Il diritto di abitazione non sposta gli equilibri nello scioglimento della comunione sull'ex casa coniugale

Nell'ambito dello scioglimento della comunione sull'ex casa coniugale è irrilevante la circostanza che il diritto personale di abitazione sia stato concesso - in sede di separazione o divorzio - ad uno dei coniugi.

Con l'ordinanza n. 19110, depositata il 25 settembre 2015, la Suprema Corte ha ribadito il proprio orientamento in tema di scioglimento della comunione sull'ex casa coniugale. Il fatto. Il Tribunale di Roma, a definizione del giudizio di scioglimento della comunione su un immobile, promosso dall'ex marito, assegnava a ciascuno degli ex coniugi una porzione del bene, con addebito dell'eccedenza a carico della ex moglie. Quest'ultima, proponeva impugnazione insistendo per il rigetto della domanda di divisione, atteso che vantava il diritto di abitazione assegnatole sull'intero immobile con la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio. L'impugnazione proposta dalla donna veniva, però, respinta dalla Corte capitolina, la quale premetteva che l'unico motivo di gravame dotato di specificità riguardava la dedotta necessità di considerare il diritto di abitazione nell'immobile in danno di chi l'aveva costituito e in favore di chi l'aveva ottenuto. Assegnazione della casa coniugale e scioglimento della comunione sono differenti. I Giudici di appello osservavano, inoltre, che la doglianza della donna era infondata, atteso che le situazioni cui fanno riferimento gli istituti dell'assegnazione della casa coniugale e dello scioglimento della comunione sono del tutto differenti e non hanno alcun legame o reciproca influenza. Infatti, nell'ambito dei rapporti tra comproprietari trovano applicazione unicamente le norme in tema di diritti reali e quelle sullo scioglimento delle comunioni ordinarie, mentre nessun rilievo promana dalla normativa regolante i rapporti fra coniugi separati, che non possono creare istituti o diritti autonomi se non nei casi di espressa previsione di legge. Il diritto di abitazione non è un diritto reale. Peraltro, il diritto di abitazione vantato dal coniuge assegnatario è un atipico diritto personale di godimento e non un diritto reale e, di conseguenza, non può avere alcun rilievo nell'ambito della regolamentazione dei diritti tra comproprietari, atteso che, una volta sciolta la comunione per separazione personale o divorzio, non può darsi rilievo per la valutazione dell'immobile ad un diritto che, con la cessazione della comunione ordinaria collegata all'assegnazione del bene al coniuge assegnatario ed affidatario dei figli, non ha più ragione di esistere. Ciò vale anche nel caso in cui quel bene sia stato diviso in due distinte unità abitative che consentano l'ulteriore autonomia e l'adeguata occupazione da parte del coniuge già assegnatario dell'intero. Peraltro, nella fattispecie, il notevole lasso temporale dalla sentenza di divorzio e, soprattutto, la verosimile autonomia raggiunta dai figli, non giustificavano più l'assegnazione della casa familiare ad un solo coniuge. Nello scioglimento della comunione non rileva il diritto di abitazione. La donna, non soddisfatta della pronuncia della corte di merito, proponeva ricorso per cassazione, lamentando dell'art. 115 c.p.c. per aver la sentenza impugnata omesso di porre a carico dell'attore l'onere di provare le intervenute variazioni della situazione che aveva determinato l'assegnazione della casa coniugale alla donna, sia riguardo alla raggiunta autonomia dei figli, sia per quanto concerne la situazione economica dell'ex coniuge, lamentando il sopperire dell'onere probatorio con una mera valutazione di verosimiglianza da parte della Corte territoriale. La Suprema Corte, però, ritiene detto motivo manifestamente destituito di pregio, atteso che in sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte ad abundantiam o costituenti obiter dicta , poiché, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione. Nella fattispecie, la ratio decidendi della sentenza impugnata risiede nell'affermata irrilevanza, nell'ambito dello scioglimento della comunione sull'ex casa coniugale, che il diritto personale di abitazione sia stato concesso – in sede di separazione o divorzio – ad uno dei due coniugi.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 21 maggio – 25 settembre 2015, n. 19110 Presidente Bianchini – Relatore Manna Svolgimento del processo e motivi della decisione I. - Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell'art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380-bis e 375 c.p.c. 1. - Con sentenza n. 2202/06 il Tribunale di Roma, a definizione del giudizio di scioglimento della comunione su di un immobile sito in Roma, promosso da G.A. contro l'ex coniuge S.M. , assegnava a ciascuno una porzione del bene, con addebito dell'eccedenza a carico di quest'ultima. 1.1. - L'impugnazione proposta da S.M. , che insisteva per il rigetto della domanda di divisione, vantando ella il diritto di abitazione assegnatole sull'intero immobile giusta sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, era respinta dalla Corte distrettuale di Roma con sentenza n. 37pubblicata l'8.1.2013. Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la Corte capitolina premetteva che l'unico motivo di gravame dotato di specificità riguardava la dedotta necessità di considerare il valore del diritto di abitazione nell'immobile in danno di chi l'aveva costituito e in favore di chi l'aveva ottenuto. Osservava, quindi, che tale doglianza era infondata, atteso che le situazioni cui fanno riferimento gli istituti dell'assegnazione della casa coniugale e dello scioglimento della comunione sono del tutto differenti e non hanno alcun legame o reciproca influenza. Infatti, proseguiva, nell'ambito dei rapporti tra comproprietari trovano applicazione unicamente le norme in tema di diritti reali e quelle sullo scioglimento delle comunioni ordinarie, nessun rilievo promanando dalla normativa regolante i rapporti fra coniugi separati, che non possono creare istituti o diritti autonomi se non nei casi di espressa previsione di legge data la tipicità dei diritti reali . E diritto di abitazione vantato dal coniuge assegnatario è un atipico diritto personale di godimento e non un diritto reale, e non può avere alcun rilievo nell'ambito della regolamentazione dei diritti tra comproprietari, dato che, sciolta la comunione per separazione personale o divorzio, non può darsi rilievo per la valutazione dell'immobile ad un diritto che, con la cessazione della comunione ordinaria collegata all'assegnazione del bene al coniuge assegnatario ed affidatario dei figli, non ha più ragione di esistere e questo anche nel caso in cui quel bene sia stato diviso in due distinte unità abitative che consentano l'ulteriore autonoma e adeguata occupazione da parte del coniuge già assegnatario dell'intero. Peraltro, osservava infine, stante il lasso temporale oramai decorso dalla sentenza di divorzio del 1992 ed ancor più dalla separazione , e la oramai più che verosimile raggiunta autonomia dei figli che nel 1992 venivano già indicati come maggiorenni ma ancora non autosufficienti vedi conclusioni delle parti riportate nell’epigrafe della sentenza di divorzio , non si giustificava più l'assegnazione della casa familiare ad un solo coniuge comproprietario, il che conferma la correttezza della sentenza appellata seguiva, poi, la citazione della massima di Cass. n. 2070/00 . 2. - Per la cassazione di tale sentenza S.M. propone ricorso, affidato ad un solo motivo. 2.1. - Resiste con controricorso G.A. . 3. - L'unico motivo d'impugnazione denuncia nonostante la generica intitolazione e l'inesatto richiamo all'art. 360, primo comma, n. 1 c.p.c. la violazione dell'art. 115 c.p.c. Censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha posto a carico dell'attore l'onere di provare le intervenute variazioni della situazione che aveva determinato l'assegnazione della casa coniugale alla S. , sia riguardo alla raggiunta autonomia dei figli, sia per quanto concerne la situazione economica dell'ex coniuge. Sostiene che la Corte territoriale non poteva, con una semplice valutazione di verosimiglianza, sopperire a tale carenza dell'onere probatorio della parte attrice. 4. - Il motivo è manifestamente destituito di pregio. 4.1. - In sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte ad abundantiam o costituenti obiter dieta, poiché esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione Cass. nn. 22380/14 e 13068/07 . 4.1.1. - Nello specifico la ratio decidendi della sentenza impugnata risiede unicamente nell'affermata irrilevanza, nell'ambito dello scioglimento della comunione sull'ex casa coniugale, del diritto personale di abitazione che sia stato concesso in sede di separazione o divorzio ad uno dei due coniugi richiamata all'uopo Cass. n. 11630/01 . La successiva considerazione svolta sull'ormai probabile raggiunta autonomia economica dei figli quasi quarantenni alla data della sentenza oggi impugnata , e con essa sul venir meno della ragione su cui era stata fondata in sede divorzile l'assegnazione della casa coniugale alla S. , costituisce una notazione sovrabbondante e di tipo parentetico, come tale espressa incidentalmente al solo scopo di rafforzare sotto altro e distinto aspetto la già affermata irrilevanza del pregresso regime giudiziale. Pertanto, avendo la parte odierna ricorrente aggredito solo quest'ultima affermazione della sentenza impugnata, e non anche l'unica e diversa ratio decidendi, il motivo è senz'altro inammissibile. 5. - Pertanto, si propone la decisione del ricorso con ordinanza, nei sensi di cui sopra, in base al n. 5 dell'art. 375 c.p.c. . II. - La Corte condivide la relazione, rispetto alla quale nessuna delle parte, benché debitamente avvisata, ha depositato memoria. III. - Il ricorso va, dunque, respinto. IV. - Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico della parte ricorrente. V. - Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12, sussistono i presupposti per il raddoppio a carico della ricorrente del contributo unificato, dovuto a norma del comma I-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 3.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.