Maggiorenne e universitaria, ma con piccoli lavori saltuari: mantenimento dal papà

Confermato l’obbligo, per l’uomo, di versare un assegno mensile da 300 euro all’ex moglie, con cui la figlia continua a convivere. Rilevanti due dati il buon percorso di studi della ragazza il difficoltoso confronto con un mondo del lavoro che propone, soprattutto ai giovani, attività saltuarie e poco retribuite.

Superato abbondantemente il ‘traguardo’ della maggiore età, e ancora alle prese col percorso universitario – compiuto, a dirla tutta, con buon profitto –, e soprattutto non catalogabile come autonoma da un punto di vista economico, nonostante alcune piccole, saltuarie attività lavorative. Questo l’identikit della ragazza – come ce ne sono tante in Italia – protagonista, suo malgrado, della vicenda giudiziaria nata a seguito del divorzio dei genitori. Ebbene, ora, fatti i conti in tasca alla ragazza – che convive con la madre –, è corretto obbligare il padre a fornirle un contributo per il suo mantenimento Cassazione, sentenza n. 1798, sez. I Civile, depositata oggi . Mantenimento. Momento clou nel percorso giudiziario è l’inversione di rotta decisa dai giudici della Corte d’Appello, i quali, sovvertendo l’ottica adottata in Tribunale, stabiliscono che l’uomo, oramai divorziato dalla moglie, debba versare a quest’ultima un assegno di 300 euro mensili per il mantenimento della figlia, convivente con la madre e, allo stesso tempo, debba contribuire, nella misura del 50 per cento alle spese sia scolastiche, comprese le tasse universitarie, sia sanitarie, non coperte dal ‘Servizio sanitario nazionale’, relative alla figlia . Rilevante, per i giudici, il consistente numero di esami universitari sostenuti dalla ragazza – di cui cinque nel corso del 2011 –, testimonianza concreta di un atteggiamento di sicuro non indolente e inoperoso nei riguardi degli studi . Indipendenza. Pronta la replica dell’uomo, il quale ritiene illogico l’obbligo di fornire un assegno di mantenimento per la figlia maggiorenne . Ma le obiezioni da lui messe ‘nero su bianco’, con ricorso ad hoc in Cassazione – e poggiate su una aperta contestazione delle connotazioni positive attribuite ai contegni tenuti dalla figlia maggiorenne e sul principio di emancipazione ed autodeterminazione della persona umana – vengono ritenute prive di valore dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, difatti, ritengono inattaccabile il riferimento utilizzato in secondo grado, ossia la mancanza di autonomia economica della ragazza. Perché, viene ricordato, ella non solo ha portato avanti un positivo percorso a livello universitario – come certificato dal ‘libretto’ rilasciato dall’ateneo –, ma, allo stesso tempo, ha anche svolto attività lavorativa, ancorché saltuaria . E su questo punto, in particolare, bisogna tener presente, come sottolineano già dai giudici d’Appello, che la rilevata esiguità dei profitti ricavati non appariva dimostrativa di una scarsa operosità o di un marginale rilievo di detta attività, essendo dato di comune conoscenza che le retribuzioni corrisposte ai giovani alla ricerca di una prima occupazione, in specie a fronte di attività saltuarie non sono sicuramente di entità tale da garantire loro l’indipendenza economica . Tutto ciò, quindi, rende assolutamente corretto l’obbligo imposto all’uomo, ossia il versamento di un assegno di 300 euro mensili alla ex moglie per il mantenimento della figlia maggiorenne .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 11 dicembre 2014 – 2 febbraio 2015, n. 1798 Presidente Forte – Relatore Giancola Svolgimento del processo Con decreto del 9.03-11.05.2012 il Tribunale di Palermo respingeva il ricorso che V.G. aveva proposto nel gennaio del 2011 nei confronti dell'ex marito A.A., onde ottenere, in revisione delle condizioni del divorzio, l'aumento dell'assegno a quest'ultimo imposto per il mantenimento della figlia delle parti Laura, maggiorenne e studentessa universitaria, mentre accoglieva la domanda riconvenzionale dell'A., volta alla revoca di tale contribuzione. Con ordinanza del 21.11-12.12.2012 la Corte di appello di Palermo in accoglimento del reclamo della G. ed in riforma del suddetto decreto, disponeva che per il mantenimento della figlia, convivente con la madre, l'A. corrispondesse alla moglie l'assegno di € 300,00 trecento mensili e contribuisse nella misura del 50%, alle spese sia scolastiche, comprese le tasse universitarie, e sia sanitarie non coperte dal SSN, relative all'anzidetta figlia. La Corte territoriale, premetteva anche il richiamo all'orientamento giurisprudenziale per il quale l'obbligo dei genitori di concorrere tra loro al mantenimento dei figli secondo le regole dell'art. 148 c.c. non cessa, ipso facto, con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell'obbligo stesso non dia la prova che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un'attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso, il cui accertamento non può che ispirarsi a criteri di relatività, in quanto necessariamente ancorato alle aspirazioni, al percorso scolastico, universitario e post - universitario del soggetto ed alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il soggetto abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione. Tanto anche evidenziato, la medesima Corte riteneva che nella specie, non