Il minore ha diritto di mantenere un rapporto stabile e significativo con il “genitore sociale”

La necessità di garantire il superiore interesse dei minori impone di procedere ad un’interpretazione evolutiva, ma costituzionalmente e convenzionalmente conforme, dell’art. 337 ter c.c. volta ad estendere l’ambito applicativo della norma sino a delineare un concetto allargato di bigenitorialità e di famiglia, ivi ricomprendendo anche la figura del genitore sociale, cioè di quel soggetto che ha instaurato con il minore un legame familiare di fatto significativo e duraturo.

Ciò quanto affermato dal Tribunale di Palermo con decreto depositato in cancelleria il 13 aprile 2015. Il caso. Con ricorso depositato al Tribunale ordinario di Palermo, la ricorrente chiedeva un provvedimento volto a prevedere tempi e modalità di frequentazione tra la stessa e i due figli minori della ex compagna, facendo valere il diritto dei medesimi a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori art. 337 ter c.c. . Ciò a seguito dell’interruzione della relazione sentimentale e della convivenza tra la ricorrente ed un’altra donna, quest’ultima diventata madre di due gemelli a seguito di procreazione assistita eterologa. Il difetto di legittimazione ad agire della ricorrente. Legittimazione del pm. Dichiarata la propria competenza funzionale e territoriale, il Tribunale rileva che la ricorrente, ex partner della madre dei minori con i quali ha convissuto sin dalla loro nascita, non è né genitore biologico né adottivo e, come tale, non è un soggetto giuridicamente legittimato a far valere i diritti dei minori, essendo privo della titolarità del diritto di ottenere una decisione nel merito. Come è noto, infatti, ad oggi il nostro ordinamento giuridico non disciplina i diritti che l’ex convivente del genitore biologico potrebbe vantare sui figli di quest’ultimo, né tantomeno prevede una legittimazione attiva in capo all’ex convivente che non può agire per conto e nell’interesse dei minori con cui non sussiste un rapporto genitoriale. Dichiarato, pertanto, il difetto di legittimazione ad agire in capo alla ricorrente, il Tribunale procede comunque nel merito, in virtù della partecipazione necessaria del pm che ha fatto propria la domanda della ricorrente e ha chiesto, a tal fine, che venisse disposta consulenza tecnica. Sussiste un nucleo familiare di fatto. Alla luce degli elementi acquisiti nel corso del procedimento, il Tribunale di Palermo ritiene idoneamente provata la sussistenza, tra le parti e i due gemelli, di un nucleo familiare di fatto. Viene considerato rilevante il fatto che le parti, quando ancora costituivano una coppia, avevano adito il Tribunale per i Minorenni, prima, e la Corte d’appello, successivamente in sede di reclamo, al fine di richiedere congiuntamente il riconoscimento in capo alla madre non biologica di poteri e doveri corrispondenti alla responsabilità genitoriale nei confronti dei due minori. Le due donne, infatti, lamentavano che tale donna, di fatto, svolgesse il ruolo di genitore e avesse a carico l’intero nucleo familiare, ma in concreto non godeva di alcun riconoscimento giuridico da parte dell’ordinamento. La visione dei bambini. Nel caso in esame, i consulenti tecnici ritengono che ad entrambi i bambini deve essere stata prospettata una visione di identità familiare e una storia della loro generatività che deve aver compreso entrambe le figure femminili. Durante la perizia è apparsa evidente una profonda significatività affettiva tra le due signore tale che, benché i bambini non identificassero specificamente la mamma non biologica in una funzione genitoriale di fatto, la riconoscevano come appartenente al loro sistema familiare nucleare come una seconda mamma”. Conseguentemente, privare i minori di un siffatto rapporto produrrebbe sui bambini effetti gravemente pregiudizievoli e nefasti sulla loro continuità affettiva e narrativa, con profonde ripercussioni sulla evoluzione della loro identità psichica . Il legame con il genitore sociale è da preservare. Accertata l’esistenza di una famiglia di fatto e di un permanente rapporto affettivo significativo tra la ricorrente e i due bambini, il Tribunale di Palermo afferma che va assolutamente preservato, in funzione del preminente interesse dei minori, il solido rapporto sussistente tra i medesimi e la persona che, sin dalla loro nascita, ha svolto il ruolo sostanziale di genitore, il c.d. genitore sociale. I giudici, pertanto, si pongono in una dimensione sostanziale che salvaguardi il superiore interesse del minore e valorizzi il rapporto che negli anni si è instaurato con la ricorrente. Indipendentemente dall’assetto normativo attuale e dalle categorie giuridiche, il genitore sociale viene percepito dai minori come una figura significativa appartenente al loro sistema familiare alla stregua di una seconda madre. The best interest of the child. Riconoscere ai due minori i diritti che derivano dal loro rapporto con il genitore sociale e prevedere tempi e modalità di frequentazione tra gli stessi assicura il rispetto del supremo interesse dei minori. Tale principio, sancito a livello europeo ed internazionale dapprima nella Dichiarazione Universale dei diritti del fanciullo del 1959 e di recente nella Carta di Nizza all’art. 24, viene tutelato in forza dell’interpretazione resa dalla Corte di Strasburgo in merito all’art. 8 CEDU, secondo cui il rispetto della vita privata e familiare contempla anche il diritto dei genitori e dei figli nonché di altri soggetti uniti da relazioni familiari di fatto a mantenere stabili relazioni, soprattutto in caso di crisi della coppia, assicurando prevalenza al superiore interesse dei minori anche a rischio di pregiudicare il diritto di uno dei genitori. Lettura convenzionalmente orientata dell’art. 337 ter c.c Secondo i giudici, non è più rilevante la discendenza genetica per determinare l’attribuzione al minore del diritto di mantenere stabili relazioni con chi ha per tempo rivestito il ruolo sostanziale di genitore pur non essendo legato da rapporti genetici o adottivi con il minore. Quando il rapporto instauratosi tra il minore ed il genitore sociale è tale da fondare l’identità personale e familiare del bambino stesso, tale rapporto deve essere salvaguardato alla stregua di quello tra i figli nei confronti dei genitori biologici. Conseguentemente, alla luce di un’interpretazione convenzionalmente orientata dell’art. 337 ter c.c., il Tribunale disciplina tempi e modalità di frequentazione tra i bambini e la madre sociale.

Tribunale di Palermo, sez. I Civile, decreto 6 – 13 aprile 2015 Presidente Grimaldi di Terresena – Relatore Ruvolo I fatti della causa e lo svolgimento del processo Con ricorso ex art. 737 c.p.c. depositato in data 5 maggio 2014 e regolarmente notificato, omissis omissis chiedeva pronunziarsi – nell’interesse superiore dei minori omissis e omissis – un provvedimento volto a statuire tempi e modalità di frequentazione tra lei e i due bambini, figli della ex compagna omissis omissis . Più precisamente, la ricorrente deduceva - che nel corso della loro relazione sentimentale, durata circa otto anni, la omissis , manifestato il desiderio di divenire madre, aveva avviato – con il sostegno morale ed economico della omissis – un processo di procreazione assistita di tipo eterologo, conclusosi con la gravidanza e la nascita dei due gemelli, omissis e omissis - che i bambini, sin da subito, erano stati accuditi ed accompagnati nella loro crescita da entrambe le donne e le stesse, nella prospettiva di realizzare un progetto di vita idoneo a garantire alla prole una crescita serena ed armoniosa e la costituzione di un vero e proprio nucleo familiare, avevano deciso di adire, nel settembre del 2011, il Tribunale per i Minorenni di Palermo al fine di ottenere il riconoscimento in capo alla omissis di una potestà analoga a quella genitoriale - che tale iniziativa si era, tuttavia, rivelata infruttuosa per l’intervenuto rigetto della domanda sia da parte del Tribunale dei Minori sia, in sede di reclamo, da parte della Corte di Appello di Palermo - che l’odierna ricorrente si era sempre fatta carico, quasi in via esclusiva, delle spese familiari e che nel maggio 2012 aveva donato alla omissis un fondo sito in omissis al fine di avviare un’attività agrituristica, stabilendo che, una volta venuti meno i previsti vincoli fiscali, la nuda proprietà passasse ai figli omissis e omissis , onde garantire loro una base economica iniziale - che, a causa di dissensi e contrasti insorti – sia sul piano economico sia sotto il profilo delle scelte educative dei minori – la relazione affettiva tra le due donne si era incrinata sino a dissolversi completamente nel febbraio del 2014, rendendo così assai difficoltosa l’assidua frequentazione della ricorrente con i minori, ormai conviventi con la madre presso un’altra residenza. Chiedeva, pertanto, l’emanazione di un provvedimento diretto a regolare – nel supremo interesse dei bambini – i rapporti tra questi e