La nozione di residenza abituale del minore vittima di sottrazione da parte di un genitore

La nozione di residenza abituale corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione e il relativo accertamento è riservato all’apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato.

Con la sentenza n. 19664, depositata il 18 settembre 2014, la Suprema Corte a Sezioni Unite interviene con un'altra interessante pronuncia finalizzata alla giusta protezione degli interessi del minore e, dopo aver consolidato il concetto di habitat familiare del minore, chiarisce anche la nozione di residenza abituale del minore in riferimento ai casi di sottrazione internazionale della prole da parte di un genitore. Il fatto. Il Tribunale per i minorenni di Bologna fu chiamato a pronunciarsi sulla domanda di un padre che convenne in giudizio l’ex convivente, di nazionalità portoghese, con la quale aveva avuto due figli all’epoca dei fatti avevano rispettivamente due anni e sei mesi , atteso che la donna, dopo essersi recata in Portogallo, previo accordo con il ricorrente, non vi aveva più fatto ritorno. Pertanto il padre richiedeva l’affidamento esclusivo ex art. 317- bis c.p.c. dei minori e la pronuncia di un ordine di rientro in Italia. Il giudice dei minori dichiarò la decadenza della potestà materna su entrambi i figli, affidandoli in via esclusiva al padre, ordinando l’immediato rimpatrio e disponendo a carico dei servizi sociali la regolamentazione dei rapporti con la madre. Il provvedimento veniva impugnato da quest’ultima, ma la Corte di merito confermò il decreto del Tribunale per i minorenni in ordine all’affidamento dei figli minori e al diritto di visita del genitore non affidatario. La stessa Corte confermò la giurisdizione del giudice italiano, confutando la tesi della ricorrente secondo cui il trattenimento dei figli in Portogallo era avvenuto con il consenso paterno circostanza smentita documentalmente con conseguente esclusione dell’ipotesi di sottrazione di minorenni, che venne, invece, confermata, con conseguente applicazione dell’art. 10 del Regolamento CE 2201/2003, che in caso di trasferimento illecito o mancato rientro del minore, prevede il mantenimento della competenza in capo all'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro fino a che il minore non abbia acquisito la residenza in un altro Stato membro o vi abbia soggiornato per almeno un anno, che nella specie non era decorso. La nozione di residenza abituale del minore. La donna ricorre per la cassazione della pronuncia della Corte di merito, deducendo, tra i vari motivi, il difetto di giurisdizione del giudice italiano in favore di quello portoghese in relazione all’affidamento dei minori, denunciando la violazione degli artt. 8 e 10 del Regolamento CE 2201/2003. Ad avviso della ricorrente, i giudici di merito, nell’individuare il radicamento della giurisdizione, avrebbero commesso una errata interpretazione della nozione di residenza abituale contenuta nell’atto normativo comunitario, poiché il concetto di residenza abituale è riferibile ad una situazione di fatto e, di conseguenza, risultava errato concludere per la residenza abituale dei minori in Italia e non in Portogallo, poiché i bambini avevano già dimorato nella nazione iberica per cinque o sei mesi che poteva ritenersi un tempo idoneo a ritenere la loro presenza in quel Paese come abituale. Aggiunge, inoltre, la ricorrente, che i genitori, avevano anche svolto gli adempimenti burocratici per garantire l’acquisizione della residenza anagrafica dei minori presso i nonni materni e che, comunque, la breve permanenza in Italia nel periodo di vita precedente il trasferimento, non poteva aver costituito un fattore condizionante la vita sociale e familiare dei bambini. Le Sezioni Unite ritengono prive di fondamento le doglianze, poiché la nozione di residenza abituale corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione e che il relativo accertamento è riservato all’apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato. Nella fattispecie de qua la Corte di merito ha operato una corretta applicazione dell’art. 10 del Regolamento CE 2201/2003 e buon governo della sua discrezionalità, motivando in modo articolato ed esaustivo il