Natura giuridica della comunione de residuo: si alla contitolarità dei beni al momento dello scioglimento

Lo scioglimento della comunione legale tra coniugi determina ex lege la contitolarità dei diritti e dei beni che cadono nella comunione de residuo ai sensi dell’art. 177, lett. b e c , c.c

Comunione de residuo e diritti successori. Con la pronuncia n. 13760/2015, la Corte di Cassazione pur non occupandosi ex professo della natura giuridica della comunione de residuo nel regime di comunione legale tra i coniugi compie interessanti riferimenti a detta questione, mettendo in luce le implicazioni che la problematica in parola pone. La fattispecie sottesa alla sentenza in rassegna riguarda l’azione esperita dall’ex coniuge nei confronti dell’erede testamentario e fratello dell’altro coniuge con cui si chiedeva che venisse accertata la spettanza ai sensi e per gli effetti dell’art. 177, lett. b e c , c.c. della metà degli importi relativi ai rapporti di credito con un istituto bancario in quanto facenti parti della comunione de residuo. Tanto in primo grado quanto in secondo grado i giudici di merito, in accoglimento della domanda, affermavano la spettanza della metà delle somme all’ex coniuge, ritenendo che in seguito alla morte dell’unico intestatario del rapporto con l’istituto di credito fosse sorta la cointestazione del rapporto con il coniuge superstite per effetto della disciplina della comunione de residuo, con conseguente legittima applicazione della clausola contrattuale che consentiva all’istituto di credito di rifiutare la richiesta di restituzione avanzata da uno solo dei cointestatari senza il consenso degli altri. Cointestazione e contitolarità in seguito allo scioglimento della comunione legale. La Corte, premesso che – pur nel silenzio dell’art. 191 c.c. – la morte del coniuge scioglie la comunione legale, atteso che alla morte consegue lo scioglimento del vincolo matrimoniale e con questo si scioglie il regime di comunione, rileva che il ricorrente non ha censurato la circostanza che gli importi siano entrati in comunione de residuo, ma unicamente il comportamento dell’istituto di credito che ha ritenuto di applicare la clausola contrattuale in tema di contitolarità piuttosto che la disciplina legale in tema di obbligo di riconsegna in caso di deposito. In altri termini, non è stata censurata da parte dei ricorrenti la conclusione dei giudici di merito secondo la quale la morte dell’ex coniuge ha fatto sorgere, per effetto dello scioglimento della comunione legale e della caduta in comunione de residuo dei beni e dei diritti, la contitolarità delle somme oggetto del contendere. La natura giuridica della comunione de residuo. La Corte nel rigettare il ricorso, ricorda che in dottrina si siano contrapposte differenti ricostruzioni circa la natura giuridica della comunione de residuo, aspetto questo che tuttavia – come visto – non veniva fatto oggetto di specifica censura da parte dei ricorrenti. Ciò nonostante la Corte prende in considerazioni le differenti posizioni assunte in dottrina e giurisprudenza e ricorda che ad un primo e maggioritario orientamento, secondo il quale allo scioglimento della comunione legale tra coniugi consegue ex lege la contitolarità sui beni oggetto di comunione de residuo, si contrappone un orientamento minoritario secondo il quale allo scioglimento della comunione legale si determinerebbe - con riguardo alla comunione de residuo - una situazione di natura creditizia da azionare nei confronti del coniuge o degli eredi in posizione di eguaglianza con gli altri eventuali creditori. La Corte, pur non prendendo esplicita posizione sulla questione, atteso che tale aspetto non è stato oggetto di specifica censura da parte dei ricorrenti, richiama un recente precedente di legittimità che in una fattispecie analoga a quella oggetto del contendere ha affermato che in tema di imposta sulle successione, siccome al momento della morte del coniuge si scioglie la comunione legale sui titoli in deposito presso banche ed anche la comunione differita – o de residuo – sui saldi attivi dei depositi in conto corrente, l’attivo ereditario, sul quale determinare l’imposta, è costituito soltanto dal 50% delle disponibilità bancarie, pure se intestate al solo de cuius Cass., n. 4393/2011 . Ciò posto, la Corte rigetta il ricorso, ritenendo che l’istituto bancario abbia coerentemente applicato la clausola contrattuale in tema di cointestazione ritenendo che con il verificarsi dello scioglimento della comunione legale si determinasse la sopravvenuta cointestazione di tutti i cespiti confluenti nella comunione de residuo.