sembrava che la ventisettenne figlia delle parti, la quale aveva al suo attivo, come era dato rilevare dalla documentazione prodotta, un consistente numero di esami universitari, di cui cinque sostenuti nel corso del trascorso anno 2011, avesse tenuto un atteggiamento indolente ed inoperoso nei riguardi degli studi, a parte la considerazione che, come era incontroverso, aveva svolto anche attività lavorativa, ancorché saltuaria, mentre la rilevata esiguità dei profitti ricavati non appariva senz'altro dimostrativa di una scarsa operosità o di un marginale rilievo di detta attività, essendo dato di comune conoscenza che le retribuzioni corrisposte ai giovani alla ricerca di una prima occupazione, in specie a fronte di attività saltuarie, non erano sicuramente di entità tale da garantire loro l'indipendenza economica. Alla stregua di tali considerazioni, si doveva concludere che, almeno allo stato, la reclamante G. fosse meritevole di fruire di un assegno di mantenimento per la figlia maggiorenne Laura con lei convivente, a carico dell'odierno reclamato, nella misura, reputata congrua, di € 300,00 mensili, nonché di fruire di un contributo, da parte dello stesso, nella misura del 50% in ordine alle spese scolastiche e sanitarie non coperte dal SSN. Avverso questo provvedimento l'A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. illustrato da memoria e notificato alla G., che ha resistito con controricorso e poi depositato memoria. Motivi della decisione A sostegno del ricorso l'A. denunzia 1. Violazione o falsa applicazione degli artt. 147, 148, 155 quinquies c.c. art. 360 n. 3 c.p.c. . . Censura l'impugnato provvedimento, contestando le connotazioni positive attribuite dalla Corte distrettuale ai contegni tenuti dalla figlia maggiorenne, sottolineando anche che occorre contemperare le regole sul mantenimento dei figli col principio di emancipazione ed autodeterminazione della persona umana ed assumendo che semmai la figlia avrebbe avuto diritto agli alimenti, peraltro non chiesti. Il motivo non ha pregio. Sulle controverse questioni la Corte distrettuale appare essersi ineccepibilmente alle regole normative ed alla relativa elaborazione giurisprudenziale, espressamente recepita. D'altra parte se da un canto l'A. conforta le sue doglianze col richiamo di precedenti, non pertinenti pronunce, relative a casi in cui il figlio aveva conseguito e poi volontariamente perso l'ottenuta autonomia economica, dall'altro i suoi rilievi critici appaiono essenzialmente appuntarsi sulla motivazione dell'impugnata sentenza, la quale, essendo il ricorso soggetto ratione temporis, al testo dell'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. novellato dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, non è più sindacabile se non in caso di sua assenza o apparenza cfr Cass. SU n. 8053 del 2014 Cass. nn 7983 e 16300 del 2014 , nella specie non ravvisabili. 2. Nullità della sentenza o del procedimento violazione degli artt. 101, 115, 110, 738 c.p.c. ex art. 360 n. 4 c.p.c. . Il ricorrente sostiene che la Corte d'Appello è incorsa in violazione del principio del contraddittorio, avendo fondato la propria decisione su nuovi documenti prodotti dalla controparte soltanto all'udienza di discussione del 26.10.2012 e non sottoposti al suo esame, giacché la causa era stata trattenuta in decisione nonostante la sua opposizione. 3. Nullità della sentenza o del procedimento violazione degli artt. 345, 346 c.p.c. ex art. 360 n. 4 c.p.c. , violazione del principio devolutivo dell'appello. Si duole che la Corte d'Appello abbia valorizzato fatti e prove nuove documenti relativi agli esami sostenuti , mai introdotte in precedenza. Anche il secondo ed il terzo motivo del ricorso non meritano favorevole apprezzamento. Premesso che i fatti nuovi di cui la G. aveva inteso fornire la prova inerivano all'esito positivo dell'impegno che la figlia delle parti aveva nel frattempo continuato a profondere negli studi universitari e quindi si mantenevano nell'ambito delle ragioni del reclamo, nei procedimenti in tema di famiglia retti dal rito camerale, le sopravvenienze e la relativa prova sono ammissibili e valutabili in sede d'impugnazione purché sia rispettato il principio nel contraddittorio. Nella specie non solo tale principio non appare essere stato conculcato, dal momento che il difensore dell'A. risulta presente all'adunanza di discussione del 26.10.2012, nella quale era avvenuta la produzione della copia del libretto universitario e della nota dell'Università di Palermo in data 16.06.2012 e ad essa si era opposto, avendone evidentemente preso cognizione, senza però chiedere anche termine per relativo esame e controdeduzioni, ma inoltre in questa sede non ha chiarito quale sia stato il pregiudizio derivatogli dall'asserita violazione e, dunque, il suo interesse a dedurre il vizio in oggetto cfr, tra le alttre, Cass, n. 4435 del 2008 n. 3024 del 2011 n. 6330 del 2014 . Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna dell'A. soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna l'A. al pagamento, in favore della G., delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 2.500,00 per compenso ed in € 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell'art. 52, comma 5, del D.Lgs n. 196 del 2003, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.