la stessa ricorrente, richiedendo a tal fine che venisse disposta una CTU al fine di verificare l’esistenza di una significativa relazione affettiva con i minori. Inoltre chiedeva sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell’art. 337 ter in relazione agli artt. 2 e 30 Cost., e in combinato disposto con gli artt. 317, 317 bis, 336 e 337 bis c.c., nella parte in cui non prevede il diritto al mantenimento di un rapporto equilibrato, continuativo e significativo del minore con il genitore sociale nel caso di separazione della coppia omosessuale. In data 10.7.2014 si costituiva in giudizio omissis omissis eccependo - in via preliminare l’incompetenza territoriale di questo Tribunale in favore del Tribunale di Termini Imerese, luogo in cui i minori vivevano al momento della proposizione del ricorso - l’inesistenza di una famiglia di fatto composta dalla stessa, i di lei figli e la ricorrente, pur ammettendo di avere avuto una relazione sentimentale con quest’ultima - nel merito, l’infondatezza giuridica e l’inammissibilità della domanda in considerazione dell’assenza nel nostro ordinamento di diritti del convivente del genitore di mantenere i rapporti con i figli dell’ex partner una volta cessata la convivenza. Chiedeva, pertanto, una declaratoria di incompetenza territoriale e, in subordine, il rigetto del ricorso nel difetto di un diritto azionabile. La proposizione del giudizio veniva comunicata ai sensi degli artt. 70 e 71 cod. proc. civ. – per le determinazioni di sua competenza in merito alla tutela dei minori – al Pubblico Ministero, il quale, intervenuto nel procedimento con atto del 17.11.2014, assumeva in proprio e nell’interesse pubblico le richieste formulate dalla ricorrente. Ritenuta la necessità di espletare una consulenza tecnica d’ufficio psicologica al fine di procedere all’audizione dei minori, questo Tribunale nominava due consulenti al fine di accertare 1. le modalità attuali di svolgimento delle dinamiche relative ai rapporti interpersonali tra le parti e tra queste ultime e i minori 2. l’eventuale esistenza di una consolidata relazione affettiva tra i minori e la ricorrente 3. la considerazione che i minori hanno della ricorrente e del ruolo della stessa nella loro vita quotidiana 4. le eventuali conseguenze derivanti dalla possibile interruzione dei rapporti tra i minori e la ricorrente 5. le opportune soluzioni in merito alle migliori modalità di incontro tra la ricorrente e i minori”. Espletata la consulenza tecnica d’ufficio dopo una rimodulazione, su richiesta di parte resistente, del calendario delle operazioni peritali, giusta ordinanza del 18.12.2014 e in assenza di ulteriori atti di istruzione probatoria, le parti discutevano la causa all’udienza del 16.3.2015, dopo avere depositato note conclusive autorizzate. La ricorrente insisteva per l’accoglimento delle conclusioni di cui all’atto introduttivo. In seno alle note conclusive, la resistente chiedeva dichiararsi l’incompetenza per materia del Tribunale adito in favore del Tribunale per i Minorenn, la mancanza di legitimatio ad causam della omissis __ nonché l’improcedibilità del giudizio per il principio del ne bis in idem ai sensi dell’art. 39 c.p.c In subordine, nel merito, disconosceva ogni valore probatorio all’elaborato peritale – poiché redatto in violazione del principio del contraddittorio nonchè per i discutibili metodi di indagine psicologica e neuropsichiatrica utilizzati dai consulenti d’ufficio – ed, in ogni caso, pervenuto, nel merito, a conclusioni non condivisibili. Chiedeva, altresì, disporsi ulteriori mezzi istruttori volti a dimostrare l’insussistenza di una famiglia di fatto e, in ogni caso, insisteva per il rigetto del ricorso. Il Pubblico Ministero concludeva per l’accoglimento del ricorso, facendo proprie le conclusioni cui erano pervenuti i consulenti d’ufficio. Motivi della decisione 1. Sulla competenza funzionale del Tribunale Ordinario. Fatta questa premessa sui fatti di causa e sullo svolgimento del processo, deve in via preliminare esaminarsi l’eccezione sollevata da parte resistente in sede di note conclusive relativa al difetto di competenza per materia del del Tribunale ordinario di Palermo. Essa si fonda sul rlievo che, vertendosi in materia di provvedimenti da emettere nell’interesse dei minori, giudice naturale, ex art. 38 disp. att. c.c., sarebbe il Tribunale per i Minorenni di Palermo. Orbene, a parte ogni considerazione circa la tardività dell’eccezione proposta, stante la rigida disciplina dettata al riguardo dall’art. 38 c.p.c. estensibile anche ai procedimenti di tipo camerale quale è quello pendente cfr. in generale sul punto dell’integrazione delle norme del rito camerale in quelle del rito ordinario, nei limiti della compatibilità Cass. SS.UU, numero 5629/1996 Cass., sez. 1, 15100/2005 , l’eccezione è nel merito infondata. L’analisi della questione deve necessariamente muovere dall’esegesi dell’art. 38 disp. att. c.c. che – come noto – costituisce la norma generale sulla competenza del giudice specializzato. È opportuno premettere che all’esito delle recenti riforme L.numero 219/2012 e D.Lgs. 154/2013 il quadro normativo sul riparto di competenze tra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario è radicalmente mutato, essendo state drasticamente ridimensionate le competenze civili del primo oggi, infatti, esso è competente, per i provvedimenti di cui agli artt. 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335, 371, ult. comma, c.c., oltre che i provvedimenti contemplati dagli artt. 251 e 317 bis c.c Specifica poi la norma che per i procedimenti di cui all’art. 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 del codice civile in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario”. Infine, viene mantenuta la clausola che prevede la competenza residuale del tribunale ordinario ove non sia espressamente indicata la competenza di altra autorità giudiziaria. È appena il caso di accennare che sono note a questo Collegio le numerose questioni interpretative che la nuova formulazione dell’art. 38 disp. att. c.c. ha sin da subito sollevato cfr. da ultimo Cass. ord. numero 1349/2015 . Tuttavia tali problematiche, concernendo soprattutto la corretta delimitazione delle competenze del Tribunale ordinario nel caso in cui sia in corso un giudizio di separazione, divorzio o giudizi comunque involgenti la responsabilità genitoriale ex art. 316 c.c., esulano del tutto dall’oggetto del presente procedimento. È, infatti, indispensabile precisare che nel caso che ci occupa non viene in rilievo nessuna delle ipotesi di competenza del giudice minorile come nominativamente individuate dall’art. 38 disp. att. c.c. in particolare non sono richiesti nel presente giudizio provvedimenti volti a pronunciare la decadenza dalla responsabilità genitoriale o comunque diretti a sanzionare condotte pregiudizievoli della omissis nei confronti dei figli, ciò che indubbiamente radicherebbe la competenza in capo al Tribunale per i minorenni. Posto che ai fini della competenza deve aversi riguardo alle domande formulate, va infatti rilevato che ciò che è stato chiesto dalla omissis è l’adozione dei provvedimenti ritenuti più idonei ad assicurare il superiore interesse di omissis e omissis e per l’effetto stabilire tempi e modalità di frequentazione con la sig.ra omissis ”. Nel ricorso si parla di diritti fondamentali” di omissis e omissis pag. 11 , del fatto che non vi è dubbio, nella fattispecie in esame, che la presenza della sig.ra omissis abbia rappresentato – e continui a rappresentare – una risorsa per omissis e omissis ” pag. 15 e di un diritto dei minori che si fonda anche sull’art. 337 ter c.c. pag. 16 . E nel suo atto di intervento il P.M. ha chiaramente affermato che lo strumento giudiziario dell’art. 333 c.c., se pure in astratto in grado di provocare una ripresa di rapporti quale quello in contestazione, esige in concreto un elemento supplementare del tutto alieno al caso in esame la norma prevede una tutela dell’interesse del minore – nella specie potenzialmente coincidente con l’armonica ripresa dei rapporti con l’ex partner della madre – solo a fronte di un esercizio pregiudizievole da parte della madre della propria potestà genitoriale e con un tasso di lesività tale da comportare un ridimensionamento di gamma variavile di quella potestà, fino a poter giungere all’estremo della sua decadenza. Ciò che si chiede invece – in questo come in altri casi analoghi – è soltanto garantire una più completa armonizzazione nello sviluppo psichico del minore scongiurando interruzioni traumatiche di relazioni affettive di tipo familiare, piuttosto che una limitazione dell’ambito della potestà della madre biologica”. Non è stata quindi avanzata una domanda diretta ad ottenere la declaratoria di decadenza o la limitazione della potestà dei genitori, ma una domanda finalizzata al riconoscimento di diritti fondamentali dei minori ex art. 337 ter c.c. Il fatto, poi, che come effetto indiretto del riconoscimento di un diritto