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 marzo – 3 luglio 2015, n. 13760 Presidente Forte – Relatore Acierno Svolgimento del processo D.V.C. aveva convenuto in giudizio R.F. ed il Banco di Sicilia, chiedendo che, una volta dichiarata aperta la successione di R.D., suo ex coniuge e fratello di Francesco, venisse accertato che gli importi relativi ai rapporti di credito relativi ai dossier titoli, al conto corrente e al libretto di deposito giacenti presso il predetto istituto bancario le appartenevano per la metà, in quanto oggetto di comunione de residuo ex articolo 177 lettere b e c cod. civ R.F. si opponeva alla domanda affermando di essere l'unico erede della quota disponibile per disposizione testamentaria e di aver già richiesto in tale veste lo svincolo di tutti i depositi del Banco di Sicilia, invitando l'istituto ad astenersi dal riconoscere diritti ed attribuire somme a terzi. Osservava inoltre che il Banco di Sicilia non aveva dato riscontro alle sue domande, dichiarandosi disposto, dopo aver ricevuto la notificazione di un atto stragiudiziale da parte della D.V. , a consegnare la metà della somma in deposito alla stessa quale coniuge in regime di comunione legale e la rimanente metà a R. . Il Banco di Sicilia richiedeva ed otteneva ex articolo 687 cod. proc. civ. il sequestro dei titoli in suo possesso nonché delle cassette di sicurezza intestate al de cuius. Il tribunale con sentenza non definitiva, sul profilo che interessa, dichiarò che gli importi relativi ai rapporti di credito costituiti dal dossier titoli, dal deposito di risparmio e dal conto corrente attivo appartenevano per la metà alla D.V. in forza dell'articolo 177, lett. b e c cod. civ. in quanto facenti parte della comunione de residuo. Condannò il Banco di Sicilia a restituire all'attrice la metà di dette somme e la rimanente metà al R. , revocò il sequestro giudiziario rigetto la domanda riconvenzionale del R. tendente ad accertare che la somma relativa al trattamento di fine rapporto di R.D. cadesse interamente in successione. La Corte d'appello ha confermato i predetti capi della sentenza di primo grado. A sostegno della decisione assunta, per quel che ancora interessa ha affermato che il Banco di Sicilia aveva legittimamente rifiutato di consegnare gli importi richiesti da R.F. per intero non potendo trovare applicazione nella specie l'articolo 177 primo comma cod. civ., dal momento che, nella specie il diritto di uno dei depositanti era stato contestato dall'altra cointestataria, la D.V. . Inoltre l'articolo 14 delle clausole uniformi regolative dei contratti bancari accesi con il de cuius stabiliva che, in caso di morte o sopravvenuta incapacità dei cointestatari, il Banco di Sicilia doveva pretendere il concorso di tutti i cointestatari e degli eventuali eredi, quando da uno di essi fosse stata notificata opposizione anche solo con lettera raccomandata. Nella specie era stato notificato atto stragiudiziale di diffida alla banca dalla D.V. da ritenersi del tutto idoneo a far scattare la prescrizione contrattuale che correttamente erano state attribuite alla D.V. la metà dei depositi in quanto gli importi rientravano nella comunione de residuo dal momento che non era stato provato quanto dedotto dal R. ed, in particolare, che parte fossero ricavi da vendite di beni ereditati dal de cuius. Ugualmente non era stato provato che il risarcimento del danno riconosciuto dall'Anas al de cuius fosse confluito sul conto. Infine il TFR costituiva provento da attività separata che, in quanto non consumato, entrava nella comunione de residuo. Al riguardo l'onere della prova contraria ricadeva sull'erede. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione R.I. e C. , nonché C.M.L. , in qualità di eredi di R.F. , affidandosi a tre motivi. Hanno resistito con controricorso la D.V. e il Banco di Sicilia. Hanno depositato memoria i ricorrenti e la s.p.a. Unicredit in qualità di successore a titolo universale del Banco di Sicilia. Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione degli articolo 1771 e 1777 cod. civ. nonché dell'articolo 14 del contratto di conto corrente ed amministrazione titoli intercorso tra il Banco di Sicilia ed il defunto R.D. , per non avere la Corte d'Appello riconosciuto che R.F. in qualità di erede aveva diritto alla consegna di tutto quanto in deposito non appena fosse pervenuta alla banca la richiesta. Nella specie tale richiesta era stata formulata il 1/9/92 accompagnata da documentazione attestante la qualità di erede che ne giustificava la piena legittimazione. Al momento della richiesta non vi era stata alcuna opposizione in quanto la diffida della D.V. era successiva. Peraltro la diffida non poteva essere qualificata come