proprio percorso logico-giuridico in ordine alla conferma della giurisdizione del giudice italiano. In particolare, dalle risultanze documentali viene smentito che il trasferimento dei minori in Portogallo sia avvenuto con il consenso paterno, e, al contrario, la Corte territoriale ha evinto che l’accordo era finalizzato al rientro dei minori in Italia e la permanenza in Portogallo doveva essere solo temporanea e dovuta a ragioni di affari della madre. Di conseguenza, il successivo rifiuto della donna di far rientrare i figli in Italia è stato correttamente inquadrato come sottrazione internazionale di minori ai sensi dell’art. 10 del citato Regolamento e, comunque, nel caso di illecito trasferimento o illecita permanenza di un minore, la giurisdizione si mantiene in capo all’Autorità giudiziaria dello Stato di residenza abituale del minore, anche se sia pendente presso lo Stato nel quale questi sia stato condotto, una procedura promossa dal genitore, non affidatario, che lo aveva condotto all’estero al fine di chiederne l’affidamento. L’ascolto è utile solo se il minore ascoltato è capace di discernimento. La ricorrente denuncia, inoltre, la violazione dell’ art. 24, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea per il mancato ascolto del minore, lamentando che i suoi figli siano rimasti completamente estranei ai procedimenti. La Corte di legittimità respinge anche questa ulteriore doglianza, poiché è vero che l’ascolto del minore, già prevista all’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuto un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che lo riguardino ed è oramai ricompreso fra le regole fondamentali per garantire il diritto superiore del minore ad un armonico sviluppo psico-fisico e relazionale, ma occorre che il minore ascoltato sia capace di discernimento. Tale capacità, in via generale, è raggiunta dal minore al compimento dei dodici anni, salvi i casi in cui emerga che il minore di età anche inferiore sia sufficientemente maturo da poter essere utilmente ascoltato e, in tal caso, l’audizione è rimessa alla valutazione del giudice. Nella fattispecie, la doglianza relativa al mancato ascolto dei minori è evidentemente inammissibile, atteso che all’epoca in cui si è svolto il procedimento i minori erano assolutamente in età immatura.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 24 settembre 2013 – 18 settembre 2014, n. 19664 Presidente Rovelli – Relatore San Giorgio Rilevato in fatto 1. - Con ricorso depositato il 17 agosto 2007, F.L. convenne in giudizio innanzi al Tribunale per i minorenni di Bologna la ex convivente, M.C.D.O.e C.M., esponendo di essere padre di due bambini avuti, rispettiva mente il 19 marzo 2005 e il 21 marzo 2006, dalla unione con la stessa, la quale, dopo essersi recata in Portogallo con i figli, previo accordo con il ricorrente, non vi aveva fatto più ritorno, chiedendo l'affidamento in via esclusiva dei minori ai sensi dell'art. 317-bis cod.proc.civ. e la pronuncia di un ordine di rientro in Italia. II Tribunale adito dichiarò la convenuta decaduta dalla potestà su entrambi i figli, che affidò in via esclusiva al padre, ordinandone l'immediato rimpatrio, e disponendo che il Servizio sociale provvedesse a regolare i rapporti con la madre. 2. - Il provvedimento fu impugnato dalla M. innanzi alla Corte d'appello di Bologna, che dichiarò inammissibile il reclamo in quanto proposto tardivamente. 3. - Su ricorso della stessa M., questa Corte, con sentenza n. 6319 del 2011, cassò il decreto nella sola parte concernente i provvedimenti ex art. 317-bis, ritenendo che esso fosse stato impugnato nel rispetto dei termini previsti per l'appello, rinviando alla Corte d'appello di Bologna, sezione minorenni. Nel giudizio di rinvio, si costituì la M. chiedendo la declaratoria di estinzione del giudizio per essere stato tardivamente proposto il ricorso per riassunzione, e reiterando la eccezione già svolta di difetto di giurisdizione del giudice italiano, e, nel merito, censurando l'affidamento in via esclusiva i figli al padre. 