Genitore straniero e diritto all’unità familiare: la Cassazione chiarisce i presupposti per l’autorizzazione a rimanere nel territorio nazionale

I gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore che si trova nel territorio italiano idonei a legittimare un provvedimento che autorizzi il familiare all'ingresso o alla permanenza nel territorio nazionale, ai sensi dell’art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, devono riguardare situazioni strettamente connesse allo sviluppo del fanciullo, dovendosi prendere in considerazione il preminente interesse del minore stesso in relazione alle varie circostanze del caso concreto, ma devono comunque essere situazioni di non lunga o indeterminata durata e non caratterizzate dalla tendenziale stabilità e pur non prestandosi ad essere preventivamente catalogate e standardizzate, si devono concretare in eventi traumatici e non prevedibili che trascendono il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare.

Immigrazione e tutela della famiglia. Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione interviene fornendo un importante chiarimento attorno ai presupposti richiesti dall’art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 per la concessione di un provvedimento che autorizzi il familiare del minore all’ingresso o alla permanenza nel territorio nazionale. La tematica risulta caratterizzata da una particolare problematicità, atteso che a fronte dell’interesse del minore si rileva un contrastante interesse dello Stato alla regolamentazione e limitazione del soggiorno da parte degli stranieri. La soluzione offerta dalla Corte con la sentenza in rassegna, pur risultando all’apparenza riconducibile all’interpretazione maggiormente attenta ai profili di tutela della famiglia, sembra in realtà porsi in contrasto con essi, finendo per trascurare la corretta portata del principio dell’unità familiare che come noto è garantito tanto a livello costituzionale e dalle fonti sovranazionali. La nozione di gravi motivi che legittimano il familiare all’ingresso o alla permanenza in Italia. Come noto, attorno al concetto di gravi motivi di cui all’art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 si sono tradizionalmente registrate contrastanti interpretazione nell’ambito della stessa giurisprudenza di legittimità. L’orientamento risalente, nella prospettiva di salvaguardare il territorio nazionale da una immigrazione non regolamentata a sostanziale svantaggio del superiore interesse del fanciullo”, ha interpretato restrittivamente il concetto di gravi motivi, ritenendo che questo richieda l’accertamento di situazioni di emergenza di natura eccezionale e contingente, di situazioni, cioè, che non siano normali e stabilmente ricorrenti nella crescita del minore così Cass. n. 11624/2001, n. 3991/2002 e n. 17194/2003 . In seguito alla pronuncia n. 22216/2006 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ha tuttavia cominciato a farsi strada una interpretazione estensiva dei gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico del minore, non limitati dai requisiti dell’eccezionalità e contingenza, ma strettamente connessi allo sviluppo del fanciullo in modo da prendere in considerazione il preminente interesse del minore stesso in relazione alle varie circostanze del caso concreto, quali l’età, le condizioni di salute anche psichiche nonché il pregiudizio che potrebbe a questi derivare dall’allontanamento dei familiari Cass. n. 22080/2009, n. 823/2010 e n. 21799/2010 . La Corte, con la pronuncia in commento, pur ponendosi in tale ultima prospettiva, ha chiarito che le situazioni rilevanti devono essere di non lunga o indeterminata durata e non caratterizzate dalla tendenziale stabilità e pur non prestandosi ad essere preventivamente catalogate e standardizzate, si devono comunque concretare in eventi traumatici e non prevedibili che trascendono il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare. Alla stregua di ciò, la Corte rigetta il ricorso, atteso che nel caso di specie la situazione dedotta dalla ricorrente non era destinata a durare per un tempo determinato e temporaneo, con ciò risultando incompatibile con la natura dell’autorizzazione richiesta, dovendosi peraltro considerare che il danno che deriverebbe al minore non sembrava caratterizzato dai requisiti di effettività, concretezza e gravità. Diritto all’unita familiare e espulsione dello straniero. Ulteriore passaggio cui sembra necessario dedicare particolare attenzione, riguarda il secondo motivo di ricorso, incentrato sulla presunta violazione del diritto all’unità familiare come risultante anche dalla Convenzione di New York e dalla CEDU. Al riguardo, è opportuno ricordare che proprio sulla base di tale importante principio, la giurisprudenza ha prospettato un’interpretazione tesa a valorizzare tanto il diritto alla bigenitorialità quanto il diritto all’unità familiare. In tal senso il Tribunale per i minorenni di Milano, nel decreto 5 marzo 2013, ha infatti affermato che il genitore straniero privo del permesso di soggiorno è autorizzato, ai sensi dell’art. 31, d.lgs. n. 286/1998, a permanere in Italia per un periodo determinato quando la sua espulsione determinerebbe una lesione del diritto del minore alla bigenitorialità e all’unità familiare. In contrario, la Corte di Cassazione nella pronuncia in rassegna afferma che nel nostro ordinamento il diritto all’unità familiare non si presenta come un diritto assoluto, in quanto il legislatore può legittimamente limitare tale diritto bilanciando l’interesse dello straniero al mantenimento del nucleo familiare con gli altri valori costituzionali sottesi alle norme in tema di ingresso e soggiorno degli stranieri. Nel caso concreto la Corte ritiene quindi infondato il motivo di ricorso, confermando il percorso motivazionale dei giudici di merito, i quali hanno osservato che nel caso di specie il minore avrebbe comunque la possibilità di seguire il genitore ai sensi dell’art. 19, comma 2 lettera a , d.lgs. n. 286/1998.