formale opposizione, avendo la giurisprudenza di legittimità chiarito che l'obbligo del depositario di consegnare l'oggetto del deposito al depositante poteva essere paralizzato soltanto mediante azione di rivendica. Infine la richiesta di sequestro giudiziario era un riscontro del comportamento ambiguo della banca che da un lato aveva ritenuto di non dover restituire quanto in deposito e successivamente aveva richiesto la misura cautelare con l'evidente scopo di legittimare il suo rifiuto alla restituzione. Non poteva trovare applicazione la disposizione contrattuale perché essa riguardava l'ipotesi della morte di uno dei cointestatari ma nella specie esclusivo intestatario era R.D. ed unico erede R.F. . La censura viene formulata anche sotto il profilo del vizio di motivazione ma priva della sintesi finale con conseguente inammissibilità di essa ex articolo 366 bis, ultima parte, cod.proc. civ. ratione temporis applicabile. Nel secondo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 1218, 1223, 1224 1768, 1782 cod. civ. nonché 345 e 437 cod. proc. civ. per avere la Corte d'Appello escluso la sussistenza di un obbligo risarcitorio in capo al Banco di Sicilia sia in ordine all'omessa consegna sia in ordine all'omesso investimento utile delle somme relative ai titoli scaduti. Sotto il primo profilo è, invece, palese il pregiudizio derivante dall'impossibilità di utilizzare una somma di rilevante ammontare di cui era titolare senza giustificate e giustificabili ragioni. Sotto il secondo profilo la responsabilità patrimoniale sorge dalla negligente gestione delle somme rimaste in deposito, in quanto non utilizzate nell'interesse del creditore. In particolare la banca non ha assolto neanche all'obbligo d'informare gli eredi dell'entità delle somme. Inoltre in pendenza del sequestro giudiziario era la banca a svolgere la funzione di custode e in tale veste avrebbe dovuto impiegare al meglio le somme medesime. Viene rilevato dai ricorrenti, quanto alla misura del danno risarcibile, che gli interessi legali dovevano retroagire dalla richiesta di restituzione, in quanto con tale atto la banca doveva ritenersi costituita in mora. È infatti innegabile che sulle somme depositate siano dovuti gli interessi legali, anche ai sensi dell'articolo 1782 comma secondo cod. civ La domanda di lucro cessante quantificata in 150.000 Euro è stata ritenuta ingiustificatamente tardiva dalla Corte d'Appello, dal momento che la generica formulazione della domanda risarcitoria ne consentiva la specificazione nei gradi successivi. La censura viene formulata anche sotto il profilo del vizio di motivazione ma non viene formulata la sintesi finale ex articolo 366 bis ultima parte, cod. proc. civ., ratione temporis applicabile. Nel terzo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. per avere la Corte d'Appello condannato i ricorrenti al pagamento delle spese giudiziali di entrambi i gradi sulla base di una decisione errata. Tutte le censure sono corredate di quesiti di diritto. L'esame del primo motivo richiede una breve premessa sulla disciplina normativa della c.d. comunione de residuo. L'articolo 191 cod. civ. non enumera espressamente la morte di uno dei coniugi tra le cause che determinano lo scioglimento della comunione legale ma è opinione del tutto consolidata che la mancanza sia dovuta esclusivamente alla superfluità della previsione dal momento che la morte determina lo scioglimento del matrimonio, ovvero il verificarsi di una causa di scioglimento della comunione. Soltanto quest'ultimo evento consente il formarsi della c.d. comunione de residuo, esclusivamente in ordine ai beni, elencati sub lettere b e c dell'articolo 177 cod. civ., oltre che nell'articolo 178 cod. civ. i beni destinati all'esercizio dell'impresa, costituita dopo il matrimonio e gli incrementi di quella costituita anteriormente ad esso . Nel presente giudizio saranno prese in esame solo le ipotesi di comunione de residuo disciplinate nel citato articolo 177 cod. civ Si tratta dei frutti di beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati al momento dello scioglimento della comunione e dei proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati. Le censure di parte ricorrente non sono rivolte a contestare che gli importi depositati nell'istituto bancario resistente siano entrati a far parte della comunione de residuo ma soltanto ad escludere che tale qualità giuridica degli stessi abbia potuto legittimamente giustificare la mancata consegna a richiesta all'erede testamentario, attuale ricorrente. In particolare, la parte ricorrente esclude che possa trovare applicazione nella specie la clausola negoziale che la Corte