Valido il patto extragiudiziale per il trasferimento della casa coniugale al figlio minorenne

Sono validi gli accordi raggiunti dai coniugi, rassegnando le stesse conclusioni in sede di separazione o di divorzio giudiziale, trasformandoli in consensuali od anteriormente a questi giudizi, purché siano nell’interesse del figlio minorenne. Sono espressione dell’autonomia negoziale delle parti, veri e propri contratti per disciplinare questioni non trattabili in quelle sedi e per deflazionare il carico della giustizia.

È quanto sancito dalla Cassazione, sezione Prima Civile, numero 18066 depositata il 20 agosto 2014. Il caso. Una coppia iniziava un divorzio giudiziale per poi definirlo consensualmente. Siglavano un accordo, poi omologato, in base al quale il padre s’impegnava ad acquistare la casa coniugale dalla società proprietaria per trasferirla al figlio minore, che avrebbe continuato a vivere con la madre cui doveva essere versato un assegno mensile pari a € 2.500 700 quale assegno divorzile ed il resto per il mantenimento del minore . L’ex marito impugnava l’accordo ritenendolo in contrasto con i diritti inviolabili e l’interesse del minore, ma l’appello era dichiarato inammissibile. La decisione è stata confermata dalla S.C. in base al principio sopra enunciato. Quando è possibile gravare la sentenza di divorzio? In primis l’inammissibilità dell’appello era dovuta alla soccombenza di entrambi in primo grado e perché detto patto era valido, non violando né i diritti indisponili né l’interesse del minore. Infatti l’art. 5, comma 5, L. numero 898/70 art. 10 L. numero 74/1987 la vieta se è congiunto salvo alcune eccezioni l’accordo è in contrasto con l’interesse del minore, regola questioni indisponibili e prevede solo un congruo assegno una tantum escludendo quello divorzile. Solo in questi casi entrambi gli ex coniugi hanno interesse ad impugnarlo. Il PM può gravarlo solo se lede il patrimonio del minore. Validità degli accordi negoziali nella separazione e nel divorzio. Se consensuali o se vengono rassegnate in sede giudiziale conclusioni identiche, essendo assimilabili le due situazioni, l’accordo raggiunto ha valenza negoziale e se, come è frequente, riguarda questioni patrimoniali ha natura contrattuale Cass. numero 17607/2003 . Sino a pochi anni fa erano considerati estranei al diritto di famiglia ed alla logica contrattuale, anche se attinenti a questioni patrimoniali, perché ritenuti subordinati all’elemento personale, id est all’interesse della famiglia trascendente quello delle parti. Oggi, invece, sono ammessi se volti alla tutela dei minori e dei soggetti deboli dell’unione, poiché l’interesse familiare è considerato connesso e coordinato con quello dei suoi componenti e, invero, è frequente che nei verbali di udienza s’inseriscano clausole relative a promesse od a trasferimenti di immobili, mobili e/o diritti reali, a favore di uno dei due coniugi o del figlio Cass. numero 9500/81 e numero 7470/92 , per prevenire e transare le loro controversie o quale adempimento delle obbligazioni di mantenimento. Questa autonomia negoziale è valida anche se l’accordo è recepito dalla sentenza od è contenuto nelle conclusioni uniformi rassegnate da entrambe le parti come nella fattispecie sono anche opponibili ai terzi se è rispettata la forma scritta Cass. numero 12110/92 e numero 2263/14 . Se il trasferimento è a favore di un minore è un contratto atipico, gratuito per altri uno a favore di terzo o di vendita di cosa altrui quando è analogo alla fattispecie che si perfeziona col mancato rifiuto del minore. Contrasto sulla loro validità se prematrimoniali od in vista della separazione o del divorzio . La giurisprudenza di legittimità li ha sempre considerati nulli, salvo se subordinati ad una richiesta di nullità del matrimonio Cass. numero 6857/92, numero 348/93 . Una successiva tesi non li considera contrari all’ordine pubblico, ma nell’indisponibilità preventiva dell’assegno di divorzio, volta a tutelare il coniuge debole, unico che può impugnarli Cass. numero 8109/00 . Recentemente Cass. numero 19304/13 , poi, sono stati ammessi, anche se successivi al matrimonio, per quanto sopra e perché nei paesi che li consentono hanno deflazionato la giustizia. È necessario il vaglio del giudice su questi patti? La S.C. chiarisce che alcuni rapporti non sono definiti in queste sedi sì che le parti possono regolarli con accordi extragiudiziali. Non tutti però devono essere sottoposti al vaglio del giudice in sede di omologa inizialmente lo erano solo quelli che riguardavano i rapporti tra genitori e figli, ora, in analogia ai quelli tra i coniugi, è stato superato anche questo