4. - La Corte d'appello di Bologna, con sentenza depositata il 26 aprile 2012, confermò il decreto del Tribunale per i minorenni in ordine all'affidamento dei figli minori e al diritto di visita del genitore non affidatario. Disattesa la eccezione di tardività della proposizione del ricorso per riassunzione, alla stregua del rilievo che per la riassunzione si richiede la forma della citazione, la cui notificazione nella specie si era perfezionata nel termine di legge, la Corte confermò la giurisdizione del giudice italiano, smentendo l'assunto della M. secondo cui il trattenimento dei figli in Portogallo sarebbe avvenuto con il consenso dei padre - come asseritamente provato dalla documentazione prodotta - con conseguente esclusione della ipotesi di sottrazione di minorenni, che fu, invece, confermata, con conseguente applicazione dell'art. 10 del Regolamento CE 2201/03, che radica la giurisdizione presso il giudice dell'uno o dell'altro Stato membro in conseguenza dei consolidarsi della permanenza di fatto del minore nel territorio prima della proposizione della domanda giudiziale di rientro, permanenza che deve avere la durata minima di un anno, che nella specie non era decorso. Nel merito la Corte confermò l'affidamento dei figli al L. e la disciplina del regime di visita disposto dal Tribunale per i minorenni. 5. -- Per la cassazione di tale sentenza ricorre la M. affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso il L., che ha anche depositato memoria. Considerato in diritto 1. - Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 392 cod.proc.civ. e dell'art. 58 della legge n. 69 del 2009. La attuale ricorrente, nel costituirsi nel procedimento innanzi alla Corte d'appello di Bologna, aveva eccepito in via preliminare l'estinzione del giudizio per avere il L. depositato il proprio atto di riassunzione oltre il termine di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza di questa Corte n. 6319/2011 avvenuta il 21 marzo 2011 , previsto dall'art. 392 cod.proc.civ. nella formulazione risultante dalla modifica di cui all'art. 46 della legge n. 69 dei 2009. Si precisa nel ricorso che il L. introdusse il giudizio di riassunzione, anziché con ricorso, con atto di citazione, notificato alla M. il 21 giugno 2011, e, quindi, allo scadere del termine trimestrale. Tuttavia, la riassunzione sarebbe stata tardiva in quanto, proprio per essere stata erroneamente introdotta con citazione, al fine di essere considerata tempestiva avrebbe richiesto il deposito di tale atto in cancelleria nel predetto termine, e non la sola notificazione. Nella specie, invece, il deposito era avvenuto solo il 30 giugno 2011, nel termine di cui all'art. 165 cod.proc.civ., proprio del procedimento di cognizione ordinaria. Ciò posto, la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere tempestiva la riassunzione alla stregua del rilievo secondo il quale il termine di tre mesi in luogo di quello di un anno fissato dal testo previgente dell'art. 392 cod.proc.civ. trova applicazione ai soli giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore , e cioè il 4 luglio 2009. Opina in contrario la ricorrente che il giudizio riassunto non costituirebbe una mera prosecuzione di quello originario, essendo, invece, del tutto autonomo rispetto al primo, sicchè ad esso dovrebbe applicarsi la nuova disciplina per essere stato introdotto solo nel 2011. 2. - La censura si rivela immeritevole di accoglimento. 2.1. - Correttamente la Corte felsinea ha ritenuto tempestiva la riassunzione del giudizio innanzi a sé per essere tale giudizio iniziato ben prima della entrata in vigore del termine di cui all'art. 392, primo comma, cod.proc.civ. abbreviato dalla legge n. 69 del 2009, e per essere, conseguentemente, ad esso applicabile detta disposizione nella sua formulazione previgente alla novella dei 2009. Non può, dunque, aderirsi alla tesi della ricorrente secondo la quale al giudizio di rinvio, iniziato nella vigenza della predetta legge, troverebbe applicazione il termine abbreviato trattandosi di un giudizio autonomo rispetto alle fasi pregresse. Al riguardo, non può trarsi spunto - come ritiene la ricorrente - dalla sentenza di questa Corte n. 1824 dei 2005, la quale ha affermato che il giudizio di rinvio conseguente alla cassazione della pronuncia di secondo grado per motivi di merito giudizio di rinvio proprio non costituisce la prosecuzione della pregressa fase di merito e non è