d'Appello ha sostanzialmente posto a base della propria decisione e che si riproduce per chiarezza argomentativa nel caso di morte o di sopravvenuta incapacità dei cointestatari del conto o del deposito , il Banco di Sicilia deve pretendere il concorso di tutti i cointestari e degli eventuali eredi, quando da uno di essi gli sia stata notificata opposizione anche solo con lettera raccomandata . Dovrebbero, di conseguenza essere applicabili gli artt. 1771 e 1777 cod. civ., secondo i quali il depositario è tenuto a restituire la cosa al depositante a richiesta, potendo essere paralizzato soltanto dall'azione di rivendica da parte del terzo. Cass. 9521 del 2000 . Secondo quest'impostazione l'omesso esercizio di questa azione esclude che sia configurabile una responsabilità del depositario nascente dalla restituzione ed, anzi egli ha un obbligo di riconsegna a semplice richiesta. Deve, pertanto, in primo luogo stabilirsi se la disciplina legale del rapporto tra depositante e depositario, così come rigorosamente interpretata dalla giurisprudenza di legittimità sia inderogabile. Tale qualificazione deve escludersi, ben potendo in sede negoziale essere stabilita una modulazione degli obblighi endocontrattuali diversa, purché non contrastante con la ratio delle norme codicistiche sopra individuate da cogliersi nell'esigenza di evitare un'ingiustificata protrazione della disponibilità del bene in capo al depositario, sulla base della mera possibilità, di fatto e priva di concreto ed attuale riscontro giuridico, di un conflitto sulla titolarità totale o parziale del bene in deposito. La A clausola regolante gli obblighi del depositante sopra illustrata costituisce proprio una specifica declinazione del corretto bilanciamento tra il diritto del depositante e gli obblighi del depositario. La Corte d'Appello ha ritenuto che l'accertata comunione de residuo sugli importi derivanti dai titoli, dai conti correnti e dal libretto di deposito determinasse, al momento dello scioglimento del matrimonio verificatosi con la morte del R. D. , la contitolarità delle somme in questione. La censura di tale ratio decidendi non si coglie nel primo motivo di ricorso. Il ricorrente non contesta che le somme complessivamente contenute nel libretto, nei conti correnti ordinari e di gestione titoli cadano nella comunione de residuo, limitandosi sostanzialmente a ritenere inefficace la contestazione della D.V. sia perché non prospettata nelle forme dell'azione di rivendica, sia perché successiva alla richiesta di consegna dell'erede - depositante. Nella seconda parte della censura viene contestata l'applicabilità della clausola negoziale alla fattispecie non perché non sussiste la comunione de residuo sui predetti importi ma perché il conto non era originariamente cointestato ad entrambi i coniugi. Rimane, pertanto, priva di censura sia la definitiva inclusione nella comunione de residuo delle somme in contestazione sia la qualificazione della comunione de residuo come contitolarità di diritti che sorge solo quando si verifica una causa di scioglimento della comunione legale. Non sfugge al Collegio la non unanimità di posizioni in ordine a tale qualificazione giuridica e l'affermarsi in dottrina di due tesi opposte. Una che ritiene, come la Corte territoriale, che si formi ex lege una situazione di contitolarità dei diritti e dei beni che cadono nella comunione de residuo, l'altra che si determini una situazione di natura creditizia da azionare nei confronti del coniuge o del suo erede come nella specie in posizione di uguaglianza con gli altri eventuali creditori. La prima tesi ha il pregio di corrispondere maggiormente al tenore letterale delle norme articolo 177 e 178 cod. civ. che affermano rispettivamente costituiscono oggetto della comunione e si considerano oggetto della comunione e di essere condivisa dalla prevalente giurisprudenza di legittimità. cfr. Cass. 2597 del 2006 . In questa pronuncia viene esattamente identificato il limitato perimetro dei beni e crediti che entrano nella comunione de residuo ed il regime dell'onere probatorio, senza tuttavia porre in discussione che si tratti di una vera e propria comunione, assoggettata a solo a diverso regime temporale quanto al suo verificarsi. Inoltre, con riferimento a fattispecie analoga a quella dedotta nel presente giudizio deve segnalarsi la pronuncia 4393 del 2011 che reca il seguente principio di diritto In tema di imposta sulle successioni, siccome al momento della morte del coniuge si scioglie la comunione legale sui titoli quali azioni, obbligazioni, titoli di stato, quote di fondi di investimento etc. in deposito presso banche c.d. dossier ed anche la comunione