controllo purché migliori gli assetti concordati innanzi la giudice Cass. numero 23801/06 . Natura dell’accordo. È chiara espressione dell’autonomia negoziale e può essere considerato un vero e proprio contratto, ma anche in caso contrario ad esso è applicabile la disciplina contrattualistica, sì che può essere impugnato da chiunque vi abbia interesse per vizi specifici dell’atto o dei contraenti. In ogni caso non può essere gravato dalle parti che sono vincolate dallo stesso, potendone far valere la loro nullità od annullabilità in un autonomo giudizio di cognizione. Altre questioni specifiche. Nella fattispecie la casa coniugale era oggetto di un contratto di locazione sì che esso si trasferisce al coniuge collocatario del minore ex art 6, L. numero 392/78. Se il proprietario, anziché venderlo, dovesse far valere i suoi diritti sull’immobile è possibile chiedere, in sede di modifica degli accordi omologati, un congruo aumento dell’assegno divorzile sì da consentirgli di trovare una nuova sistemazione per sé e per il figlio.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 5 giugno – 20 agosto 2014, numero 18066 Presidente Vitrone – Relatore Dogliotti Svolgimento del processo Con sentenza non definitiva in data 03.11.2010, il Tribunale di Treviso dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario tra R.G. e F.E. . Con sentenza definitiva in data 16.05.2012, su conclusioni comuni delle parti, il Tribunale affidava il figlio minore Ri. ad entrambi i genitori, con collocazione presso la madre, determinava il regime di visita del padre, disponeva che la casa coniugale venisse trasferita in proprietà al figlio, con obbligo per il R. di procedere al trasferimento stesso, e di corrispondere alla moglie la somma di Euro 2.500 mensili di cui Euro 700, quale assegno divorzile ed Euro 1800 per contributo al mantenimento del figlio. Con ricorso depositato in data 11.07.2012, il R. impugnava la sentenza definitiva, chiedendo, in parziale riforma, l’aumento delle possibilità di visita al minore, la riduzione del contributo per il mantenimento del figlio e l’esclusione dell’assegno divorzile. Costituitosi il contraddittorio, la F. eccepiva la inammissibilità dell’appello e ne chiedeva il rigetto, con conferma della sentenza di primo grado in subordine, proponeva appello incidentale condizionato, chiedendo la riduzione delle visite paterne e l’aumento dell’assegno divorzile. La Corte di Appello di Venezia, con sentenza in data 23.01.2013, dichiarava inammissibile l’appello principale e quello incidentale. Ricorre per cassazione il R. , che pure deposita memoria difensiva. Resiste con controricorso la F. . Motivi della decisione Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 5 L. Divorzio, 100, 112 c.p.c., in quanto la sentenza poteva essere impugnata, anche indipendentemente dalla soccombenza delle parti. Con il secondo, violazione degli artt. 100, 112, 132 c.p.c. in ragione della sussistenza di diritti indisponibili, per i quali l’interesse ad impugnare prescinderebbe dalla condotta processuale delle parti. Con il terzo, violazione degli artt. 100, 112, 132 c.p.c., in quanto il trasferimento immobiliare a favore del figlio delle parti, non assicurava il suo interesse alla conservazione dell’habitat domestico. Con il quarto, violazione degli artt. 155 quater, 1021, 1022, 2643, 2645 c.c., non essendo stata disposta la assegnazione della casa coniugale al genitore, collocatario del figlio. Con il quinto, violazione degli artt. 1173, 1174, 1321, 1325, 1987 c.c., per nullità della clausola relativa al trasferimento della abitazione al figlio, essendo l’impegno del padre giuridicamente irrilevante. Con il sesto, violazione dell’art. 1478 c.c., per nullità della predetta clausola, stante la necessità di una delibera assembleare della società proprietaria, per autorizzare la vendita. La sentenza impugnata dichiara inammissibile l’appello principale, sostenendo che, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., per far valere una domanda in giudizio e per proporre impugnazione, occorre avervi interesse, e che difetta totalmente in capo al R. tale interesse, non essendo egli risultato soccombente per alcuna delle domande proposte nel primo grado, con le conclusioni definitive da lui rassegnate. Non rinviene il giudice a quo clausole nulle nell’accordo raggiunto tra le parti, non essendovi violazione alcuna di diritti indisponibili, né contrasto con l’interesse del minore valido il trasferimento immobiliare a suo favore della casa coniugale, con impegno del padre all’acquisto della proprietà e al predetto trasferimento, che garantirebbe al minore stesso la permanenza nell’habitat