destinato a confermare o riformare la sentenza di primo grado, ma integra una nuova ed autonoma fase che ha natura rescissoria nei limiti posti dalla pronuncia rescindente , ed è funzionale alla emanazione di una sentenza che, senza sostituirsi ad alcuna precedente pronuncia, riformandola o modificandola, statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti. 2.2. - Tale affermazione non inficia, infatti, in alcun modo - come, peraltro, la stessa pronuncia non tralascia di sottolineare - la soggezione del giudizio di rinvio alla disciplina riguardante il corrispondente procedimento di primo o secondo grado. Del resto, più di recente, questa Corte ha motivato la inesistenza dell'obbligo per la parte che riassuma la causa innanzi al giudice del rinvio di conferire una nuova procura al difensore che la ha già assistita nel pregresso giudizio di merito proprio alla stregua della continuità esistente tra il giudizio di primo o di secondo grado concluso con la pronuncia della sentenza cassata ed il giudizio di rinvio Cass., sent. n. 7983 del 2010 . E, in tema di termini di impugnazione, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la modifica dell'art. 327 cod. proc. civ., introdotta dalla legge n. 69 del 2009, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all'originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell'art. 58, comma 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell'instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio v. Cass., sentt. n. 17060 e n. 6007 del 2012, ord. n. 15741 del 2013 . 3. - Con il secondo mezzo si lamenta il difetto di giurisdizione del giudice italiano in favore di quello portoghese in relazione all'affidamento dei minori, denunciandosi la violazione degli artt. 8 e 10 del Regolamento CE n. 2201/2003. La Corte di merito, nel pronunciarsi sulla eccezione della M., ha confermato la giurisdizione del giudice italiano, basandosi, ad avviso della ricorrente, su di una erronea interpretazione della nozione di residenza abituale contenuta nel Regolamento comunitario n. 2201/2003, quale criterio di collegamento ai fini del radicamento della giurisdizione. Secondo la ricorrente, posto che il concetto di residenza abituale è riferibile ad una situazione di fatto, sarebbe errato concludere per la residenza abituale dei minori di cui si tratta in Italia anzichè in Portogallo, sia nel caso in cui detta residenza debba essere individuata in forza delle disposizioni dell'art. 8 del Regolamento CE n. 2201/2003 cioè al momento in cui F.L. aveva chiesto l'affidamento esclusivo dei figli , il 17 agosto 2007, sia nel caso in cui la norma di riferimento debba essere l'art. 10 del medesimo Regolamento, come ritenuto dalla Corte di merito, dovendosi accertare, in tale ipotesi, dove risiedessero abitualmente i minori immediatamente prima del mancato rientro, tra i mesi di agosto e settembre 2007, poiché fino a quel momento il padre ne aveva autorizzato la presenza in Lisbona. In entrambi i casi - rileva la ricorrente - i bambini avevano già dimorato in Portogallo per cinque o sei mesi, un tempo sufficiente a connotare la loro permanenza in quel Paese come abituale. Ed infatti, nel marzo dei 2007, i genitori avevano anche svolto adempimenti burocratici finalizzati a garantire ai minori l'acquisizione della residenza anagrafica presso i nonni materni, atti di nascita e carte d'identità portoghesi, iscrizione nei registri sanitari di Lisbona. E poiché nel momento in cui il L. e la M. avevano concordato il trasferimento dei figli in Portogallo, nel marzo del 2007, costoro avevano rispettivamente due anni e sei mesi, la breve permanenza di entrambi in Italia nel periodo di vita precedente il trasferimento non poteva aver costituito un fattore condizionante la vita sociale e familiare dei bambini in Italia. 4. - La doglianza è priva di fondamento. 