differita - o de residuo - sui saldi attivi dei depositi in conto corrente, l'attivo ereditario, sul quale determinare l'imposta, è costituito soltanto dal 50% delle disponibilità bancarie, pure se intestate al solo de cuius. in precedenza cfr.19567 del 2008 . L'altra opzione ermeneutica ritiene che la comunione de residuo abbia natura di diritto di credito, determinandosi altrimenti conflitti rispetto ai terzi e intralcio nello svolgimento di attività d'impresa. Questa tesi evidenzia le criticità della prima opzione in particolare rispetto alla comunione de residuo che si determina ex articolo 178 cod. civ. in ordine ai beni destinati al'esercizio dell'impresa. Nella recente pronuncia n. 6876 del 2013 la Corte di Cassazione ha invece affermato, in contrasto con la tesi da ultimo esposta, che In tema di scioglimento della comunione legale tra coniugi, il credito verso il coniuge socio di una società di persone, a favore dell'altro coniuge in comunione de residuo, è esigibile al momento della separazione personale, che è causa dello scioglimento della comunione, ed è quantificabile nella metà del plusvalore realizzato a tale momento, consentendosi altrimenti al coniuge-socio di procrastinare sine die la liquidazione della società o di annullarne il valore patrimoniale . Peraltro, come già evidenziato, il ricorrente non ha posto a base della propria censura il profilo della corretta qualificazione giuridica della comunione de residuo, limitandosi ad escludere la contitolarità dei conti correnti e del libretto di deposito ab origine, in quanto formalmente intestati soltanto a R.D. . Deve, pertanto, riconoscersi che l'istituto bancario, ritenendo che con il verificarsi dello scioglimento della comunione legale si determinasse la sopravvenuta cointestazione di tutti i cespiti confluenti nella comunione de residuo ha coerentemente applicato la regola contenuta nella predetta clausola, senza che l'adesione a tale opzione abbia, come già rilevato, formato oggetto di specifica censura. Ne consegue che il criterio per valutare la correttezza giuridica, sia sotto il profilo della disciplina legale che sotto il profilo di quella negoziale, del comportamento della banca non può essere affidato, come ritenuto dai ricorrenti, alla sequenza cronologica relativa alla richiesta dell'erede, alla diffida della D.V. , e alla sua opposizione formale, dal momento che la rilevanza di tale parametro temporale è escluso dalla vigenza della clausola negoziale sopra richiamata. Peraltro a tale ultimo riguardo deve osservarsi che la parte controricorrente richiama una preventiva diffida del 3/8/92, anteriore alla richiesta del 1/9/92 del R. che non risulta specificamente contestata né in ricorso né in memoria. In conclusione la banca, constatata la formale opposizione di uno dei cointestatari, ha legittimamente trattenuto gli importi in contestazione, in attesa del definitivo accertamento giudiziale relativo alla loro appartenenza integrale e parziale alla comunione de residuo. Il rigetto del primo motivo determina l'assorbimento della censura contenuta nel secondo motivo, relativa al danno emergente e al lucro cessante genericamente indicato in 150 mila Euro da illegittimo rifiuto di restituire le somme in questione a richiesta dell'erede, nonché il terzo motivo di ricorso relativo all'errata applicazione del principio della soccombenza nei gradi di merito in quanto eziologicamente conseguente all'accoglimento del primo motivo. Sul lucro cessante si ravvisa anche un profilo d'inammissibilità non essendo stata specificamente riprodotta o indicata la domanda e il successivo motivo d'appello in questione al fine di contestarne puntualmente il rilievo di novità compiuto dalla Corte d'Appello. Rimane da esaminare la censura relativa alla decorrenza degli interessi legali da fissarsi secondo le parti ricorrenti al 1/9/92, data di costituzione in mora dell'istituto bancario. Anche tale censura, tuttavia, una volta esclusa l'illegittimità del comportamento prudente della banca fino all'accertamento definitivo relativo all'appartenenza integrale o parziale degli importi in contestazione nella comunione de residuo, incontestatamente sussistente in ordine ad essi, deve ritenersi infondata, non essendo il credito degli eredi, alla luce delle considerazioni svolte, esigibile neanche pro parte prima della conclusione del giudizio. La non univocità di posizioni in ordine alla natura giuridica dell’istituto della comunione de residuo inducono alla compensazione integrale delle spese di lite del presente grado. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso. Compensa interamente le spese processuali del giudizio di legittimità.