domestico. Va condivisa, seppur con alcune doverose precisazioni, l’affermazione della pronuncia impugnata, per cui non è ammessa impugnazione se la parte o entrambe le parti, a seguito di accordo, risultino soccombenti. La fattispecie in esame conclusioni comuni nell’ambito di un procedimento di divorzio originariamente contenzioso è assimilabile a quella inerente ad un procedimento di divorzio congiunto. È bensì vero, come afferma il ricorrente, che l’art. 5, comma 5, L. Divorzio prevede, apparentemente senza eccezione, la possibilità di impugnazione, da parte di ciascun coniuge, ma, per il divorzio congiunto, tale previsione riguarda situazioni particolari il primo giudice non ha recepito o ha recepito solo parzialmente l’accordo tra le parti, magari precisando che erano in questione diritti indisponibili o l’accordo stesso appariva in contrasto con l’interesse del minore, ovvero non era congrua” la corresponsione una tantum di somma, escludente, per il futuro l’assegno divorzile. In tali casi ovviamente, ciascuno dei coniugi od entrambi potrebbero impugnare la sentenza. Il Pubblico Ministero, ai sensi del art. 5, comma 5, predetto, può impugnare limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli. Va interpretata in senso lato tale previsione, con riferimento al patrimonio del minore, al suo mantenimento, ai trasferimenti immobiliari o mobiliari che lo riguardano, ecc. E impugnazione potrebbe esservi, da parte di un curatore speciale del minore, in caso di conflitto di interessi con i genitori questione estranea alla presente fattispecie, non essendovi stata, in corso di causa, istanza alcuna di nomina di un curatore . Si diceva della affermazione condivisibile, per cui non vi è interesse ad impugnare, senza soccombenza, ma, nella specie, vi è una ragione ulteriore per escludere l’impugnazione. Nella separazione consensuale, cosi come nel divorzio congiunto, ma pure in caso di precisazioni comuni che concludano e trasformino il procedimento contenzioso di separazione e divorzio, si stipula un accordo, di natura sicuramente negoziale tra le altre, Cass. numero 17607 del 2003 , che, frequentemente, per i profili patrimoniali si configura come un vero e proprio contratto. Non rileva che, in sede di divorzio, esso sia recepito, fatto proprio dalla sentenza all’evidenza tale sentenza è necessaria per la pronuncia sul vincolo matrimoniale, ma, quanto all’accordo, si tratta di un controllo esterno del giudice, analogo a quello di separazione consensuale. Com’è noto, nell’accordo tra le parti, in sede di separazione e di divorzio, si ravvisa un contenuto necessario attinente all’affidamento dei figli, al regime di visita dei genitori, ai modi di contributo al mantenimento dei figli, all’assegnazione della casa coniugale, alla misura e al modo di mantenimento, ovvero alla determinazione di un assegno divorziale per il coniuge economicamente più debole ed uno eventuale la regolamentazione di ogni altra questione patrimoniale o personale tra i coniugi stessi . Tradizionalmente gli accordi negoziali in materia familiare, erano ritenuti del tutto estranei alla materia e alla logica contrattuale, affermandosi che si perseguiva un interesse della famiglia trascendente quello delle parti, e l’elemento patrimoniale, ancorché presente, era strettamente collegato e subordinato a quello personale. Oggi, escludendosi in genere che l’interesse della famiglia sia superiore e trascendente rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti, si ammette sempre più frequentemente un’ampia autonomia negoziale, e la logica contrattuale, seppur con qualche cautela, là dove essa non contrasti con l’esigenza di protezione dei minori o comunque dei soggetti più deboli, si afferma con maggior convinzione. Nei verbali di separazione consensuale o in quelli recepiti dalla sentenza di divorzio congiunto, sono assai frequenti le clausole contenenti promesse di trasferimenti, ma pure trasferimenti effettivi di proprietà o altri diritti reali su beni immobili o mobili da un coniuge all’altro. Intenti modalità, contenuti possono essere i più diversi regolamentazione di tutti o di alcuni rapporti reciproci tra i coniugi, magari anche al fine di prevenire possibili controversie, con un sistema più o meno complesso di concessioni, compromessi, risarcimenti, riconoscimenti, ecc, attribuzioni ed assegnazioni reciproche, talora anche di portata divisoria, ma pure di adempimento dell’obbligo ex lege di mantenimento o comunque di assistenza a favore del coniuge economicamente più debole. Questa Corte da tempo ritiene che la clausola di trasferimento di immobile tra i coniugi, contenuta nei verbali di