Durata del comodato condizionata alle nuove nozze: se l'immobile non è destinato ad abitazione familiare, la moglie deve restituirlo

Dalla clausola che condiziona la durata del comodato alle nuove nozze del comodatario, emergono i connotati di un mero comodato gratuito, sottoposto a condizione risolutiva, atteso il carattere incerto della verificazione dell’evento, ma non può automaticamente inferirsi che il comodato sia soggetto a recesso ad nutum , poiché, ai sensi dell’art. 1810 c.c., una tale conclusione postula che nessun termine possa risultare dall’uso a cui era destinato l’immobile. Tuttavia, in presenza di elementi tali da suggerire che l’immobile concesso in comodato possa essere destinato ad usi diversi da quello di abitazione familiare è necessario un rigoroso accertamento della configurabilità di un termine implicito di durata del comodato, collegato alla destinazione dell’immobile.

Con la sentenza n. 19005, depositata il 10 settembre 2014, la Suprema Corte, è tornata ad occuparsi del comodato della casa familiare, ribadendo il proprio orientamento protettivo dell’ habitat familiare, che però deve essere accertato. Il fatto. Il giudice di prime cure, nel dichiarare la cessazione degli effetti civili tra i coniugi, oltre a porre a carico del marito la corresponsione di un assegno mensile in favore della figlia, maggiorenne ma non ancora autosufficiente economicamente, confermava l’assegnazione alla moglie dell’uso di un appartamento già concesso alla coppia dai comproprietari, madre e sorella dell’uomo. Tale decisione veniva anche confermata dai giudici d’appello. In particolare, in merito alla statuizione relativa all’uso dell’abitazione, già concordato in sede di separazione consensuale con la previsione che la donna avrà l’uso gratuito dell’abitazionegiacché mobili ed arredi appartengono in proprietà esclusiva alla stessasino a quando contragga nuove nozze , la Corte d’appello, premessa la considerazione dell’assorbente adibizione dell’appartamento ad abitazione familiare, condivise la qualificazione dell’accordo come comodato gratuito già operata dal giudice di primo grado e non censurata dalle parti e ritenne che dovesse trovare applicazione non già l’art. 1810 c.c., ma l’art. 1809 c.c., senza che nella fattispecie fosse configurabile la sopravvenienza di un urgente bisogno il marito aveva dedotto generiche esigenze abitative delle comodanti, che però fruivano di altra abitazione ed anche il dedotto trasferimento della donna in altro immobile si era reso necessario solo temporaneamente per le cattive condizioni dell’appartamento de quo. Sulla precarietà del comodato. La questione arriva all’attenzione della Suprema Corte, dove il ricorrente lamenta, innanzitutto, l’errore dei giudici di merito nel negare l’applicabilità dell’art. 1810 c.c., ritenendo che la previsione della clausola relativa alle nuove nozze della donna, integrasse – ai sensi dell’art. 1809 c.c. – un vero e proprio termine apposto al contratto di comodato, idoneo ad escluderne la precarietà ed a non consentire l’applicazione delle norme relative al comodato senza determinazione di durata, laddove l’evento – incerto – del matrimonio costituirebbe una ipotesi di condizione risolutiva potestativa del rapporto e non di termine. Di conseguenza, non potendosi neanche desumere il termine – ai sensi dell’art. 1803 c.c. – dall’uso convenuto, il diritto dell’uomo alla restituzione del bene poteva essere esercitato ad nutum. Nel ricorso ai giudici di legittimità viene inoltre lamentato che la precarietà del comodato non poteva essere esclusa nemmeno in base all’affermazione della Corte di merito secondo cui l’immobile era stato concesso dai comproprietari quale abitazione familiare dei coniugi, atteso che, come confermato dalla sentenza di primo grado e non contestato, l’appartamento – peraltro mai adibito ad abitazione familiare prima della crisi del rapporto – non fu consegnato per assicurare l’ habitat familiare, ma costituiva una mera disposizione patrimoniale in favore della donna. Peraltro, la Corte di merito, nell’affermare che l’immobile fosse, prima della separazione, adibito a casa familiare, avrebbe omesso di considerare copiosa e non contestata documentazione anagrafica prodotta dal ricorrente, non valutando, pertanto, la reale comune intenzione delle parti e il loro comportamento complessivo, ma desumendo la natura non precaria del comodato pattuito da una sola parte della clausola contrattuale delle nuove nozze, senza considerare il contenuto dell’intera clausola, con particolare riferimento alla previsione secondo la quale alla donna era stato concesso l’uso gratuito dell’abitazione poiché gli arredi erano di sua esclusiva proprietà. La reale volontà delle parti, quale requisito imprescindibile per la determinazione del vincolo di destinazione dell’immobile. I Giudici di legittimità, muovendosi dal rilievo che dal senso letterale delle parole adoperate nella clausola