fondamentale dei minori ex art. 337 ter c.c. si possa in concreto produrre una qualche compressione delle scelte genitoriali non comporta che oggetto del giudizio diventino condotte pregiudizievoli del genitore che meritano la limitazione o l’ablazione della sua potestà. Né, sotto altro profilo, è possibile ricondurre in via analogica il caso in esame, come la resistente mostra invece di ritenere, nell’alveo della fattispecie contemplata dall’art. 317 bis relativo al diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni , anch’esso ricadente nell’ambito di competenza del giudice specializzato. Ed infatti, nel presente giudizio la omissis non ha fatto valere il proprio diritto di visita ma il diritto dei minori a mantenere con lei una relazione affettiva, formulando una domanda ex art. 337 ter c.c., poi fatta propria dal P.M. Va poi ulteriormente precisato che la norma di cui all’art. 38 disp. att. c.c., essendo una disposizione volta ad individuare un criterio di competenza funzionale, non è suscettibile di estensione analogica, imponendosi, di contro, un’interpretazione restrittiva della stessa, pena la vanificazione del principio della garanzia del giudice naturale precostituito per legge oltre che per ovvie esigenze di certezza connaturate al processo. In conclusione, questo Tribunale ritiene che il caso in esame vada ricondotto nell’alveo della clausola residuale posta dall’art. 38 disp. att. c.c. a tenore del quale sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria”, sicchè deve affermarsi la competenza funzionale del Tribunale ordinario. 2. Sulla competenza territoriale del Tribunale di Palermo. Ritenuta sussistente la competenza funzionale di questo Tribunale, occorre adesso esaminare l’ulteriore eccezione di incompetenza territoriale di questo Tribunale sollevata dalla parte resistente. Invero, la omissis ha osservato che al momento della proposizione del ricorso risiedeva, insieme ai bambini, a omissis omissis , con la conseguenza che la competenza territoriale si radicava presso il Tribunale di Termini Imerese nel cui circondario ricade il predetto Comune di omissis . Ciò sulla scorta del rilievo che, in relazione ai provvedimenti diretti ad intervenire sulle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale, ai fini dell’individuazione del giudice territorialmente competente occorre avere riguardo al luogo in ciu il minore vive o si trova di fatto al tempo in cui è proposto il ricorso. Orbene, è incontestabile che, vertendosi in materia di provvedimenti tendenti all’interesse del minore e alla protezione della sua persona, il criterio applicabile nel caso di specie – ai fini dell’individuazione del giudice territorialmente competente – sia quello della residenza abituale del minore al momento della introduzione del giudizio. Tuttavia, la concreta determinazione di tale parametro – alla luce della costante interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità nonché dei dati fattuali offerti dalle parti in causa – porta a ritenere sussistente la competenza territoriale in capo a questo Tribunale e non già, come ritenuto dall’odierna resistente, in capo al Tribunale di Termini Imerese. Ed infatti, nella motivazione della ordinanza numero 21750 del 4.12.2012 la S.C. di Cassazione ha chiarito che in tema di affidamento del figlio naturale, è competente il tribunale per i minorenni del luogo dove si trova la dimora abituale del minore nel momento in cui è stato proposto il ricorso, senza che assuma rilievo la mera residenza anagrafica o eventuali trasferimenti contingenti o temporanei invero, nella individuazione in concreto del luogo di abituale dimora non può farsi riferimento ad un dato meramente quantitativo, rappresentato dalla prossimità temporale del trasferimento di residenza e dalla maggiore durata del soggiorno in altra città, essendo, invece, necessaria una prognosi sulla probabilità che la nuova dimora diventi l'effettivo e stabile centro d'interessi del minore ovvero resti su un piano di verosimile precarietà o sia un mero espediente per sottrarsi alla disciplina della competenza territoriale” cfr. in tal senso anche le più recenti pronunce Sez. 6 Ordinanza numero 17746 del 19/07/2013 Sez. Unumero , sentenza 28 maggio 2014 numero 11915, la quale afferma sostanzialmente gli stessi principi al fine di individuare l’autorità giudiziaria competente in caso di doppia cittadinanza del minore . Tali principi, riferiti al criterio dell’effettiva dimora del minore, sebbene statuiti con riferimento alla competenza territoriale del Tribunale per i Minorenni, ben possono essere applicati anche nel caso in esame, trattandosi di materie e di ipotesi sostanzialmente analoghe, per quanto attribuite al Tribunale ordinario. Ora, la ricostruzione fornita dalla omissis dà esclusiva rilevanza all’avvenuto trasferimento di residenza della stessa e dei minori nel Comune di omissis omissis , facendo così riferimento al dato meramente formale di tipo anagrafico-amministrativo, senza invece tenere in debito conto ulteriori e rilevanti elementi di fatto emersi nel corso del procedimento che è, invece, necessario valutare al fine dell’accertamento concreto del luogo in cui è radicato territorialmente il minore. Infatti, già alla prima udienza tenutasi in data 11.7.2014 la ricorrente ha dato prova della circostanza che, sebbene il formale cambio di residenza della omissis e dei bambini, gli stessi vivevano abitualmente a Palermo presso l’abitazione della nonna e continuavano a frequentare quotidianamente la scuola in cui erano iscritti già da prima del trasferimento anagrafico, ossia l’Istituto omissis sito a Palermo cfr. copia sms prodotto dalla difesa della ricorrente e copia dei bonifici bancari eseguiti dalla omissis a favore della scuola omissis . Inoltre, all’udienza del 24.10.2014 la stessa omissis ha dichiarato che, pur mantenendo la residenza a omissis omissis , vive stabilmente insieme ai figli a omissis in via omissis dal 1° settembre 2014. Orbene, una corretta interpretazione del criterio della residenza abituale del minore, da individuare quale luogo in cui il minore svolge in modo continuativo la propria vita personale e familiare e da condurre alla luce dei dati di fatto testè elencati e dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, porta a radicare la competenza territoriale in capo a questo Tribunale, essendosi accertato che la nuova residenza anagrafica dei minori non corrisponde affatto al luogo di stabile dimora degli stessi. Non sarebbe peraltro finalizzata al soddisfacimento del superiore interesse dei minori una soluzione che privilegiasse la competenza di un’Autorità giudiziaria sita nel luogo dove gli stessi minori hanno solo la residenza anagrafica e non vivono rispetto a quella dell’Autorità giudiziaria sita nel luogo dove si svolge abitualmente la vita dei minori. L’eccezione di incompetenza territoriale è quindi infondata. 3. Sull’asserita violazione del principio del ne bis in idem. Ciò detto in merito alla sussistenza della competenza funzionale e territoriale di questo Tribunale, deve ora analizzarsi l’ulteriore questione prospettata da parte resistente relativamente alla presunta violazione della fondamentale regola del ne bis in idem, che, ove ritenuta fondata, determinerebbe l’improcedibilità dell’azione. Più precisamente, la difesa della omissis ha sostenuto che le domande di cui al ricorso proposto dalla omissis ex art. 737 c.p.c. ed introduttivo del presente giudizio sarebbero sostanzialmente identiche alle domande già formulate dinanzi al Tribunale per i Minorenni il 5.7.2011 e poi in sede di reclamo avanti alla Corte di Appello sez. Minori il 21.11.2011 volte ad ottenere il riconoscimento in capo alla omissis del ruolo di genitore sociale, con la consequenziale attribuzione di responsabilità genitoriale e l’attribuzione di un diritto di frequentazione stabile con i minori omissis e omissis , richieste respinte in entrambi i gradi di giudizio cfr. ricorso e pronunce in atti . Il principio del ne bis in idem processuale impone – come è noto – il divieto a qualsiasi eventuale altro giudice di pronunciarsi ulteriormente sulla materia che è già stata oggetto di una pronuncia passata in giudicato. Tuttavia, perché possa dirsi in concreto violato il suddetto canone occorre che l’azione proposta sia la stessa di quella su cui si è formato il giudicato, dovendosi all’uopo procedere all’esatta individuazione degli elementi soggettivi ed oggettivi delle due azioni. In altri termini, devono necessariamente essere identici tutti i requisiti identificativi dell’azione, vale a dire i soggetti attivi e passivi del rapporto sostanziale dedotto in processo , il petitum, ovvero ciò che si chiede con la domanda, e la causa petendi, ossia il titolo giuridico su cui la domanda si fonda. Se anche uno solo di tali elementi risulta differente non può dirsi integrata la violazione del ne bis in idem. Ora, nel caso in esame, è indubbio che le azioni proposte innanzi al Tribunale dei Minori e poi alla