4.1. - Premesso che la nozione di residenza abituale corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non sol parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione, e che il relativo accertamento è riservato all'apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato v., tra le altre, Cass., sent. n. 22507 del 2006 , deve rilevarsi che la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dell'art. 10 del Regolamento CE n. 22101/2003 e buon governo della sua discrezionalità, dando conto in modo articolato ed esaustivo del proprio percorso logico-giuridico in ordine alla conferma della giurisdizione dei giudice italiano. In particolare, il giudice di rinvio ha osservato che le risultanze documentali smentiscono la tesi della M. secondo cui il trattenimento dei figli in Portogallo sarebbe avvenuto con il consenso del padre, spiegando con dovizia di argomenti le ragioni della irrilevanza sul piano probatorio dei documenti richiamati dalla attuale ricorrente. Al contrario, la Corte territoriale ha valorizzato, quale atto idoneo a comprovare che l'accordo dei genitori era nel senso che i minori dovessero rientrare in Italia, presso la residenza comune dei genitori prima dell'allontanamento, una dichiarazione manoscritta della M., in risposta ad un telegramma del L., in cui ella assicurava che la sua permanenza in Portogallo era temporanea e dovuta a ragioni di affari, e che la sua intenzione era quella di rientrare in Italia con i bambini. Di conseguenza, il successivo rifiuto della donna di riportare in Italia i figli correttamente è stato inquadrato come sottrazione internazionale di minori ai sensi dell'art. 10 del citato Regolamento, che radica la giurisdizione presso il giudice dell'uno o dell'altro Stato membro in conseguenza del consolidarsi della permanenza di fatto, per almeno un anno, del minore nel territorio prima della domanda giudiziale di rientro. Di più. Nel caso di illecito trasferimento o illecita permanenza di un minore, la giurisdizione si mantiene in capo all'Autorità giudiziaria dello Stato di residenza abituale del minore anche se sia pendente presso lo Stato nel quale questi sia stato condotto una procedura promossa dal genitore, non affidatario, che lo aveva condotto all'estero, al fine di chiederne l'affidamento. 4.2. - Nella specie, allorchè il L., il 17 agosto 2007, si rivolse al Tribunale per i minorenni di Bologna chiedendo l'affidamento in via esclusiva dei minori ai sensi dell'art. 317-bis cod.proc.civ. e la pronuncia di un ordine di rientro in Italia, non era ancora trascorso un anno dal trasferimento di costoro in Portogallo insieme alla madre per una permanenza che, secondo gli accordi dei genitori, avrebbe dovuto essere temporanea. Dunque, correttamente è stata riconosciuta la giurisdizione del giudice italiano. 5. Con la terza censura si denuncia la violazione dell'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, relativo al rispetto della vita privata e familiare, e del'art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, relativo ai diritti del bambino, sotto il profilo del vulnus al principio dell'interesse superiore del minore. Tale interesse sarebbe nella specie violato dall'affidamento esclusivo dei minori al L La sentenza impugnata interferirebbe direttamente nella vita familiare dei bambini per aver confermato la pronuncia di primo grado, relativa a tale affidamento, senza avere previamente esperito alcuna indagine sulle condizioni fisiche e psichiche dei minori e senza attribuire alcuna valenza alle allegazioni della madre e del Servizio sociale portoghese attestanti il rischio di danni psichici in caso di rientro dei bambini presso il padre con allontanamento dalla madre, ed ancora senza valutare la idoneità del padre a crescere i bambini da solo, secondo anche i suggerimenti del p.m. di udienza. 6. - Il motivo non può trovare ingresso nella presente sede. Occorre, al riguardo richiamare la sentenza di questa Corte n. 6319 del 2011, che, trattandosi di giudizio di rinvio, delimita l'ambito del thema decidendum. Quella sentenza - originata dal ricorso della M. contro il decreto della Corte d'appello di Bologna che aveva dichiarato inammissibile per tardività il ricorso avverso la decisione del locale Tribunale per i minorenni che aveva dichiarato la ricorrente decaduta dalla potestà genitoriale, affidando i figli in via esclusiva al padre ed ordinandone il rientro in Italia - conteneva, sibbene, la cassazione del decreto impugnato nella parte relativa all'art. 317-bis cod.proc.civ., ma per il profilo della tempestività della impugnazione, negata dal decreto medesimo. La stessa sentenza