contenuta nel verbale di omologazione della separazione consensuale emergono i connotati di un mero comodato gratuito, sottoposto alla condizione risolutiva – atteso il carattere incerto – della contrazione di un nuovo matrimonio da parte della donna, ritengono che non possa automaticamente desumere che il comodato de quo sarebbe soggetto a recesso ad nutum , poiché, ai sensi dell’art. 1810 c.c., una tale conclusione postula che nessun termine possa risultare dall’uso a cui era destinato l’immobile. La stessa Corte di merito aveva sottolineato che nel caso in cui il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a termine indeterminato, il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva la sopravvenienza di un urgente e impreveduto bisogno al comodante. In questo caso, pertanto, per effetto della concorde volontà delle parti, si imprime all’immobile un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all’uso il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi coniugale e senza la possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente ad nutum del comodante. Nonostante ciò, la Corte di merito, è incorsa in errore nell’aver ritenuto pacifico che la volontà delle parti fosse quella che l’immobile dovesse essere utilizzato quale abitazione familiare, senza farsi carico della illustrazione del percorso logico-giuridico che la induceva ad un simile convincimento, sebbene in presenza di elementi tali da far presupporre una destinazione diversa dell’immobile. I giudici di merito avrebbero nella specie dovuto effettuare un rigoroso accertamento della configurabilità, nell’ambito dell’accordo formalizzato in sede di omologazione della separazione consensuale tra i coniugi, di un termine implicito di durata del comodato, collegato alla destinazione dell’appartamento. Per tale motivo, gli Ermellini cassano la sentenza con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 28 gennaio – 10 settembre 2014, n. 19005 Presidente Luccioli – Relatore San Giorgio Svolgimento del processo 1. - Il Tribunale di Agrigento, con sentenza depositata il 20 febbraio 2008, dichiarò la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il 2 aprile 1984 da M.M. e S.B. , ponendo a carico del primo l'onere di corrispondere alla figlia S. , maggiorenne ma non ancora autosufficiente economicamente, un assegno mensile di Euro 300,00, e confermando l'assegnazione a S.B. dell'uso di un appartamento in Palermo già concesso in comodato alla coppia dai comproprietari, madre e sorella del M. . Avverso tale sentenza propose gravame il M. , mentre la S. propose appello incidentale. 2. - La Corte d'appello di Palermo, con sentenza depositata il 27 aprile 2011, confermò la sentenza impugnata. Sulla statuizione relativa all'uso dell'abitazione da parte della S. , già concordato in sede di separazione consensuale dalle parti attraverso la previsione che la donna avrà l'uso gratuito dell'abitazione sita in omissis , giacché mobili ed arredi appartengono in proprietà esclusiva alla stessa signora S. , sino a quando contragga nuove nozze”, la Corte, premessa la considerazione dell'assorbente adibizione del predetto appartamento ad abitazione familiare, condivise la qualificazione che il giudice di primo grado aveva operato del predetto accordo come comodato gratuito, qualificazione non censurata dalle parti, ritenendo che trovasse applicazione non già l'art. 1810 cod.civ., ma l'art. 1809 cod.civ., senza che fosse configurabile nella specie la sopravvenienza di un urgente bisogno, avendo il M. dedotto generiche esigenze abitative delle comodanti, la madre e la sorella, che però fruivano di altra abitazione. Ed anche il dedotto trasferimento della S. presso altro immobile si era reso necessario per le cattive condizioni dell'appartamento in questione, ove la donna si era nuovamente trasferita dopo alcuni interventi di manutenzione. Quanto alla doglianza relativa alla entità dell'assegno posto a carico del M. quale contributo per il mantenimento della figlia, osservò la Corte di merito che le dichiarazioni fiscali dello stesso non erano indicative della reale situazione reddituale dell'appellante, in quanto il reddito ivi indicato era quello della rendita catastale da terreni, mentre, in sede di divisione dei beni ereditati, egli aveva conseguito immobili di un certo valore. E ciò senza considerare la capacità di lavoro dello stesso. Del resto, in sede di separazione consensuale, risalente al 1993, i coniugi avevano già stabilito che il M. corrispondesse un assegno mensile di lire 300.000. In ordine all'appello incidentale, con il quale la S. chiedeva che il contributo venisse elevato ad Euro 500,00 mensili, la Corte ritenne non provata l'affermazione della S. , che aveva chiesto un aumento dell'assegno sull'assunto che il coniuge avrebbe goduto di un reddito netto certamente non inferiore ad Euro 80000 annui. Ed anche i contributi che il M. aveva percepito dall'Agea non erano elevati, né era chiaro comunque se essi fossero stati riscossi anche nell'interesse di altri congiunti. Infine, la Corte di merito escluse che le espressioni contenute nella memoria integrativa del M. , delle quali la S. aveva lamentato la offensività, eccedessero le esigenze difensive. 