Il giudicato sulla divisione ereditaria non preclude al coerede di agire in riduzione

Il coerede convenuto nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria, può, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divisione, esperire l’azione di riduzione delle liberalità compiute in vita del de cuius nei confronti di altro coerede dispensato dalla collazione, lamentando l’eccedenza della donazione rispetto alla disponibile e chiedendo la reintegrazione della quota di riserva, con le conseguenti restituzioni.

E’ da escludere che la mancata costituzione nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria promosso da altro coerede esprima l’inequivoca volontà della parte convenuta contumace di rinunciare a far valere, in separato giudizio, il suo diritto alla reintegrazione della quota di eredità riservatale per legge. Il diritto alla reintegrazione della quota di riserva, vantato da ciascun legittimario, è autonomo nei confronti dell’analogo diritto degli altri legittimari, non essendo espressione di un’azione collettiva spettante complessivamente al gruppo di legittimari sicché il giudicato sull’azione di riduzione promossa vittoriosamente da uno di essi – se non può avere l’effetto di operare direttamente la reintegrazione spettante all’altro soggetto legittimario che abbia preferito, pur essendo presente nel processo di divisione contemporaneamente promosso, rimanere per questa parte inattivo – neppure preclude a quest’ultimo di agire separatamente, nell’ordinario termine di prescrizione, con l’azione di reintegrazione della sua quota di riserva. Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 20143 depositata il 3 settembre 2013. Scioglimento della comunione ereditaria e riduzione parziale. Apertasi la successione in seguito alla morte del genitore, uno dei tre coeredi agisce per la divisione della comunione ereditaria ed in subordine per la riduzione parziale della donazione fatta in favore di altro coerede. Il giudizio, nel quale non si costituisce uno dei coeredi pur essendo stato ritualmente citato, si conclude con l’accoglimento della domanda e la riduzione parziale della donazione. Passata in giudicato tale pronuncia, il coerede contumace agisce in riduzione asserendo la lesione della propria quota di riserva e chiedendo la riduzione della donazione già oggetto di riduzione nel precedente giudizio. Sia il tribunale che la Corte di appello rigettano la domanda ritenendo che l’azione di riduzione sia preclusa qualora sia passata in giudicato la sentenza che aveva in precedenza deciso sulla divisione e sulla riduzione in relazione alla medesima vicenda successoria. Tra le varie argomentazione addotte a tale tesi, vi era quella che faceva leva sul pregiudizio al giudicato che avrebbe potuto originare dall’opposta situazione, in quanto l’eventuale accoglimento della seconda azione inciderebbe inevitabilmente sull’assetto coperto dal giudicato. Interposto ricorso per Cassazione la Corte, nella sentenza impugnata, disattende, sulla base di una puntuale analisi del rapporto tra azione di divisione e azione di riduzione, la ricostruzione dei giudici di merito. Il rapporto tra azione di divisione e azione di riduzione. La Corte ricorda come tra l’azione di divisione e l’azione di riduzione non sia ipotizzabile un contrasto di giudicati, avendo le stessi finalità diverse. Mentre l’azione di divisione tende allo scioglimento della comunione ereditaria nei confronti di tutti i coeredi, l’azione di riduzione mira, indipendentemente dalla divisione, al soddisfacimento dei diritti dei legittimari lesi nei confronti unicamente di coloro che hanno beneficiato delle disposizioni lesive di tali diritti. Tra le due azioni esiste quindi una diversità di petitum e di causa petendi, atteso che nel giudizio di divisione il petitum è dato dal conseguimento della quota ereditaria e la causa petendi dalla semplice qualità di erede, con ciò differenziandosi rispetto all’azione di riduzione. L’autonomia del giudizio di riduzione per lesione della legittima rispetto a quello di divisione . In virtù dei rilievi dinnanzi visti la Corte giunge ad affermare l’autonomia del giudizio di riduzione per lesione della legittima rispetto a quello di divisione. La Corte afferma quindi che il coerede convenuto nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria, può, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divisione, esperire l’azione di riduzione delle liberalità compiute in vita del de cuius nei confronti di altro coerede dispensato dalla collazione, lamentando l’eccedenza della donazione rispetto alla disponibile e chiedendo la reintegrazione della quota di riserva, con le conseguenti restituzioni, non sussistendo, tra le due azioni, alcun rapporto preclusivo basato sull’eventuale giudicato implicito sotteso alla pronuncia resa all’esito del giudizio di scioglimento della comunione ereditaria. La rinuncia, anche tacita, all’azione di riduzione . La Corte, al fine di completare la propria analisi, prende altresì in considerazione il profilo della rinuncia all’azione di riduzione intervenuta dopo l’apertura della successione, in relazione alla quale – in linea con la soluzione offerta in punto di rapporto tra azione di divisione e azione di riduzione – afferma che è necessario che il legittimario manifesti positivamente la volontà di rinunciare al suo diritto di conseguire la riserva, e che qualora manche una rinuncia espressa si può giungere a ritenere l’esistenza di una rinuncia tacita solo in base ad un comportamento inequivoco e concludente del soggetto interessato, che sia incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione. Al riguardo è tuttavia da escludere che la mancata costituzione nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria promosso da altro coerede esprima l’inequivoca volontà della parte convenuta contumace di rinunciare a far valere, in separato giudizio, il suo diritto alla reintegrazione della quota di eredità riservatale per legge.