La dichiarazione di adottabilità è estrema ratio

La dichiarazione di adottabilità è un’ingerenza delle autorità nazionali nell’esercizio del diritto al rispetto della vita famigliare e come tale è un’extrema ratio.

Con l’interessante pronuncia n. 25527, depositata il 18 dicembre 2015, resa dalla Suprema Corte in tema di dichiarazione di adottabilità dei minori, i Giudici di legittimità hanno cassato con rinvio la sentenza impugnata, emessa in violazione non solo della l. n. 184/1983 ma anche dell’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali. Il caso. Accertato lo stato di abbandono dei minori, rilevato che gli stessi erano in condizioni di fragilità e deprivazione, valutata l’inidoneità dei genitori data l’assistenza materiale e morale non transitoria, il Tribunale per i Minorenni e la Corte d’appello in secondo grado dichiaravano l’adottabilità dei minori. Due i motivi di diritto del ricorso in Cassazione per i genitori privati della responsabilità genitoriale. Il primo, violazione e falsa applicazione della l. n. 184/1983 in tema di adozione per non aver rispettato il diritto dei minori ad essere educati nell’ambito della propria famiglia d’origine a causa dell’erronea sussistenza dello stato di abbandono. Il secondo, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in ordine alle risultanze della CTU che aveva accertato i progressi, l’impegno posto dai genitori ed il loro rapporto con i figli. Sul punto, i genitori lamentano che la Corte d’appello ha omesso qualsivoglia osservazione alla CTU. La rilevanza dei fatti sopravvenuti. La Suprema Corte ritiene fondati entrambi i motivi di ricorso. Il fondamento dell’adottabilità, spiegano i Giudici, consiste in una situazione del minore non transeunte e non suscettibile di essere superata. Per questo è necessario dare rilevanza alla sopravvenienza, rispetto ad un provvedimento originario, di un atteggiamento delle figure genitoriali che dimostri la seria disponibilità a prestare quella assistenza morale e materiale richiesta dalla legge per scongiurare una pronuncia di adottabilità. L’omessa valutazione della CTU. Hanno errato i giudici di merito a non accertare in concreto la disponibilità e l’idoneità di entrambi i genitori avendo omesso totalmente di esaminare la CTU e di riferirne il contenuto in sentenza. Il diritto di crescere nella propria famiglia. Da un lato la l. n. 184/1983 tutela il diritto del minore a crescere nell’ambito della propria famiglia d’origine, dall’altro, impone un obbligo in capo al giudice di verificare se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare onde ricorrere all’adozione in extrema ratio . La violazione dell’art. 8 CEDU. Secondo la Corte di Cassazione, non solo la sentenza impugnata contrasta con le norme nazionali ma anche con l’art. 8 della Cedu che tutela il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare e vieta ogni ingerenza di tale diritto, a meno che quest’ultima non sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. La dichiarazione di adottabilità come un’ingerenza. I giudici nazionali ricordano l’interpretazione resa dalla Corte Edu in tema di adozione nel senso che, prima di giungere alla dichiarazione di adottabilità di un minore, sussiste un obbligo delle autorità nazionali di adottare tutte le misure necessarie e appropriate affinchè il minore stesso possa condurre una vita famigliare normale all’interno della propria famiglia. Se non soddisfa i requisiti dettati dall’art. 8 Cedu, la dichiarazione di adottabilità dei minori è un’ingerenza nell’esercizio del diritto al rispetto della vita famigliare. Conseguentemente, dall’art. 8 Cedu discende il diritto dei genitori ad ottenere misure idonee a riunirlo al figlio e l’obbligo per le autorità nazionali di adottarle.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 25 novembre – 18 dicembre 2015, n. 25527 Presidente Forte – Relatore Didone Ragioni in fatto e in diritto della decisione 1.- Con la sentenza impugnata depositata in data 13.11.2014 la Corte di appello di Catania ha confermato la decisione del Tribunale per i minorenni con la quale è stato dichiarato lo stato di adottabilità dei minori L.R. , E. e A. - figli di L.G. e A.M.C. - nonché della minore R.M. - figlia dell'A. e di R.G. , respingendo l'appello proposto dal L. e dalla madre dei minori. In sintesi, la corte di merito, accertato lo stato di abbandono dei minori, ha rilevato che erano state tentate diverse strategie per consentire il recupero di una adeguata condizione di vita familiare e che non si erano avuti effetti postivi, che tutti bambini alla cui tutela si doveva provvedere erano in condizione di particolare fragilità e deprivazione ed altrettanto fragili e scarsamente capaci apparivano gli appellanti, per non dire del padre di M. , R.G. , che aveva mostrato assoluto disinteresse ai procedimento. Nel caso concreto la privazione della assistenza materiale e morale non poteva ritenersi transitoria ed emendabile e non restava che cercare una nuova famiglia, che potesse consentire di attuare i diritti di M. , R.E. ed A. a crescere serenamente, a ricevere cura, educazione, istruzione ed assistenza morale. 1.1.