3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre il M. affidandosi a sette motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resiste con controricorso la S. , che ha anche proposto ricorso incidentale, cui ha resistito con controricorso il M. . Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1803, 1809, 1810 e 1353 cod.civ. Avrebbe errato la Corte di merito nel negare l'applicabilità nella specie dell'art. 1810 cod.civ. ritenendo che la previsione della clausola fino a quando contragga nuove nozze”, contenuta nel verbale di omologazione della separazione consensuale tra il M. e la S. , e riferita all'uso dell'abitazione in questione da parte di quest'ultima, integrasse, ai sensi dell'art. 1809 cod.civ., un vero e proprio termine apposto al contratto di comodato, idoneo ad escludere la precarietà del comodato e ad impedire l'applicazione alla fattispecie dell'art. 1810 cod.civ., laddove un evento incertus an et quando, quale il matrimonio, cui sia ricollegata la risoluzione del rapporto, costituirebbe una ipotesi di condizione, nella specie risolutiva potestativa, e non di termine. Né il termine di durata del comodato si sarebbe potuto desumere, ai sensi dell'art. 1803 cod.civ., dall'uso convenuto, con la conseguenza che il diritto del M. di ottenere la restituzione del bene avrebbe potuto essere esercitato ad nutum. 2. - Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell'art. 2909 cod.civ., dell'art. 329 cod.proc.civ. e del giudicato interno nonché falsa applicazione dei principi enunciati nelle sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte n. 13603 del 2004 e n. 19939 del 2008. La precarietà del comodato dell'immobile in questione non si sarebbe potuta escludere nemmeno sulla base dell'affermazione della Corte di merito secondo la quale esso era stato concesso dai comproprietari, madre e sorella del M. , quale abitazione familiare dei coniugi, essendo tale affermazione smentita dalla sentenza di primo grado, non contestata in parte qua, secondo la quale la previsione contenuta nel verbale di separazione in ordine all'appartamento di cui si tratta, peraltro mai adibito ad abitazione della famiglia prima della crisi del rapporto familiare, non fu concordata per assicurare la continuità dell'habitat familiare, costituendo, invece, una disposizione patrimoniale in favore della S. . 3. - Con la terza censura si deduce omessa o insufficiente motivazione con riferimento alla asserita destinazione ad abitazione familiare dei coniugi M. - S. dell'appartamento in questione. La Corte di merito nell'affermare che detto immobile fosse, prima della separazione degli stessi, adibito ad abitazione familiare, avrebbe omesso di prendere in considerazione la copiosa e non contestata documentazione anagrafica prodotta dall'odierno ricorrente nel primo grado del giudizio. 4. - Con il quarto motivo si denuncia violazione dell'art. 1362 cod.civ. nonché omessa o insufficiente motivazione in riferimento alla inesistenza del vincolo di destinazione ad abitazione familiare dell'appartamento de quo. Tale destinazione sarebbe stata affermata sbrigativamente dalla Corte territoriale senza tenere nella debita considerazione il fatto che il predetto appartamento non era mai stato destinato, in costanza di matrimonio, ad abitazione familiare. Inoltre, il giudice di secondo grado sarebbe incorso nella violazione dell'art. 1362 cod.civ. nel desumere la natura non precaria del comodato pattuito da una sola parte della clausola contrattuale fino a quando contragga nuove nozze” , senza considerare il contenuto della intera clausola, con particolare riferimento alla previsione secondo la quale alla signora S. era stato concesso l'uso gratuito dell'abitazione in questione giacché mobili ed arredi appartengono in proprietà esclusiva alla stessa signora S. ”. 5. - I motivi, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione logico-giuridica che li avvince, volti come sono tutti sostanzialmente ad affermare il diritto del ricorrente di ottenere ad nutum, ai sensi dell'art. 1810 cod.civ., la restituzione dell'immobile concesso in comodato alla S. , sono meritevoli di accoglimento nei termini di seguito chiariti. 