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 maggio - 3 settembre 2013, n. 20143 Presidente Felicetti – Relatore Giusti Ritenuto in fatto 1. - A N.G. , deceduto il omissis , sono succeduti, quali eredi ab intestato, i tre figli N.P. , S. e L. . In vita N.G. , con atto ai rogiti del notaio Antonio Di Prospero in data 28 maggio 1986, aveva donato al figlio P. e alla di lui moglie Ca.An. un terreno con sovrastante fabbricato rurale sito in omissis , con dispensa da collazione e da imputazione. N.S. ha introdotto, con atto di citazione notificato il 23 giugno 1988, un'azione di divisione ereditaria, chiedendo in subordine la riduzione della donazione fatta in vita dal proprio padre a favore del fratello P. e della di lui moglie Ca.An. . In quel giudizio N.L. è rimasta contumace. Il Tribunale di Larino, con sentenza n. 149/96, pubblicata il 14 giugno 1996, premesso che nella domanda di divisione ereditaria proposta dal solo coerede N.S. risulta implicitamente contenuta quella pregiudiziale di riduzione della donazione, ha dichiarato l'inefficacia parziale della donazione, nei limiti occorrenti alla reintegrazione della quota di riserva spettante al solo N.S. , procedendo, quindi, allo scioglimento della comunione ereditaria, dopo avere dato atto che il valore del relictum era pari a lire 30.889.160 e quello del donatum a lire 226.713.000. Questa sentenza è passata in giudicato. 2. - N.L. , con successivo atto notificato il 13 ottobre 1997, ha, anch'essa, proposto davanti al Tribunale di Larino, sezione distaccata di Termoli, domanda di riduzione della donazione del terreno con sovrastante fabbricato effettuata dal de cuius N.G. in favore di N.P. e di Ca.An. con il citato atto ai rogiti del notaio Di Prospero del 28 maggio 1986. Nella resistenza dei convenuti, il giudice adito, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 10 ottobre 2002, ha rigettato la domanda, sul rilievo che l'attrice non poteva proporre in autonomo giudizio la domanda di riduzione dopo che era passata in cosa giudicata la sentenza n. 149/96 che, all'esito della domanda proposta da altro coerede, aveva accolto la domanda di riduzione con riferimento al medesimo terreno e fabbricato e disposto la divisione dei beni lasciati ab intestato dal de cuius. 3. - Hanno proposto appello C.M. e C.G. , rispettivamente marito e figlio di N.L. ed eredi della stessa, nel frattempo deceduta. La Corte di Campobasso, con sentenza pubblicata il 21 febbraio 2006, ha rigettato il gravame. A tale conclusione la Corte d'appello è pervenuta rilevando che la domanda di riduzione non poteva essere esperita dalla N. a in primo luogo, perché proposta solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza resa nel giudizio divisorio, sicché essa pregiudicherebbe irrimediabilmente il principio dell'intangibilità del giudicato, comportando, ove accolta, la necessità di una rideterminazione delle quote materiali beni e conguagli spettanti ai condividenti, cosi andando ad incidere necessariamente sulla già effettuata divisione b in secondo luogo, perché avanzata dopo che nel separato giudizio divisorio l'attore N.S. aveva esperito analoga domanda in relazione allo stesso atto di donazione c infine, perché la N. era parte ancorché contumace nel giudizio divisorio ed era in quel giudizio o quanto meno, nel corso di esso, sia pure con autonomo procedimento di riduzione da riunirsi poi a quello che avrebbe potuto e dovuto, costituendosi, proporre anch'essa la domanda pregiudiziale di riduzione, posto che il giudicato copre non solo il dedotto ma anche il deducibile. 4. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello, notificata il 25 luglio 2006, C.G. , in proprio e quale erede di C.M. , ha proposto ricorso, con atto notificato il 3 novembre 2006, sulla base di un motivo. Hanno resistito, con controricorso, N.P. e Ca.An. . A seguito dell'ordinanza interlocutoria di questa Corte 22 novembre 2012, n. 20701, il ricorrente ha depositato originale del certificato di morte, con la attestazione dell'avvenuto decesso di C.M. in data omissis . Motivi della decisione 1. - Preliminarmente, deve essere respinta l'eccezione preliminare di carenza di legittimazione attiva del ricorrente C.G. , per non avere costui dato la prova di essere subentrato, iure successionis, nella posizione processuale di C.M. . Infatti, per un verso, C.G. ha proposto appello, nella dichiarata qualità di figlio ed erede dell'attrice N.L. , nel frattempo deceduta, unitamente al padre C.M. , marito ed erede della stessa, senza che la qualità dell'uno e dell'altro sia stata posta, allora, in contestazione per l'altro verso, a seguito dell'ordinanza interlocutoria 22 novembre 2012, n. 20701, C.G. ha dato prova, con il deposito dell'originale del certificato di morte, del decesso di C.M. in data omissis , e con ciò ha dimostrato di esserne succeduto nella posizione processuale, essendo il ricorrente figlio di costui. 