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 16 giugno – 10 settembre 2015, n. 17942 Presidente Di Palma – Relatore Bernabai Ritenuto in fatto - che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, in applicazione dell'art. 380-bis cod. proc. civile Con decreto del 20 febbraio 2014 il Tribunale per i Minorenni di Ancona rigettava l'istanza proposta dalla odierna ricorrente ai sensi dell'art. 31, comma 3, d.lgs. 286/1998 volta ad ottenere l'autorizzazione alla permanenza sul territorio nazionale per motivi attinenti alla minore età, allo sviluppo psicofisico e alle condizioni di salute del figlio A.S Avverso tale provvedimento la signora K. proponeva reclamo davanti la Corte d'Appello di Ancona, chiedendo la revoca del provvedimento impugnato ed il rilascio dell'autorizzazione di cui all'ari. 31, comma 3, d.lgs. 286/1998. In data 9 luglio 2014 la Corte d'Appello pronunciava decreto di rigetto del reclamo. Avverso la decisione la K. proponeva ricorso straordinario per Cassazione, articolato in 3 motivi. Il procuratore generale non svolgeva attività difensiva. Così riassunti i fatti di causa, il ricorso sembra, prima facie, infondato. Si osserva, in via preliminare, che la giurisprudenza di questa Corte ammette il ricorso ai sensi dell'ari. 111 della Costituzione avverso il decreto con il quale la Corte d'Appello, sezione minori, decide in ordine alla domanda di autorizzazione ex art. 31, comma 3, d.lgs. 286/1998, ad entrare o a permanere temporaneamente sul territorio nazionale proposta, in deroga alle disposizioni generali sull'immigrazione, dal cittadini extracomunitario per gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico di un familiare minorenne. Si tratta infatti di un provvedimento decisorio e definitivo Cass. Civ. S. U. 16 ottobre 2006 n. 22216 . Il primo dei motivi di ricorso, con il quale la ricorrente denuncia una interpretazione restrittiva del concetto di gravi motivi di cui all'ari. 31, comma 3, d.lgs. 286/1998, appare infondato. Ad avviso della ricorrente, il suo allontanamento improvviso dal figlio comporterebbe un pregiudizio tale da legittimare il rilascio dell'autorizzazione qualora invece il minore seguisse la madre subirebbe comunque seri pregiudizi per lo sradicamento dal territorio italiano. La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore non richiede necessariamente l'esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psicofisico, deriva o deriverà certamente al minore a seguito dello sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto o dall'allontanamento del familiare. Deve trattarsi, tuttavia, di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendono il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare Cass. Civ. S. U. 25 ottobre 2010 n. 21799 . La situazione dedotta dalla ricorrente non appare idonea ad invocare l'eccezione di cui all'art. 31. In primo luogo, essa non è destinata a durare per un tempo determinato e temporaneo e ciò è incompatibile con la natura stessa dell'autorizzazione. In seconda battuta, il danno che deriverebbe dall'allontanamento della madre o dal rimpatrio anche del minore non sembra caratterizzato dai requisiti di effettività, concretezza e gravità richiesti dalla giurisprudenza. Il secondo motivo sembra infondato. Con esso la ricorrente denuncia la violazione del diritto all'unità familiare, sancito dagli artt. 28 d.lgs. 286/1998, 8 CEDU e 3, 7, 9,10 della Convenzione di New York, ratificata con l. 176/1991. In caso di mancato accoglimento dell'istanza, l'allontanamento della signora dal figlio provocherebbe una separazione della famiglia, conseguente ad una decisione del giudice italiano in violazione del diritto all'unità familiare. Tale diritto non si configura nel nostro ordinamento come diritto assoluto, atteso che il legislatore ordinario può legittimamente limitare tale diritto, per bilanciare l'interesse dello straniero al mantenimento del nucleo familiare con gli altri valori costituzionali sottesi dalle norme in tema di ingresso e soggiorno degli stranieri cfr. Corte Cost., ord. n. 286 del 2001 . In questo senso si è pronunciata anche questa Corte Cass. Civ. Sez. 120 agosto 2003, n. 12226 . II giudizio di bilanciamento, valutazione di merito non viziata da illogicità e che non può essere riesaminata in sede di legittimità, è stato compiuto dalla Corte d'Appello conformemente alle disposizioni di legge ed alla giurisprudenza da ultimo citata e non assegna prevalenza al diritto all'unità familiare, che non viene comunque leso, poiché, come ha osservato la Corte, il minore ha la possibilità di seguire il genitore ai sensi dell'ari. 19, comma 2, lettera a , d.lgs. 286/1998. Con il terzo motivo di ricorso, la K. denuncia la violazione dell'art. 19 del d.lgs. 286/1998 in relazione agli artt. 9 e seguenti della Convenzione sui Diritti del Fanciullo, ratificata con l. 176/1991. Ad avviso della ricorrente, la Corte d'Appello, negando la concessione dell'autorizzazione a permanere in Italia, ha di fatto deliberato una espulsione di fatto' seppur indiretta, del minore. Quest'ultima considerazione appare infondata dal momento che l'allontanamento e la separazione dalla madre non comportano alcuna espulsione indiretta del minore, eventualmente presso altri familiari regolarmente residenti nel territorio nazionale. - che la relazione è stata notificata ai difensori delle parti, che non hanno depositato memorie. Considerato in diritto - che il collegio, discussi gli atti, ha condiviso la soluzione prospettata nella relazione e gli argomenti che l'accompagnano - che il ricorso dev'essere dunque rigettato. P.Q.M. - Rigetta il ricorso.