Lui semplice pensionato, lei commerciante rampante: niente assegno all’ex moglie

Fatti i ‘conti della serva’, la situazione reddituale dei due ex coniugi è sbilanciata a favore della donna. Decisiva la buona produttività dell’attività commerciale messa in piedi dall’ex moglie. Irrilevante la cessione alla figlia il volume d’affari del negozio permette di considerare adeguata la posizione della donna, e superiore a quella dell’uomo, semplice pensionato.

Fatali lo spirito imprenditoriale e, soprattutto, i buoni risultati ottenuti. Perché proprio alla luce del positivo andamento del negozio messo in piedi dalla donna – coadiuvata dalla figlia maggiorenne –, è corretta la decisione di azzerare completamente l’assegno divorzile posto originariamente a carico dell’uomo. Cassazione, ordinanza n. 24667, Sesta sezione Civile, depositata oggi Reddito boom . Chiuso definitivamente il rapporto coniugale, alla luce dell’esito del procedimento di divorzio , e chiusi anche i potenziali rapporti economici. Su questo punto, difatti, i giudici della Corte d’Appello, ribaltando completamente quanto deciso in primo grado, escludono l’ipotesi di assegno per la moglie e per la figlia posto a carico del marito . Pronta la reazione dell’ex moglie, che ricorre in Cassazione, rivendicando il diritto all’ assegno divorzile , e spiegando che l’attività commerciale da lei messa in piedi – e considerata rilevante, dai giudici, per valutare le sue capacità economiche – è stata ceduta alla figlia. Ciò, però, non modifica, secondo i giudici del ‘Palazzaccio’, le valutazioni dei redditi dei coniugi , fissati al momento della pronunzia di divorzio . In sostanza, viene ribadito che la donna possiede adeguati mezzi di sostentamento, analoghi, se non superiori, a quelli del marito, che percepisce solo un reddito da pensione , e significativo è il fatto che ella ha aperto un esercizio di abbigliamento, con un notevole volume di affari ed un buon reddito annuo . E tale attività commerciale, precisano i giudici, non è da considerarsi cessata , perché nella struttura è intervenuta la figlia maggiorenne della donna. Complessivamente, quindi, è lecito considerare acclarata una redditività adeguata, con sufficienti mezzi di sostentamento per madre e figlia , concludono i giudici, i quali non dimenticano anche di sottolineare che proprio la figlia ha acquistato un’auto di grossa cilindrata

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 9 luglio - 31 ottobre 2013, n. 24667 Presidente Di Palma – Relatore Dogliotti Fatto e diritto In un procedimento di divorzio tra S.M. e R.A., il Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere con sentenza in data 28/04/2009 accoglieva la domanda di assegno per la moglie e per la figlia, a carico del marito. La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza in data 1 aprile 2010, in riforma, escludeva tali assegni. Ricorre per cassazione la moglie, in punto assegno divorzile. Resiste con controricorso il marito. La moglie ha depositato memoria per l'udienza. Non si ravvisa violazione alcuna di legge. Il provvedimento impugnato presenta una motivazione congrua e non illogica. Il ricorrente propone nella sostanza profili e valutazioni di fatto, insuscettibili di controllo in questa sede. Va precisato che, per giurisprudenza consolidata tra le altre, Cass. n. 2156 del 2010 , il giudice può desumere il tenore di vita pregresso cui deve rapportarsi l'assegno di divorzio, dai redditi dei coniugi al momento della pronuncia di divorzio. Chiarisce il giudice a quo, sulla base della documentazione in atti, che la R. possiede adeguati mezzi di sostentamento, analoghi se non superiori a quelli del marito, che percepisce solo un reddito da pensione. Non è affatto vero, come sostiene la ricorrente, che il giudice a quo abbia ritenuto rilevanti eventuali contributi di sostentamento alla R., da parte della figlia maggiorenne, con essa convivente. Afferma la sentenza impugnata che la ricorrente ha aperto un esercizio di abbigliamento con un notevole volume di affari ed un buon reddito annuo per il 2008. Si precisa ulteriormente che non è da considerarsi cessata l'attività, in quanto nel medesimo esercizio è intervenuta la figlia maggiorenne. Si valuta la sussistenza di una redditività adeguata, con sufficienti mezzi di sostentamento per madre e figlia che, tra l'altro, ha acquistato un’auto di elevata cilindrata. Va pertanto rigettato il ricorso. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in €. 1.000,00 per compensi ed €. 100.00 per esborsi, oltre accessori di legge.