Corte d’Appello siano differenti in tutti e tre gli elementi sopra individuati dall’azione intrapresa dinanzi a questo Tribunale. Ed infatti, con riferimento all’elemento soggetivo va evidenziato che il ricorso del 2011 al Tribunale dei Minori è stato congiuntamente proposto da entrambe le donne, all’epoca conviventi, ed era volto ad ottenere il riconoscimento in capo alla omissis nei confronti dei minori di doveri e poteri analoghi a quelli inerenti la potestà genitoriale. Per contro, il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato presentato dalla sola omissis nei confronti della omissis al fine di ottenere, come detto, il riconoscimento di un diritto dei minori e l’adozione dei provvedimenti ritenuti più idonei ad assicurare il superiore interesse di omissis e omissis e per l’effetto stabilire tempi e modalità di frequentazione con la sig.ra omissis ” v. la domanda di pag. 17 del ricorso della omissis fatta propria dal PM nel suo atto di intervento a tutela dei minori . Ne deriva l’impossibilità di identificazione degli elementi soggettivi ed oggettivi delle due azioni sopra indicate e l’infondatezza dell’eccezione relativa alla violazione del principio del ne bis in idem. 4. Sulla legittimazione ad agire della ricorrente omissis e sulla partecipazione del P.M. al procedimento e sull’assunzione in proprio e nell’interesse pubblico del petitum della ricorrente. Ulteriore aspetto da esaminare in via preliminare concerne la legittimazione ad agire dell’odierna ricorrente, il cui difetto determinerebbe la c.d. carenza di azione, rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio. Come è noto, la legitimatio ad causam costituisce, unitamente all’interesse ad agire art. 100 c.p.c. ed all’esistenza del diritto c.d. possibilità giuridica , una delle condizioni dell’azione che il giudice ha l’onere di accertare prima di procedere all’esame del merito. Essa si risolve nella titolarità del potere e del dovere, rispettivamente per la legittimazione attiva e per quella passiva, di promuovere o di subire un giudizio in ordine al rapporto dedotto in causa, indipendentemente dalla questione sull’effettiva titolarità dal lato attivo o passivo del rapporto controverso, che è invece questione di merito della cui prova è onerata la parte attrice, pena il rigetto della domanda cfr. in generale sulla legittimazione ad agire, tra le altre, Cass. numero 13756 del 14/06/2006, Rv. 592155 Cass. numero 2326 del 06/02/2004, Rv. 569951 . Nel caso in esame la ricorrente non è titolare del diritto potestativo di ottenere una decisione nel merito, non potendo ella che non è né genitore biologico né genitore adottivo fare valere diritti dei minori tra cui quello azionato nel presente giudizio del diritto dei minori ad incontrare persone con cui esistono relazioni affettive stabili . Va al riguardo considerato che il vigente sistema legislativo non detta alcuna disciplina con riferimento ai diritti che l’ex convivente etero o omosessuale che sia del genitore biologico di figli minori potrebbe vantare nei confronti di questi ultimi né conferisce alcuna legittimazione ad agire per conto e nell’interesse di soggetti minori con cui appunto non sussiste un rapporto genitoriale. Infatti, non v’è allo stato attuale nel nostro ordinamento alcuna previsione che riconosca potestà e responsabilità genitoriali al c.d. genitore sociale”. È indubbio che l’evoluzione della società ha fatto emergere modelli familiari e sociali differenti da quelli tradizionali si pensi in via esemplificativa al fenomeno delle c.d. famiglie ricomposte, etero e omosessuali, alle famiglie mogenitoriali, alle famiglie composte da persone dello stesso sesso e dai figli nati da precedenti relazioni o attraverso tecniche di fecondazione assistita, etc. . Ancora, è oltremodo verosimile che il legislatore italiano dovrà necessariamente confrontarsi con l’evoluzione della fenomenologia delle relazioni interpersonali in atto e che delle aperture in tal senso sono già state mostrate il riferimento è al disegno di legge 1320 – XVII Leg. - presentato nel febbraio 2014 dai senatori Manconi, Palermo e Lo Giudice e non ancora esaminato - che intende introdurre l’istituto della delega dell’esercizio della responsabilità genitoriale, così consentendo di dare sicurezza e validi punti di riferimento ai bambini che crescono all’interno di nuclei familiari atipici . Tutto ciò considerato, è tuttavia altrettando indubbio che allo stato attuale non è prevista alcuna responsabilità genitoriale in capo all’ex convivente omosessuale o eterosessuale del genitore nei confronti dei figli del precedente compagno. Va quindi dichiarato il difetto di legittimazione attiva della ricorrente con riferimento alle domande formulate nel ricorso. Ciò nonostante, deve proseguirsi nell’esame del merito della questione sulla scorta della partecipazione al presente procedimento del PM quale interveniente necessario in base al disposto dell’art. 70 nel testo risultante all’esito della sentenza della Corte Costituzionale numero 214 del 1996 che ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale nella parte in cui non prescrive l'intervento obbligatorio del pubblico ministero nei giudizi tra genitori naturali che comportino provvedimenti relativi ai figli , nei sensi di cui agli artt. 9 della legge numero 898 del 1970 e 710 del codice di procedura civile come risulta a seguito della sentenza numero 416 del 1992” . Peraltro, è noto che il P.M. può intervenire in ogni causa in cui ravvisa un pubblico interesse ex art. 70, comma tre, c.p.c. Il Pubblico Ministero, con atto depositato il 17 novembre 2014, nel superiore interesse dei minori, ha fatto propria la domanda della ricorrente, chiedendo, quale mezzo al fine dell’accoglimento della pretesa spiegata con il ricorso, di disporsi una consulenza tecnica d’ufficio al fine di accertare se, nell’esclusivo interesse morale e materiale dei minori, fosse o meno opportuno riconoscere alla omissis la possibilità di frequentare i bambini, omissis e omissis . 5. Sulla questione di legittimità costituzionale proposta dalla ricorrente. La ricorrente ha sollevato, con l’atto introduttivo del presente procedimento, questione di legittimità costituzionale dell’art. 337 ter in relazione agli artt. 2 e 30 Cost., e in combinato dispoto con gli artt. 317, 317 bis, 336, 337 bis c.c., nella parte in cui non prevede il diritto al mantenimento di un rapporto equilibrato, continuativo e significativo del minore con il genitore sociale nel caso di separazione della coppia omosessuale. Come è noto, in ragione del carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, il giudice a quo deve in primo luogo verificare che il giudizio alla sua attenzione non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale c.d. rilevanza” , vale a dire che la disposizione della cui costituzionalità si dubita dovrà essere applicata nel giudizio in corso e quindi che quel medesimo giudizio non potrà essere definito se prima non viene risolto il dubbio di legittimità costituzionale che ha investito la relativa disposizione. Inoltre, per la Corte costituzionale va dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal rimettente quando questi trascuri di sperimentare la possibilità di dare alla disposizione censurata un’interpretazione costituzionalmente orientata e di spiegare le ragioni che impediscono di pervenire ad un risultato idoneo a superare i dubbi di costituzionalità cfr. per tutte Corte cost. 230/2010 192/2010 190/2010 189/2010 154/2010 110/2010 . Orbene, nella fattispecie concreta sottoposta all’attenzione del Collegio difetta il carattere della rilevanza della questione sollevata e della necessaria strumentalità rispetto alla decisione da adottare per quanto concerne l’art. 317 bis. c.c., e ciò considerato che, come già osservato, nel presente giudizio è stato fatto valere il diritto dei minori ad incontrare persone con cui essi hanno una relazione affettiva stabile e non è stata invece chiesta la tutela del diritto di visita dell’ex convivente del genitore. E per quanto concerne l’art. 337 ter c.c. la questione è inammissibile alla luce dell’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata che viene adottata con il presente provvedimento v. infra . 