulta, secondo cui la disciplina della sospensione per il periodo feriale è applicabile ai termini di decadenza previsti da leggi sostanziali, aventi però anche rilevanza processuale come nel caso dell’art. 244 c.c. . Presupposto di quanto sopra è, a parere del Collegio, che l’azione in giudizio integri, per l’interessato che debba munirsi di una difesa tecnica, il solo rimedio atto a far valere un proprio diritto. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 4 novembre 2015 – 1 febbraio 2016, n. 1868 Presidente Di Palma – Relatore Lamorgese Svolgimento del processo Con citazione notificata il 1 agosto 2006, L.C. convenne in giudizio C.A.F. , con la quale aveva contratto matrimonio il omissis , per far disconoscere la paternità della figlia D. , nata il omissis , prima che dal matrimonio fossero trascorsi 180 giorni, essendo venuto a conoscenza, tramite la figlia, nell'agosto 2005 dopo la separazione dalla moglie intervenuta nel novembre 1999 , di non essere il padre biologico, in occasione di un esame del sangue, al quale si era sottoposta per un intervento chirurgico. La C. e L.D. , costituite nel giudizio, eccepirono l'inammissibilità dell'azione, per mancanza di prova del rispetto del termine annuale previsto dall'art. 244 c.c. per la proposizione dell'azione, a decorrere dal momento in cui l'attore assumeva di essere venuto a conoscenza di non essere padre di D. , e la infondatezza della stessa. Il Tribunale di Lecce rigettò l'eccezione preliminare di inammissibilità della domanda e la accolse nel merito, valorizzando il comportamento di L.D. , la quale si era sottratta alla c.t.u. emogenetica per tre volte non si era presentata alle convocazioni effettuate dal consulente , e la circostanza che le convenute mai avevano affermato in modo chiaro che D. fosse figlia di L.C. . Il gravame di C.A.F. e L.D. è stato rigettato dalla Corte d'appello di Lecce, con sentenza 13 marzo 2013, la quale ha ritenuto che la versione del L. fosse credibile e che, comunque, anche ipotizzando che la conoscenza della non paternità fosse avvenuta già alla fine del mese di giugno 2005, il termine annuale era stato rispettato, tenendo conto della sospensione feriale dei termini. Avverso la predetta sentenza le interessate hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, notificato anche alla Procura generale presso la corte d'appello di Lecce, cui si è opposto il L. . Motivi della decisione Il primo motivo sub A del ricorso denuncia violazione dell'art. 233 c.c. e consiste nella riproduzione di una massima giurisprudenziale tratta dalla sentenza n. 12211 del 1990 . Il motivo è inammissibile. Esso si risolve nella mera riproduzione di una massima tratta da una sentenza di questa Corte, in tema di interpretazione dell'art. 233 c.c. abrogato dall'art. 106, comma 1, lett. a, del d.lgs. 28 dicembre 2013 n. 154 , sullo status del figlio nato prima che siano decorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio, senza alcun riferimento alla fattispecie e senza alcuna espressa censura alla sentenza impugnata. Il secondo motivo sub B denuncia violazione dell'art. 244 c.c., per avere la Corte d'appello ritenuto che l'azione di disconoscimento di paternità fosse stata proposta rispettando il termine annuale, sulla base dell'erroneo presupposto dell'applicabilità della sospensione feriale del termine annuale. Il motivo è infondato. La giurisprudenza di legittimità v. Cass. 6874/1999, 8567/1991 , superando il diverso orientamento espresso dalla sentenza n. 2468 del 1975 citata dal ricorrente, ha ritenuto che anche al termine di decadenza annuale previsto per la presentazione della domanda di disconoscimento della paternità naturale si applichi la sospensione per il periodo feriale di cui all'art. 1 della legge 742/69. Infatti, in conformità con l'insegnamento della Corte costituzionale v., tra le altre, n. 255/1987 e n. 52/2014 , la disciplina della sospensione di cui alla citata legge n. 742/1969 è applicabile ai termini di decadenza previsti da leggi sostanziali ma aventi anche rilevanza processuale, quale quello previsto dall'art. 244 c.c. sostituito dall'art. 18 d.lgs. n. 154/2013 , allorché la possibilità di agire in giudizio costituisca, per il titolare che deve munirsi di una difesa tecnica, l'unico rimedio idoneo a far valere il suo diritto, senza che spieghi influenza la circostanza della maggiore o minor brevità del termine di decadenza di volta in volta sancito dalla legge per la proposizione dell'azione. Quest'orientamento è condivisibile e non vi sono ragioni, neppure addotte dal ricorrente, per discostarsene. Il terzo motivo sub C denuncia violazione dell'art. 2697 c.c., per avere ritenuto rispettato il termine decadenziale previsto per la proposizione dell'azione di disconoscimento, senza che l'attore avesse dimostrato in quale data aveva appreso che la figlia D. si era sottoposta all'esame del sangue e per quale motivo l'aveva fatto. Il motivo è inammissibile. Viene in rilievo la questione del momento in cui il L. ha avuto conoscenza della non paternità, prospettata esclusivamente in via di fatto e, in quanto tale, censurabile - ma non censurata - sotto il profilo del vizio di motivazione, a norma dell'art. 360 n. 5 c.p.c., nel testo sostituito dall'art. 54, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134. Il quarto motivo sub D , nel quale le ricorrenti deducono la mancanza di prova della fondatezza della domanda, è inammissibile, essendo privo di specifiche censure sul piano della legittimità e della motivazione e risolvendosi in un'istanza di revisione del giudizio di merito. In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna le ricorrenti alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4200,00, di cui Euro 4000,00 per compensi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Si da atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.