sanciva la deflinitività della pronuncia sulla decadenza della donna dalla potestà genitoriale per tardività della impugnazione. Pertanto, nella sentenza, pur precisandosi che la statuizione relativa all'art. 317-bis cod.proc.civ., inerente all'affidamento dei minori e al regime di visita del genitore non affidatario, era rimessa al giudice del rinvio, si sottolineava che, avuto riguardo alla decadenza della madre dalla potestà genitoriale, anche la regolamentazione dell'affidamento dei minori avrebbe trovato & lt spazi limitati& gt , facendosi presente che comunque in sede di giudizio di rinvio si sarebbe potuto eventualmente disciplinare il regime di visita del genitore non affidatario. In tale situazione non trovano collocazione le doglianze della ricorrente, attinenti a valutazioni squisitamente di merito. Per quanto attiene, poi, specificamente al diritto di vista della madre, in relazione al quale non risultano censure avverso la decisione del Tribunale di rimettere la regolamentazione agli accertamenti effettuati dal Servizio sociale, ineccepibilmente la Corte di merito ha confermato la richiamata soluzione già adottata dal Tribunale. 7. - Con il quarto motivo si deduce violazione dell'art. 24, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea per mancato ascolto del minore. Si lamenta che i minori di cui si tratta siano rimasti completamente estranei a qualsiasi procedimento li abbia riguardati. Anche la sentenza impugnata avrebbe tacitamente respinto la domanda della madre volta ad ottenerne l'ascolto. 8. - La doglianza è infondata. 8.1. - L'ascolto del minore, già prevista nell'art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuto un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che lo riguardino. Oggi esso è ormai ricompreso, oltre che dalla normativa invocata dalla ricorrente, sia dal diritto interno art. 315-bis cod. civ. art. 2, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219 che da quello sovranazionale artt. 3 e 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 ratificata con la legge 20 marzo 2003, n. 77 fra le regole fondamentali e generali, attraverso le quali viene perseguito il suo diritto superiore, corrispondente al suo sviluppo armonico psichico, fisico e relazionale, da perseguirsi anche attraverso l'immediata percezione delle sue opinioni in merito alle scelte che lo riguardano, salvo che l'ascolto possa essere in contrasto con il superiore interesse dei minore stesso. L'audizione costituisce un'espansione del diritto alla partecipazione del minore nel procedimento che lo riguarda, quale momento formale deputato a raccogliere le sue opinioni ed i suoi effettivi bisogni. Proprio per tale ragione, affinchè l'ascolto possa rivestire il significato che ad esso si intende riconnettere, occorre che il minore ascoltato sia capace di discernimento. 8.2. - Si è ritenuto, in via generale, che un siffatto discernimento consegua al compimento di dodici anni, salvi i casi in cui emerga che il minore di età anche inferiore sia comunque sufficientemente maturo da poter utilmente essere ascoltato v., in particolare, art. 315-bis cod.civ. . Dunque, nella ipotesi di minore infradodicenne l'audizione è rimessa alla valutazione del giudice, che può non ricorrervi, ove neghi, anche secondo il notorio, sufficiente maturità al minore stesso e privilegi il suo interesse superiore a non essere esposto al presumibile danno derivante dal coinvolgimento emotivo nella controversia che opponga i genitori. Nella specie, trattandosi di minori che, all'epoca in cui si è svolto il procedimento asseritamente non rispettoso di tale principio, erano ancora in età immatura rispettivamente sei e cinque anni all'epoca dell'atto di citazione in riassunzione, e sette e sei all'epoca del deposto della sentenza . E, dunque, ragionevole ipotizzare che il giudice di merito non abbia ritenuto che i piccoli avessero adeguata capacità di discernimento. 9. - In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Nella natura della controversia e dei rapporti tra le parti si ravvisano le ragioni della integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio. In caso di diffusione dei presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, il 24 settembre 2013.