6. Sulle osservazioni di parte resistente in merito alle modalità di svolgimento della consulenza tecnicna d’ufficio il mancato rispetto del principio del contraddittorio. La difesa della omissis ha sollevato molteplici eccezioni in sede di memoria conclusiva che attengono alla presunta irregolarità di svolgimento delle operazioni peritali da ravvisarsi nel mancato rispetto del principio del contraddittorio, che avrebbe impedito ai consulenti di parte di intervenire e svolgere in modo compiuto il mandato loro conferito. In particolare, si contesta ai consulenti tecnici di ufficio di non aver garantito ai consulenti di parte un’adeguata e diretta partecipazione alle operazioni peritali, avendo essi scelto di adottare la metodica della videoregistrazione piuttosto che quella – suggerita dagli stessi consulenti di parte – dello specchio unidirezionale o della videoproduzione a circuito chiuso. Il sistema prescelto dai periti d’ufficio avrebbe, nell’ottica della difesa della omissis , consentito solo in parte di esercitare il diritto alla partecipazione dei consulenti tecnici di parte, con la conseguenza che i consulenti d’ufficio avrebbero interpretato a loro modo le richieste di approfondimenti ai minori, senza possibilità di interloquire e di avere con loro un contraddittorio sul metodo. Ad esempio, si contesta ai consulenti d’ufficio di non avere riportatato le domande aperte negli stessi termini suggeriti dai consulenti di parte, ma predisponendo una tabella contenente alcuni disegni che avrebbero in tal modo limitato le risposte dei bambini o, ancora, di non aver ascoltato i minori anche in modo separato l’uno dall’altra. Ed ancora, un ulteriore addebito viene mosso ai periti d’ufficio per non avere allegato – nel depositare l’elaborato peritale conclusivo e gli atti dagli stessi compiuti nel corso dello svolgimento dell’incarico – atti provenienti dai consulenti di parte. Orbene, tutte le doglianze testè elencate vanno rigettate. Ed infatti, un’attenta disamina dell’elaborato peritale, delle osservazioni dei consulenti tecnici di parte e della relativa valutazione operata dai consulenti d’ufficio porta a concludere che, nel caso in esame, non si è verificata in concreto alcuna violazione del fondamentale principio del contraddittorio. In primo luogo, va rimarcata la scelta del Tribunale di conferire l’incarico – per la particolare delicatezza dell’oggetto dell’indagine – a ben due esperti, la dott.ssa Maria L.L.T., psicologa clinica, ed il dott. F.V., neuropsichiatra dell’età evolutiva e psicoterapeuta che – sebbene non iscritto all’albo dei CTU di questo Tribunale – è stato nominato per la peculiare specializzazione e competenza in materia. Va poi osservato che, a fronte della richiesta dei consulenti tecnici di parte che le operazioni peritali si svolgessero con una modalità tale da rendere più neutra e meno invasiva l’audizione dei minori, i periti nominati da questo Tribunale hanno ritenuto – nell’esercizio della discrezionalità che loro compete – di optare per la videoregistrazione dei colloqui con i minori, consentendo poi ai consulenti di parte di visionare in tempo utile il materiale prodotto al fine di potere eventualmente formulare domande e sollecitazioni ai consulenti d’ufficio. In ultima analisi, non sussiste l’asserita violazione del diritto della parte resistente di partecipare all’indagine peritale, avendo ella partecipato con i propri consulenti tecnici alle operazioni, presentato per iscritto, dopo la concessione di appositi termini osservazioni ai risultati della CTU e depositato note conclusive. Non è stata, pertanto, arrecata alcuna lesione in concreto al principio del contradditorio. D’altra parte, per pacifica giurisprudenza di legittimità eventuali irritualità dell’espletamento della CTU ne determinano la nullità solo ove procurino una violazione in concreto del diritto di difesa, riducendosi ad ipotesi emblematiche quali, ad esempio, la mancata comunicazione alle parti della data di inizio delle operazioni peritali o l’epletamento di compiti esorbitanti dai quesiti posti dal giudice ovvero non consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente cfr. sul punto, tra le altre, Cass. 9231/2001 Cass. numero 13428/2997 Cass. 15874/2010 Cass. 1744/2013 . Per quanto concerne poi le osservazioni critiche relative alla mancata proposizione da parte dei consulenti d’ufficio delle domande suggerite dai consulenti della omissis ovvero all’inidoneità dell’impianto metodologico e al quadro teorico utilizzato, è appena il caso di osservare che secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione il c.t.u. non è tenuto ad eseguire gli accertamenti sollecitati dal consulente di parte, in quanto egli è vincolato unicamente ai quesiti postigli dal Giudice Cass., sez. II, 1981 numero 3401 . Peraltro, nel caso in esame i dottori V. e L.T. hanno accolto le domande e le considerazioni proposte dai consulenti di parte, seppure sottoponendole ad un legittimo vaglio critico e riformulandole secondo le modalità da loro ritenute più opportune. Del pari priva di fondamento è l’eccezione relativa alla mancata allegazione da parte dei consulenti d’ufficio del materiale prodotto dai consulenti di parte, in quanto, avendo tale documentazione lo stesso valore di un’allegazione difensiva, ben può essere prodotta direttamente dalla parte, come in effetti avvenuto nel caso in esame con l’allegazione alle note conclusive. Peraltro, ciò che viene censurato è soltanto il dato formale della mancata allegazione delle istanze dei consulenti di parte e non già il loro esame e la relativa valutazione da parte dei consulenti di ufficio, attività che sono state compiutamente espletate da questi ultimi pervenendo al rigetto o alla riformulazione delle richieste dei consulenti di parte come ammesso dalla stessa resistente nelle note conclusive . L’indagine peritale non è, dunque, viziata da alcun profilo di nullità. Deve quindi ora procedersi all’esame del merito. 6. L’esame del merito della questione necessità di salvaguardare il superiore interesse dei minori. Venendo al merito della controversia, si deve in primo luogo osservare in punto di fatto che, diversamente da quanto sostenuto dalla resistente in comparsa di risposta e ribadito nelle note conclusive, questo Tribunale ritiene idoneamente provato, alla luce degli elementi acquisiti nel corso del procedimento, il dato – rilevante ai fini della decisione – della pregressa sussistenza di un nucleo familiare di fatto tra le odierne parti, omissis omissis e omissis omissis e i di lei figli, omissis e omissis . Al riguardo è sufficiente osservare che, tra gli atti allegati al presente procedimento, si rinviene copia del ricorso presentato congiuntamente dalle odierne parti al Tribunale per i Minorenni di Palermo nel 2011 momento in cui era ancora in atto la relazione amorosa tra le due donne al fine di ottenere il riconoscimento in capo alla omissis di poteri e doveri corrispondenti alla potestà genitoriale nei confronti dei minori omissis e omissis . In tale atto, sottoscritto – è bene ribadirlo – non solo dalla omissis ma anche dalla omissis , le ricorrenti danno atto di essere unite dal 2004 da una stabile relazione affettiva, di avere deciso nel 2007 di attuare un comune progetto genitoriale consapevole e di avere abitualmente vissuto insieme con la prole condividendo ogni decisione inerente la vita, la salute e l’educazione dei bambini dando vita ad un nucleo familiare che ha scelto quale dimora abituale l’abitazione di omissis ” cfr. ricorso al Tribunale per i Minorenni, pag. 2 allegato in atti . Nel ricorso le donne lamentavano che, malgrado la omissis di fatto svolgesse il ruolo di genitore e avesse a carico l’intero nucleo familiare, provvedendo a gran parte dei bisogni familiari, in concreto non aveva alcun riconoscimento giuridico da parte dell’ordinamento come figura genitoriale e, in ragione di ciò, chiedevano al Tribunale per i minorenni l’attribuzione della potestà genitoriale in capo alla stessa. Ora, è evidente che la sottoscrizione da parte della omissis di tale atto giudiziario volto al riconoscimento legale della genitorialità della omissis e, a fronte del decreto di rigetto del Tribunale per i Minorenni, il successivo insistere in tale richiesta col reclamo proposto alla Corte di Appello, fornisce adeguata prova della sussistenza di una stabile unione affettiva e, per quel che qui rileva, di un reale nucleo familiare costituito dalle due donne e dai bambini, omissis e omissis , oltre che dell’esercizio di fatto da parte della omissis del ruolo di genitore. Peraltro, nel corso del presente procedimento, fase in cui la convivenza era già ampiamente cessata, le parti hanno inizialmente raggiunto su impulso del giudice degli accordi poi non rispettati in ragione dell’inasprirsi della conflittualità tra le stesse con riguardo alle frequentazioni tra i minori e la omissis , il che testimonia ancora una volta l’esistenza di uno schema tipicamente familiare cfr. verbale udienza dell’11.7.2014 . Lo stato di fatto appena delineato ha ricevuto altresì conferma da quanto è emerso nel corso delle operazioni peritali svolte dai consulenti d’ufficio, i quali hanno attestato che non vi è dubbio alcuno che, al di là degli eventi concreti, ad entrambi i bambini deve essere stata prospettata una visione di identità familiare e una storia della loro generatività che deve aver compreso in qualche modo sia la signora omissis che la signora omissis . È prova evidente di ciò che i bambini nel rappresentare la loro costellazione affettiva di riferimento hanno disegnato quattro personaggi loro stessi, mamma D. e P. In questa direzione risulta ancora più significativo l’inizio della prima osservazione fatta con i bambini, quando omissis per presentarsi