- Contro la sentenza di appello il L. e la madre dei minori hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resiste con controricorso la tutrice dei minori mentre non ha svolto difese l'intimato R.G. . 2.- Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di norme di diritto artt. 1, 8, 10 e 12 l. n. 184/1983 per non aver rispettato il diritto dei minori ad essere educati nell'ambito della propria famiglia di origine a causa dell'erronea sussistenza dello stato di abbandono”. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c., in ordine ai progressi ed all'impegno posto dai genitori A.M.C. e L. e alla valutazione del rapporto genitoriale ed alla rilevanza probatoria della consulenza tecnica redatta dalla Dott.ssa Ar.An.Ma. relazione di consulenza neppure indicata fra i documenti prodotti. Fra questi però è indicato il fascicolo di parte di secondo grado e la corte di merito da atto della produzione della consulenza, pur omettendo totalmente qualsiasi osservazione al riguardo . 3.- Osserva la Corte che i due motivi di ricorso esaminabili congiuntamente - sono fondati nei sensi di seguito spiegati. Come è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza, proprio perché il fondamento dell'adottabilità sta in una situazione del minore non transeunte, ovvero non suscettibile di essere superata, ha rilievo la sopravvenienza all'originario provvedimento di un atteggiamento delle figure parentali che dimostri la seria disponibilità a prestare assistenza materiale e morale al minore. Disponibilità e idoneità in concreto non accertata dalla corte territoriale in relazione ad entrambi i ricorrenti, posto che essa, pur dando atto dell'avvenuta produzione di una consulenza tecnica di parte, ha del tutto omesso di esaminarla e di riferirne il contenuto in sentenza, così da consentire il controllo sull'esatta applicazione del principio innanzi ricordato. Inoltre, la decisione di appello è stata assunta esclusivamente alla luce dell'istruttoria espletata in primo grado. La decisione impugnata, dunque, non ha fatto puntuale applicazione delle norme denunciate come violate o falsamente applicate, posto che l'art. 1 della L. n. 184 del 1983, proclama il diritto del minore di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia e che, al fine della configurabilità dello stato di abbandono e della valutazione di idoneità dei parenti alla di lui assistenza non si può prescindere dalla considerazione della pregressa condotta degli uni in relazione all'altro, come evidenziato dall'art. 12 L. 4 maggio 1983, n. 184, che espressamente richiede il mantenimento di rapporti significativi con il minore cfr. in argomento Sez. 1, n. 18113/2006 Sez. 1, Sentenza n. 11758 del 2014 . Secondo la giurisprudenza di questa Corte, poi, il diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine, considerata l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è tutelato dall'art. 1 della legge 4 maggio 1983, n. 184. Ne consegue che il giudice di merito deve, prioritariamente, verificare se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare, e, solo ove risulti impossibile, quand1 anche in base ad un criterio di grande probabilità, prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittimo e corretto l'accertamento dello stato di abbandono Sez. 1, Sentenza n. 6137 del 26/03/2015 . La decisione impugnata, peraltro, non appare conforme all'articolo 8 della Convenzione eur. Dir. uomo, che recita 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”. Norma che, anche recentemente e in un procedimento iniziato contro il nostro Paese, la Corte di Strasburgo CEDU, 13/10/2015, S.H. contro ITALIA ha interpretato nel senso che, prima di sopprimere il legame di filiazione materna, le autorità nazionali abbiano il dovere di adottare tutte le misure necessarie e appropriate che si possono ragionevolmente esigere dalle stesse affinché i minori possano condurre una vita famigliare normale all'interno della propria famiglia. La dichiarazione di adottabilità dei minori, secondo la Corte edu, costituisce una ingerenza nell'esercizio del diritto al rispetto della vita famigliare e tale ingerenza è compatibile con l'articolo 8 solo se soddisfa le condizioni cumulative di essere prevista dalla legge, di perseguire uno scopo legittimo e di essere necessaria in una società democratica, nel senso che l'ingerenza si basi su un bisogno sociale imperioso e che sia in particolare proporzionata al legittimo scopo perseguito. Peraltro, l'articolo 8 implica il diritto per un genitore di ottenere misure idonee a riunirlo al figlio e l'obbligo per le autorità nazionali di adottarle, mentre la dichiarazione di adottabilità deve rimanere l'extrema ratio. La decisione impugnata, dunque, non ha correttamente applicato la 1. n. 184/1983 interpretata in senso conforme alla norma convenzionale sopra richiamata cfr. su tale obbligo, fra le tante, Corte cost., sentenza n. 236 del 2011 . Il ricorso, pertanto, deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, per nuovo esame e per il regolamento delle spese. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame e per il regolamento delle spese alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.