separazione o recepita dalla sentenza di divorzio congiunto o magari, come nella specie, sulla base di conclusioni uniformi, è valida tra le parti e nei confronti dei terzi, essendo soddisfatta l’esigenza della forma scritta tra le prime pronunce al riguardo, Cass. 11 novembre 1992, numero 12110 e, ancora recentemente, Cass. numero 2263 del 2014 , cosi come il trasferimento o la promessa di trasferimento di immobili, mobili o somme di denaro, quale adempimento dell’obbligazione di mantenimento o assistenziale da parte di un coniuge nei confronti dell’altro tra le altre, Cass. 17 giugno 1992 numero 7470 . Ma pure questa Corte ha sostenuto la ammissibilità, a titolo di contributo per il mantenimento del figlio minore, del trasferimento di un immobile a suo favore, quale contratto atipico e gratuito, che si perfeziona per effetto del mancato rifiuto Cass. 21 dicembre 1987, numero 9500 . Va altresì precisato che gli accordi omologati ovvero recepiti dalla sentenza di divorzio non esauriscono necessariamente ogni rapporto tra i coniugi o tra genitori e figli . Si potrebbero ipotizzare e nella prassi ciò accade frequentemente accordi anteriori, contemporanei o magari successivi alla separazione o al divorzio, nella forma della scrittura privata o dell’atto pubblico. Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte è variamente intervenuta, con particolare riferimento agli accordi extragiudiziali, in occasione della separazione, attraverso una complessa evoluzione verso una più ampia autonomia negoziale dei coniugi. Dapprima si affermava che tutti i patti intercorsi tra i coniugi, in vista della separazione, anteriori, coevi o successivi, indipendentemente dal loro contenuto, dovevano essere sottoposti al controllo del giudice che, con il suo decreto di omologa, conferiva ad essi valore ed efficacia giuridica. Successivamente si cominciò ad effettuare distinzione sul contenuto necessario ed eventuale delle separazioni consensuali, sui rapporti tra i genitori e figli, riservati al controllo del giudice, e tra coniugi, che, almeno tendenzialmente, rimanevano nell’ambito della loro discrezionale ed autonoma determinazione, in base alla valutazione delle rispettive convenienze, fino a sostenere successivamente l’autonomia negoziale dei genitori, anche nel rapporto con i figli, purché si pervenga ad un miglioramento degli assetti concordati davanti al giudice tra le altre, Cass. 22 gennaio 1994 numero 657 numero 23801 del 2006 . Al contrario, la giurisprudenza di questa Corte è rimasta tradizionalmente orientata a ritenere gli accordi assunti prima del matrimonio o magari in sede di separazione consensuale, in vista del futuro divorzio, nulli per illiceità della causa, perché in contrasto con i principi di indisponibilità degli status e dello stesso assegno di divorzio tra le altre Cass. N. 6857 del 1992 . Sono stati invece ritenuti validi accordi in vista di una dichiarazione di nullità del matrimonio, in quanto correlati ad un procedimento dalle forti connotazioni inquisitorie, volto ad accertare l’esistenza o meno di una causa di invalidità matrimoniale, fuori da ogni potere negoziale di disposizione degli status tra le altre Cass. N. 348 del 1993 . Giurisprudenza più recente ha sostenuto che tali accordi non sarebbero di per sé contrari all’ordine pubblico più specificamente il principio dell’indisponibilità preventiva dell’assegno di divorzio dovrebbe rinvenirsi nella tutela del coniuge economicamente più debole, e l’azione di nullità relativa sarebbe proponibile soltanto da questo al riguardo, Cass. numero 8109 del 2000 . Questa Corte più recentemente Cass. numero 23713 del 2012 ma v. pure Cass. numero 19304 del 2013 , pur escludendo che nella specie si trattasse di accordi prematrimoniali in vista del divorzio, ha avuto modo di precisare che tali accordi sono molto frequenti in altri Stati, segnatamente quelli di cultura anglosassone, dove essi svolgono una proficua funzione di deflazione delle controversie familiari e divorzili, e pure ha sottolineato le critiche di parte della dottrina all’orientamento tradizionale, che trascurerebbe di considerare adeguatamente non solo i principi del diritto di famiglia ma la stessa evoluzione del sistema normativo, ormai orientato a riconoscere sempre più ampi spazi di autonomia ai coniugi nel determinare i propri rapporti economici, anche successivi alla crisi coniugale, ferma ovviamente la tutela dell’interesse dei figli minori. Come si è detto, l’accordo delle parti in sede di separazione o di divorzio e magari quale oggetto di precisazioni comuni in un procedimento originariamente contenzioso ha natura sicuramente negoziale, e talora da