propone ai consulenti un indovinello – indovinate se abbiamo due mamme o due papà oppure una mamma e un papà? ” cfr. consulenza tecnica d’ufficio, pag. 57 allegata in atti . Ed ancora, osservano che il percorso peritale ha permesso di evidenziare come i piccoli omissis e omissis si riconoscono nel sistema familiare composto da loro due e da mamma omissis , omissis e le loro famiglie d’origine ” cfr. CTU pag. 59 . Viene poi precisato che la significatività di una relazione affettiva con un bambino va ricondotta, secondo la prospettiva del minore, al suo vissuto, alla possibilità che egli abbia costruito una immagine di quell’adulto e del legame che ad esso lo unisce, tale che lo renda significativo, continuativo, fondante nel suo processo di crescita. Orbene perché ciò si realizzi quell’adulto deve aver espresso nei confronti del bambino una fase di accudimento in qualche modo significativa, una pregnanza di ruolo educativo, una sintonizzazione sull’ascolto dei suoi bisogni e sulla possibilità di rispondere ad essi con modalità adeguate, una capacità di incidere nella costruzione del suo sistema di attribuzione dei significati esperienziali, la possibilità di sostenere il bambino anche solo in alcune delle sue fasi di sviluppo” cfr. CTU pag. 59 . Nel rispondere ai quesiti formulati da questo Tribunale, i consulenti d’ufficio evidenziano, per quanto qui di interesse, che è apparsa evidente una profonda significatività affettiva tra omissis , omissis e la signora omissis , tale che, benché i bambini non la identifichino specificamente in una funzione genitoriale de facto, la riconoscono però come appartenente al loro sistema familiare nucleare in una posizione di seconda mamma. In considerazione di quanto sopra espresso si considera significativamente pericoloso per i bambini una interruzione o una discontinuità del legame tra loro e la signora omissis . Tale decisione per altro non incontra il volere dei bambini. Si considera, altresì, pericoloso una evoluzione che possa stravolgere la storia familiare e di generatività che questi bambini hanno introiettatto. Tale interruzione potrebbe avere effetti nefasti sulla loro continuità affettiva e narrativa determinando profonde ripercussioni sulla evoluzione della loro identità psichica. Non risponderebbe, quindi, all’interesse superiore dei minori. Si ritiene altresì che la signora omissis possa costituire con la sua affettività una risorsa positiva per i bambini”. Assodata l’esistenza di una famiglia di fatto all’epoca in cui la relazione tra le due ricorrenti era ancora in atto e di un permanente rapporto affettivo significativo tra la omissis e i due bambini, in adesione a quanto ritenuto dai consulenti d’ufficio – da cui non v’è motivo per discostarsi – circa la necessità di mantenere tale rapporto, pena la produzione sui bambini di effetti gravemente pregiudizievoli e nefasti sulla loro continuità affettiva e narrativa” con profonde ripercussioni sulla evoluzione della loro identità psichica”, questo Tribunale ritiene che vada assolutamente preservato – in funzione del preminente interesse dei minori – il solido rapporto esistente tra loro e la persona che, sin dalla loro nascita, ha svolto il ruolo sostanziale di genitore c.d. genitore sociale . Privare omissis e omissis di un simile legame significherebbe – come ben sottolineano i consulenti d’ufficio – precludere loro di poter fare affidamento su una figura positiva fondamentale e di riferimento per la loro esistenza. Occorre, dunque, porsi in una dimensione sostanziale che salvaguardi il superiore interesse dei minori e valorizzi il rapporto che in concreto si è instaurato negli anni tra la omissis e i bambini. Nel caso in esame, non si può, infatti, ignorare l’esistenza di situazioni consolidate e cristallizzate da tempo i bambini hanno convissuto con entrambe le ricorrenti dal momento della loro nascita 24 maggio 2008 sino alla rottura della relazione sentimentale tra le due donne, avvenuta definitivamente nei primi mesi del 2014. Nel corso di questi sei anni i bambini hanno instaurato – come sopra evidenziato – un legame forte e significativo con la omissis che, a prescindere dall’inquadramento giuridico, nulla ha di diverso rispetto ad un vero e proprio vincolo genitoriale. Sul punto va precisato che, sebbene l’elaborato peritale – rispondendo al quesito posto dal Tribunale relativamente alla considerazione che i minori hanno della ricorrente e del ruolo della stessa nella loro vita quotidiana – affermino che i bambini non la identifichino specificamente in una funzione genitoriale de facto”, tuttavia subito dopo precisano che gli stessi comunque la riconoscono però come appartenente al loro sistema familiare nucleare in una posizione di seconda mamma”. Ne deriva, pertanto, che al di là delle espressioni adoperate dai consulenti per inquadrare il ruolo svolto dalla omissis nei confronti dei bambini, è indubbio che questi ultimi la percepiscono sostanzialmente come una figura significativa appartenente al loro sistema familiare, alla stregua di una seconda madre. Ed ancora, va al riguardo ulteriormente sottolineato che l’esclusione, da parte dei periti, della possibilità di una condivisione con la omissis della funzione genitoriale, esercitata oggi in via esclusiva dalla omissis , viene motivata non tanto sulla base di un’inidoneità della prima a svolgere tale funzione ovvero inopportunità che le venga attribuito tale ruolo, quanto per la forte conflittualità allo stato esistente tra le due donne, che non renderebbe possibile tale condivisione cfr. pagg. 60-61 C.T.U. in cui si afferma che la signora omissis esercita in atto una piena funzione genitoriale nei confronti dei minori, non vi sono in atto elementi per poter ipotizzare che tale funzione vada condivisa con la signora omissis stante la relazione interpersonale tra le due i contatti tra i minori e la signora omissis sono apparsi discontinui e comunque regolati dalla esclusiva decisione della signora omissis . Di questo i bambini si sono lamentati . Alla luce delle considerazioni sopra esposte, negare ai bambini i diritti ed i vantaggi che derivano dal loro rapporto con la omissis costituirebbe di certo una scelta non corrispondente all’interesse dei minori, principio fondante in ambito di provvedimenti concernenti minori e indicato, quale parametro di riferimento, anche in ambito europeo. Deve infatti a questo punto svolgersi qualche considerazione in punto di diritto prendendo le mosse dalle norme esistenti in materia in ambito sovranazionale, cui il nostro ordinamento si conforma ai sensi degli artt. 11 e 117 comma 1 della Costituzione, e dalla relativa evoluzione giurisprudenziale che, proprio in ambito sovranazionale, ha portato alla compiuta elaborazione del principio noto come best interest of the child”. Tale principio viene per la prima volta sancito nella Dichiarazione Universale dei diritti del fanciullo del 1959, ove si dice che il fanciullo, a causa della sua immaturità fisica e intellettuale, ha bisogno di una particolare protezione e di cure speciali, compresa una adeguata protezione giuridica sia prima che dopo la nascita”, ponendo il superiore interesse del fanciullo” come criterio guida da applicare ad ogni decisione che lo possa riguardare direttamente o indirettamente. Più di recente, il principio in esame ha trovato riconoscimento nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea c.d. Carta di Nizza ove l’art. 24, in materia di Diritti del bambino”, stabilisce, per quanto qui di interesse, che in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente” ed aggiunge che ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”. In una recente pronuncia la Corte di Giustizia, nell’esaminare il quadro dei diritti fondamentali riferibili ai minori, ha precisato che l’art. 7 della Carta di Nizza, che contiene diritti corrispondenti a quelli garantiti dall’art. 8, paragrafo 1 della Cedu id est il diritto di ogni individuo al rispetto della vita privata e familiare va letto in combinato disposto con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del bambino, sancito dal sopra citato art. 24, paragrafo 2, tenendo conto del pari della necessità per il bambino di intrattenere regolarmente rapporti personali con i due genitori Corte giust. 