5.1. - Deve muoversi dal rilievo che dalla espressione testuale della clausola contenuta nel verbale di omologazione della separazione consensuale emergono solo i connotati di un comodato gratuito, sottoposto alla condizione risolutiva - non diversamente potendosi configurare, atteso il carattere incerto circa la sua effettiva verificazione, la clausola sopra riportata - della contrazione di un nuovo matrimonio da parte della S. . Da tale assunto non può, peraltro, automaticamente inferirsi che il comodato sarebbe nella specie soggetto a recesso ad nutum, poiché, ai sensi dell'art. 1810 cod.civ., una siffatta conclusione postula altresì che nessun termine possa risultare dall'uso cui l'appartamento in questione doveva essere destinato. Al riguardo, la stessa Corte di merito ha sottolineato che nel caso in cui il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a termine indeterminato diversamente da quello nel quale sia stato espressamente ed univocamente stabilito un termine finale , il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l'uso previsto nel contratto, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell'art. 1809 c.c., comma 2, Cass. S.U. 21.7.2004, n. 13603 . In altre parole, in questo caso, per effetto della concorde volontà delle parti, si imprime all'immobile un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari e perciò non solo e non tanto a titolo personale del comodatario idoneo a conferire all'uso - cui la cosa deve essere destinata - il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente ad nutum del comodante Cass. 18.7.2008, n. 19939 . 5.2. - Ciò posto, l'errore in cui è incorsa la Corte palermitana consiste nell'avere apoditticamente ritenuto pacifica la circostanza che la volontà delle parti fosse quella che l'immobile dovesse essere utilizzato quale abitazione familiare, senza farsi carico della illustrazione del percorso logico-giuridico che la induceva ad un tale convincimento, pur in presenza di elementi tali da suggerire che, almeno manente matrimonio, l'immobile de quo non fosse stato destinato ad abitazione familiare. 5.3. - Ciò che in definitiva è mancato nella specie è un rigoroso accertamento della configurabilità, nell'ambito dell'accordo formalizzato in sede di omologazione della separazione consensuale tra il M. e la S. , di un termine implicito di durata del comodato, collegato alla destinazione dell'appartamento che ne fu oggetto. 6. - Resta assorbito dall'accoglimento delle censure esaminate l'esame degli ulteriori tre motivi, sollevati in via subordinata al mancato accoglimento dei precedenti, con i quali si contestano i principi di diritto enunciati da questa Corte in ordine all'applicabilità della disciplina del comodato con riferimento all'abitazione familiare nella ipotesi di assegnazione al coniuge del godimento della stessa in seguito a provvedimento di separazione personale si lamentano vizi motivazionali circa la durata del periodo di mancata utilizzazione e circa le relative ragioni dell'appartamento in questione da parte della S. , e circa le esigenze abitative della stessa. 7. - Passando all'esame del ricorso incidentale, con esso si censura per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione la sentenza nella parte in cui ha rigettato l'appello incidentale della signora S. , con il quale era stato chiesto l'aumento dell'assegno in favore della figlia, maggiorenne ma non autosufficiente economicamente, della coppia. Sostiene la ricorrente incidentale che era stata offerta la prova documentale delle somme percepite dal M. per i contributi conferita dall'Agea, cui andavano aggiunti gli utili ricavati dalla vendita dei prodotti agricoli, oltre ai numerosi immobili acquisiti dal predetto M. . 8. - Il ricorso non può trovare ingresso nel presente giudizio, siccome volto in via esclusiva a promuovere un nuovo apprezzamento delle risultanze degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità in presenza di una motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici. Nella specie la Corte palermitana ha ritenuto non provata l'affermazione secondo la quale il M. godrebbe di un reddito netto certamente non inferiore ad Euro 80000 annui, ed ha giudicato non elevato l'importo dei contributi che lo stesso aveva percepito dall'Agea, e che peraltro non era pacifico che fossero stati incassati interamente da lui e non fossero stati, invece, come da lui sostenuto, riscossi anche nell'interesse di altri congiunti, i cui terreni egli conduceva in affitto. 9. - Conclusivamente, devono essere accolti i primi quattro motivi del ricorso principale, assorbiti gli altri, mentre deve essere dichiarato inammissibile il ricorso incidentale. La sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata ad altro giudice - che viene individuato nella Corte d'appello di Palermo in diversa composizione, cui è demandato altresì il regolamento delle spese del presente giudizio - che la riesaminerà accertando se sia rinvenibile la effettiva volontà delle parti di destinare la casa ad abitazione della famiglia, tale da rendere configurabile nella specie un termine implicito del comodato da collegare alla destinazione dell'appartamento che ne è oggetto. P.Q.M. La Corte accoglie i primi quattro motivi del ricorso principale, assorbiti gli altri. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Palermo in diversa composizione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.