vita ad un vero e proprio contratto. Ma, anche se esso non si configurasse come contratto, all’accordo stesso sarebbero sicuramente applicabili alcuni principi generali dell’ordinamento come quelli attinenti alla nullità dell’atto o alla capacità delle parti, ma pure alcuni più specifici ad es. relativi ai vizi di volontà, del resto richiamati da varie norme codicistiche in materia familiare dalla celebrazione del matrimonio al riconoscimento dei figli nati fuori di esso al riguardo, ancora, Cass. numero 17607 del 2003 . Tornando alla fattispecie in esame, si deve affermare che i coniugi, in quanto parti dei predetti accordi, non possono impugnare un decreto di omologa o la sentenza che li abbia recepiti. Lo potrebbero, come si diceva, il Pubblico Ministero per gli interessi patrimoniali dei minori ovvero un curatore speciale, nominato dal giudice, in nome e per conto dei minori stesso. Ove l’accordo o il contratto sia nullo, tale nullità potrebbe essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, e dunque anche da chi abbia dato causa a tale nullità. Ed esso potrebbe essere oggetto di annullamento da parte del soggetto incapace o la cui volontà risulti viziata ad es. da un errore pure sulla sussistenza dell’interesse del minore, ma si dovrebbe ricordare che se nell’accordo sia preminente una causa transattiva, non rileverebbe ai sensi dell’art. 1969 c.c., errore di diritto . Ma nullità o annullamento non potrebbero costituire motivo di impugnazione dei soggetti dell’accordo da cui essi sono vincolati, ma dovrebbero essere fatti valere in un autonomo giudizio di cognizione In termini generali numero 17607 del 2003 . Vi sono peraltro alcuni equivoci da chiarire, in relazione alla fattispecie dedotta in giudizio. È vero che l’accordo o il contratto collegato alla crisi familiare, potrebbe violare diritti indisponibili. Si pensi ad es. ad una clausola che escluda in perpetuo la possibilità, per il coniuge, di un assegno di mantenimento o divorzile ovvero che impedisca, sempre e comunque, un controllo del genitore sull’esercizio della potestà oggi responsabilità” esercitata dall’altro, o magari, addirittura, che limiti la possibilità o vincoli le parti al divorzio. Ma aldilà di tali clausole estreme”, che ben difficilmente nella prassi vengono stipulate, i coniugi possono, con reciproche concessioni, raggiungere un accordo sull’affidamento dei figli e modalità di visite genitoriali nonché su ogni altra questione personale o patrimoniale della vita familiare. Altrimenti non vi sarebbe spazio alcuno per separazioni consensuali, divorzi congiunti o conclusioni comuni. Quanto all’interesse del minore, si è detto che la giurisprudenza conosce e ha ritenuto pienamente valida la clausola di trasferimento immobiliare da un coniuge al figlio, anche a scopo di mantenimento, utilizzando lo schema del contratto a favore di terzo e/o di quello con obbligazione per il solo proponente, ai sensi dell’art. 1333 c.c Cass. numero 2500 del 1987 . Ne rileverebbe la circostanza che l’immobile in questione non sia di proprietà del genitore obbligato. Si tratterebbe, in sostanza, di fattispecie analoga a quella di vendita di cosa altrui, ai sensi dell’art. 1478 c.c. e segg. l’obbligato dovrà acquistare l’immobile e trasferirlo al beneficiario in caso di inottemperanza, egli sarà tenuto al risarcimento del danno. Il trasferimento immobiliare supererebbe la necessità di assegnazione della casa coniugale al genitore collocatario del minore. D’altra parte, essendo il R. titolare del contratto di locazione della casa coniugale, con il divorzio, si potrebbe configurare una successione del coniuge, convivente con il figlio minore, nel rapporto locatizio, ai sensi dell’art. 6 L. numero 392 del 1978, sulla locazione degli immobili urbani. E se il proprietario facesse valere i suoi diritti sull’immobile, sarebbe sempre possibile richiedere, in sede di modifica delle condizioni di divorzio, un’elevazione dell’assegno a favore del coniuge collocatario del figlio, per permettergli di rinvenire una nuova sistemazione abitativa. Non si ravvisa dunque né violazione di diritti indisponibili né contrasto alcuno con l’interesse del minore. Va pertanto rigettato il ricorso. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 6000 per compensi, Euro 200 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Ai sensi del art. 13 comma 1 quater D.P.R. numero 115 del 2002, dà atto dell’insussistenza dei presupposti per il versamento del contributo unificato, a norma del comma 1 bis, predetto articolo. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 D.Lgs. numero 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.