6 dicembre 2012, causa C-356/11 e C-357/11 . Al contrario, il concetto di superiore interesse del minore è estraneo all’esperienza normativa della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che all’art. 8, nel garantire ad ogni individuo il rispetto della propria vita familiare e personale”, non ne fa alcun cenno. Tuttavia, tale lacuna è stata via via colmata dalla giurisprudenza della Corte EDU che ha lodevolmente recuperato il principio in questione facendo diretto riferimento agli strumenti internazionali di protezione dell’infanzia che, come visto, al loro interno contengono un esplicito riferimento al concetto di interesse superiore del minore. Per quel che rileva ai nostri fini, va infatti evidenziato che la Corte di Strasburgo ha, in più occasioni, affermato che il rispetto della propria vita familiare e personale contempla anche il diritto dei genitori e dei figli – ma anche di altri soggetti uniti da relazioni familiari de facto – a mantenere stabili relazioni, soprattutto in caso di crisi della coppia, precisando al riguardo che occorre assicurare prevalenza al superiore interesse dei minori, anche a rischio di pregiudicare il diritto di uno dei genitori cfr. sul punto Corte eur. dir.uomo 13 giugno 1979, caso Marckx c. Belgium, in cui la Corte ha esteso la nozione di vita familiare di cui all’art. 8 anche alla famiglia non legittima che, nel caso di specie, era costituita da una madre e dalla figlia nata fuori dal matrimonio Corte eur. dir. uomo, 26 maggio 1994, caso Keegan c. Irlanda, in cui ha affermato che la nozione di famiglia di cui all’art. 8 non è limitata alle relazioni fondate sul matrimonio e può oltrepassare di fatto i legami familiari quando le parti convivono fuori dal matrimonio . E ancora, preminente interesse ai fini del caso che ci occupa, riveste una decisione della Corte di Strasburgo in cui è stato ribadito che la nozione di vita familiare non è limitata alle coppie sposate, sottolineando che i criteri rilevanti per la definizione sono la convivenza della coppia, la lunghezza della relazione, la presenza di figli occorre, dunque, accertare l’esistenza di una relazione effettiva. Nel caso di specie, la Corte ha riconosciuto valore giuridico a rapporti familiari di fatto, in particolare tra un partner e i figli dell’altro, valorizzando argomenti a favore dell’esistenza degli aspetti tipici di un regime familiare in presenza di un’effettiva cura e assistenza dei minori da parte degli adulti con essi conviventi Corte eur. dir.uomo 22 aprile 1997, X., Y. e Z. c. Regno Unito . Del pari nel caso Moretti e Benedetti c. Italia, la Corte, con sentenza del 27 aprile 2010, ha ancora una volta ribadito che l’art. 8 trova applicazione anche rispetto a relazioni familiari di fatto, basate su rapporti affettivi significativi. Nella specie, i ricorrenti si erano visti rigettare la domanda di adozione di un neonato che, subito dopo la nascita, era stato collocato provvisoriamente presso di loro, in quanto la madre aveva rifiutato di riconoscerlo. La Corte europea ha sancito l’applicabilità dell’art. 8 CEDU anche nei confronti dei ricorrenti, benché gli stessi non avessero potestà genitoriale sul bambino, statuendo il principio secondo cui tale disposizione va applicata anche ai legami familiari di fatto, in presenza di vincoli di natura affettiva. La Corte, valorizzando il dato della condivisione dei ricorrenti di tappe importanti nella vita del bambino in particolare, tutti gli stadi di sviluppo nei primi 19 mesi e che questo appariva ben integrato nella famiglia, ha ravvisato una violazione dell’art. 8 nel rigetto della domanda di adozione e nel collocamento del minore presso un altro nucleo familiare. È quindi possibile affermare che, nell’ottica della giurisprudenza della Corte EDU, l’art. 8 della Convenzione non assegna un diritto a costituire una famiglia ma è volto a tutelare una famiglia, lato sensu intesa, già esistente. L’esistenza di una vita familiare” ex articolo 8 CEDU è una questione che va vagliata ed accertata in fatto, in quanto essa non si limita ai rapporti fondati sul matrimonio e sulla filiazione legittima ma può comprendere altre relazioni familiari de facto, purché – oltre all’affetto generico – sussistano altri indici di stabilità, attuale o potenziale, quale potrebbe essere quello di una filiazione naturale o di una convivenza avutasi per un tempo significativo e poi cessata. Invero, in questa prospettiva, la determinazione del carattere familiare delle relazioni di fatto deve tener conto di un certo numero di elementi, quali il tempo vissuto insieme, la qualità delle relazioni, così come il ruolo assunto dall’adulto nei confronti del bambino e la percezione che quest’ultimo ha dell’adulto. Proprio in considerazione del forte legame stabilitosi, la Corte è giunta a statuire – nelle pronunce sopra citate – che, nonostante l’assenza di un rapporto giuridico di parentela, esso potesse rientrare nella nozione di vita familiare ai sensi dell'articolo 8 CEDU. Orbene, è proprio alla luce degli articoli sinora citati art. 8 Cedu, artt. 7 e 24 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’interpretazione che di essi ne hanno dato le Corti sovranazionali di riferimento, che vanno interpretate ed applicate al caso che ci occupa le norme dell’ordinamento interno rilevanti in subiecta materia. È appena il caso di rammentare che, con riferimento alle norme della CEDU, è noto che, secondo il costante orientamento della Corte Costituzionale, per i giudici nazionali vige il dovere di interpretare la norma interna in modo conforme alle norme convenzionali, nell’esegesi offertane dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo e solo in caso di impossibilità di interpretazione conforme hanno l’onere di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma interna per contrasto con la norma convenzionale interposta, per violazione dell’art. 117 comma 1 Cost. con l’ulteriore conseguenza che l’interpretazione data dalla Corte Europea vincola, anche se non in modo incondizionato, detti giudici e costituisce il diritto vivente della Convenzione cfr. Corte Cost. numero 348 e 349/ 2007 numero 80/2011 numero 15/2012 . Per contro, quando si tratta di norme derivanti dall’Unione Europea direttamente applicabili nel nostro ordinamento quali, tra l’altro, possono ritenersi le disposizioni della Carta di Nizza, stante il disposto dell’art. 6 del Trattato sull’UE che ha attribuito alla Carta dei diritti lo stesso valore giuridico dei trattati , in caso di insanabile contrasto tra esse e la norma interna, il giudice nazionale ricorre allo strumento della disapplicazione. Ciò posto, la cornice giuridica interna – da interpretare alla luce delle norme sovranazionali sopra richiamate, nell’interpretazione datane dai giudici di Strasburgo – è costituita dagli articoli 337 bis e 337 ter c.c., introdotti dall’art. 55 comma 1 del D.Lgs. 154/2013, che costituiscono oggi il riferimento normativo comune per i rapporti fra genitori e i figli in modo da diventare il solo riferimento per le controversie genitoriali, di separazione, divorzio o interruzione di convivenza tra persone anche non sposate. Più precisamente, dal combinato disposto degli artt. 337 bis e 337 ter si desume, per quel che qui rileva, che nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio” art. 337 bis c.c. il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale” art. 337 ter c.c. . Stabilisce poi il secondo comma dell’art. 337 ter c.c. che per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all'articolo 337 bis, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa” ed è altresì legittimato ad adottare, sempre nell’ottica di salvaguardia del superiore interesse dei minori, ogni altro provvedimento relativo alla prole”. Tali disposizioni si ispirano, dunque, al principio, di derivazione sovranazionale, della prevalenza dell’interesse del figlio, specie se minore, su ogni altro interesse giuridicamente rilevante che vi si ponga in contrasto. La ratio della norma di cui all’art. 337 ter è, invero, quella di dare preminenza all’interesse morale e materiale della prole, anche attraverso una restrizione, se ritenuto necessario, dei diritti e libertà degli altri soggetti coinvolti e in tale ottica attribuisce al giudice l’ampio potere di adottare provvedimenti idonei, senza ricorrere a tipizzazioni, al fine di assicurare flessibilità e capacità di conformazione alle esigenze di volta in volta concretamente da soddisfare. Ora, è oltremodo evidente che la norma limita expressis verbis il suo ambito di operatività al diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di coniugio tra questi ultimi. Tuttavia, la necessità di garantire il superiore interesse dei minori, posto alla base della norma di cui all’art. 337 ter e di interpretare la norma in conformità all’elaborazione giurisprudenziale che di tale principio ha fornito la Corte Europea nell’applicazione dell’art. 8 della CEDU sopra riportata, impone di procedere ad un’interpretazione certamente evolutiva ma costituzionalmente e convenzionalmente conforme dell’art. 337 ter c.c. volta ad estendere l’ambito applicativo della stessa sino a delineare un concetto allargato di bigenitorialità e di famiglia, ricomprendendo per tale via anche la figura del genitore sociale, ossia di quel soggetto che ha instaurato con il minore un legame familiare de facto significativo e duraturo. Come già sopra visto, la Corte Europea nelle sue pronunce è pervenuta ad inquadrare nell’ambito dell’art. 8 della CEDU anche il diritto di soggetti, diversi dal genitore biologico o legale, uniti da relazioni familiari effettive, a mantenere uno stabile rapporto, soprattutto in ipotesi di separazione della coppia, precisando al riguardo che occorre assicurare prevalenza al superiore interesse dei minori. Ed è proprio in questa prospettiva che si impone una lettura dell’art. 337 ter conforme a tali parametri, che possa cioè assicurare il preminente interesse dei minori omissis e omissis di frequentare stabilmente l’odierna ricorrente, come riconosciuto dalla consulenza tecnica espletata. Valorizzando il criterio guida del superiore interesse della prole minorile alla luce di quanto appena enunciato, è possibile ritenere che il profilo della discendenza genetica non va più considerato determinante ai fini dell’attribuzione al minore del diritto di mantenere stabili relazioni con chi ha comunque rivestito nel tempo il ruolo sostanziale di genitore, pur non essendo legato da rapporti di appartenenza genetica o di adozione con il minore stesso. Per contro, ciò che assume rilievo determinante è la circostanza che un nucleo familiare esiste con riguardo alla posizione del figlio e della sua tutela, non dovendosi invece dare risalto alla circostanza che sia venuto meno il vincolo affettivo che legava il genitore sociale a quello biologico. Quando il rapporto instauratosi tra il minore e il genitore sociale è tale da fondare l’identità personale e familiare del bambino stesso, questo rapporto deve essere salvaguardato, alla pari di quanto riconosce oggi l’art. 337 ter ai figli nei confronti dei genitori biologici. Una lettura della norma che escludesse dal suo ambito di operatività rapporti genitoriali di fatto sarebbe violativa delle disposizioni della Carta di Nizza e della Cedu significherebbe, in altri termini, privare di qualsiasi tutela i minori, il cui interesse, invece, va sempre perseguito nelle ipotesi di separazione, compresa quella tra il genitore biologico e il partner con cui di fatto è stata condivisa la responsabilità genitoriale. Tale interpretazione evolutiva, ad avviso di questo Tribunale, si impone proprio nell’ipotesi sottoposta al nostro esame, ossia il caso della separazione personale della coppia omosessuale che ha convissuto con i figli minori di uno dei due, instaurando un rapporto di genitorialità sociale con l’altro. Invero, in tali circostanze l’unico rapporto riconosciuto e tutelato dalla legge è quello con il genitore biologico, mentre il rapporto con il genitore sociale – sebbene avvertito e vissuto dal minore alla stregua dell’ altra figura genitoriale” – non riceve alcun riconoscimento o tutela, con conseguente privazione del minore della doppia figura genitoriale, in spregio al principio fondante in ambito di crisi coniugale o della coppia di fatto del mantenimento di rapporti costanti con ambedue le figure genitoriali concetto che, ad avviso di questo Collegio, va accolto nella sua accezione allargata”, comprendente sia i genitori biologici che sociali . Né coglierebbe nel segno un’eventuale obiezione circa l’inidoneità di un individuo omosessuale allo svolgimento di compiti genitoriali. Le acquisizioni delle scienze di settore, principalmente la neuropsichiatria infantile e la psicologia dell'età evolutiva, hanno evidenziato che la qualità dell’attaccamento dei figli e del loro sviluppo cognitivo e relazionale non dipende dalla compresenza di genitori di sesso diverso ma dalla pregnanza della relazione affettivo-genitoriale. Anche la S.C. di Cassazione nella motivazione della sentenza numero 601 del 2013 ha chiarito che in assenza di certezze scientifiche o dati di esperienza costituisce un mero pregiudizio l’asserzione che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale, poiché in tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per la crescita e lo sviluppo dei figli. Ed in tal senso si pongono pure diverse pronunce dei giudici di Strasburgo, i quali, non solo hanno ricondotto le coppie di fatto omosessuali nell’alveo della nozione di vita familiare” da tutelare ai sensi dell’art. 8 della CEDU, ma hanno altresì ricompreso in tale nozione anche il legame verticale che si stabilisce tra i conviventi omosessuali e la prole di uno di essi, pronunciandosi da ultimo in favore della c.d. second-parent adoption, ossia l’adozione, da parte del partner omosessuale, dei figli dell’altro partner, così da aprire direttamente la strada al riconoscimento delle funzioni genitoriali svolte dall’adulto non genitore omosessuale nella famiglia ricomposta. Ciò posto, alla luce delle considerazioni sin qui enunciate e in applicazione del combinato disposto degli artt. 337 bis e 337 ter c.c. nell’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme agli artt. 7 e 24 della Carta di Nizza ed all’art. 8 della Cedu come interpretato dalla Corte di Strasburgo , ritiene questo Tribunale che vada garantito il diritto dei minori, omissis e omissis , di mantenere un rapporto stabile e significativo con la omissis . Essendo possibile un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata nel senso sopra descritto della normativa interna, non occorre quindi neppure procedere ad un’applicazione diretta dell’art. 7 della Carta di Nizza che, come detto, ha, per effetto del Trattato di Lisbona, lo stesso valore giuridico dei Trattati – art. 6 TUE o, non ravvisandosi alcuna lacuna normativa in forza dell’interpretazione sopra indicata, dell’art. 8 della CEDU che non può essere applicato direttamente in caso di contrasto insanabile in via interpretativa con una norma interna – essendo invece necessario in questo caso sollevare questione di legittimità costituzionale – ma può trovare applicazione diretta in caso di lacuna normativa, essendo stata tale convenzione internazionale recepita da legge ordinaria . E peraltro, anche qualora si volesse ricorrere a tale percorso giuridico, pur astrattamente ipotizzabile, si perverrebbe di fatto, seppure sulla base di parametri normativi in parte diversi, al medesimo risultato del riconoscimento del diritto dei minori al mantenimento dei rapporti significativi con la ricorrente. Va ora precisato che non si tratta di riconoscere un diritto ex novo in capo ai minori ma solo garantire una tutela giuridica ad uno stato di fatto già esistente da anni, nel superiore interesse dei bambini, i quali hanno trascorso i primi anni della loro vita all’interno di un contesto familiare che vedeva insieme la madre biologica con la omissis , figura che essi percepiscono come riferimento affettivo primario al punto tale da rivolgersi spesso a lei con il termine mamma” come già ampiamente detto sopra . Ne deriva che, in accoglimento a quanto suggerito dai consulenti d’ufficio, il Tribunale ritiene opportuno prevedere un calendario di incontri tra la omissis e i bambini che sia così articolato un pomeriggio alla settimana da definirsi in base agli impegni dei bambini e, in mancanza di un’intesa tra le parti, da individuare nella giornata del mercoledì dalle 15.00 alle 20.00 e due fine settimana al mese a scelta delle parti e, in mancanza di accordo, da stabilirsi nel primo e nel quarto, decorrente dalla fine dell’orario scolastico del sabato fino alle 19 della domenica. Appare, altresì, opportuno delineare un regime di frequentazione relativo alle festività civili e religiose ed al periodo estivo, anche in questo caso nella prospettiva di salvaguardare l’interesse dei minori al mantenimento di un equilibrato rapporto affettivo con la ricorrente. Segnatamente, va stabilito che la ricorrente possa incontrare e tenere con sé i minori omissis e omissis - durante le festività natalizie di ciascun anno per tre giorni consecutivi comprendenti, ad anni alterni ed a decorrere dall’anno 2015, il 24 ed il 25 dicembre ovvero il 31 dicembre e l’1 gennaio - nel bimestre luglio-agosto per un periodo di sette giorni consecutivi da concordare tra le parti entro il mese di giugno di ciascun anno e da individuarsi, in difetto di accordo, nel periodo compreso tra l’1 ed il 7 agosto , con sospensione, nel mese prescelto, dell’ordinario regime di frequentazione infrasettimanale. Per quanto concerne le spese del presente procedimento, deve rilevarsi che questa vanno compensate in considerazione della particolarità e dell’originalità della questione, fattuale e giuridica, di cui al presente giudizio. Le spese di CTU vengono poste a carico della ricorrente. P.Q.M. disattesa ogni diversa istanza, eccezione e difesa, così provvede 1 dichiara il difetto di legittimazione attiva di omissis omissis 2 accoglie la domanda formulata dal PM nell’interesse dei minori e – in applicazione del combinato disposto degli artt. 337 bis e 337 ter c.c. nell’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme agli artt. 7 e 24 della Carta di Nizza ed all’art. 8 della Cedu come interpretato dalla Corte di Strasburgo – a garanzia del diritto dei minori omissis e omissis di mantenere un rapporto stabile e significativo con omissis omissis , dispone che la ricorrente abbia facoltà di incontrare e tenere con sé i predetti minori secondo le modalità specificate in parte motiva 3 compensa le spese processuali 4 pone a carico di omissis omissis le spese di CTU, liquidate come da separato decreto in atti.