2. - Con l'unico motivo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 553, 554, 555, 556, 563, 713 e 2909 cod. civ. si premette che la sentenza n. 149/96 riguardava un giudizio di scioglimento della comunione ereditaria ed una riduzione parziale proposta dal solo coerede N.S. , nei limiti occorrenti alla reintegrazione della sua quota, laddove il secondo giudizio ha ad oggetto una domanda di riduzione di quella parte della donazione non coinvolta nella prima decisione. Secondo il ricorrente, tra le due azioni, aventi finalità diverse, non sarebbe ipotizzabile né un contrasto di giudicati né una preclusione da giudicato. Infatti, rispetto all'azione di divisione ereditaria, tendente allo scioglimento della comunione ereditaria nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione stessa, con contestuale assegnazione delle porzioni, l'azione di riduzione mirerebbe, indipendentemente dalla divisione, al soddisfacimento dei diritti dei legittimari lesi nei confronti unicamente di coloro che hanno beneficiato delle disposizioni lesive di tali diritti. Tra le due azioni, di riduzione e di divisione, non sussisterebbe identità né della causa petendi, trattandosi di domande basate su due diritti diversi, né del peti tuia, rivolto, in un caso, allo scioglimento della comunione, e, nell'altro, all'inefficacia parziale dell'atto di donazione. Né vi sarebbe preclusione derivante dal positivo esercizio dell'azione di riduzione da parte di altro legittimario, N.S. , giacché il diritto di agire in riduzione ha natura di diritto potestativo e spetta a ciascuno dei legittimari. 3. - Il motivo è scrutinabile nel merito, non essendo soggetto, ratione temporis, al regime del quesito di diritto, introdotto dall'art. 366-bis cod. proc. civ. con riguardo ai ricorsi avverso provvedimenti pubblicati con decorrenza dal 2 marzo 2006. È pertanto da rigettare l'eccezione preliminare di inammissibilità sollevata dalla difesa dei controricorrenti. 4. - Nel merito, la doglianza articolata con il motivo è fondata. Occorre premettere che la domanda di divisione si propone quando, costituitasi la comunione ereditaria in seguito alla apertura della successione legittima o testamentaria, gli eredi chiedono lo scioglimento e le conseguenti assegnazione delle porzioni o attribuzione dei beni. Poiché anche la divisione comporta la collazione e l'imputazione art. 724 cod. civ. , carattere precipuo della domanda di divisione è che, con questa, nessun erede deduce di aver subito una lesione della quota di riserva in altre parole, gli eredi tenuti alla collazione ed alla imputazione non affermano che quanto dal defunto, direttamente o indirettamente, è stato donato abbia ecceduto la disponibile. Il petitum, pertanto, consiste nel conseguimento della quota ereditaria, mentre la causa petendi è data dalla semplice qualità di erede legittimo o testamentario. L'azione di riduzione, invece, si propone nel caso in cui le disposizioni testamentarie o le donazioni siano eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre e ha come scopo, anzitutto, la determinazione dell'ammontare concreto della quota di legittima vale a dire, della quota di cui il defunto poteva disporre e di stabilire come ed in quale misura le singole disposizioni testamentarie o le donazioni debbano ridursi per integrare la legittima. Essendo stabilito dalla legge il diritto del legittimario ad una determinata quota, con l'azione di riduzione egli mira a conseguire in concreto tale diritto e cioè ad accertare costitutivamente , nei confronti della successione che lo riguarda, l'ammontare della quota di riserva e, quindi, della lesione che ad essa hanno apportato le disposizioni del de cuius, nonché le modalità e l'ammontare delle riduzioni di dette disposizioni lesive. Contestualmente, l'attuazione della reintegrazione in concreto implica la proposizione delle istanze di restituzione. Nell'azione di riduzione, quindi, assumono una fisionomia a sé tanto il petitum, quanto la causa petendi. Il primo consiste nel conseguimento della quota di riserva, previa determinazione di essa mediante il calcolo della disponibile e la susseguente riduzione delle disposizioni testamentarie o delle donazioni compiute in vita dal de cuius la seconda è data dalla qualità di erede legittimario e dalla asserita lesione della quota di riserva. Nel petitum e nella causa petendi dell'azione di riduzione sono presenti elementi ulteriori e più specifici di quelli costituenti il petitum e la causa petendi della domanda di divisione. Da questo quadro ricostruttivo, i cui tratti sono costantemente delineati nella giurisprudenza di legittimità Cass., Sez. 2, 16 novembre 2000, n. 14864 Cass., Sez. 2, 23 gennaio 2007, n. 1408 Cass., Sez. 2, 13 gennaio 2010, n. 368 , deriva che è da escludere che il giudicato sullo scioglimento della comunione ereditaria in seguito all'apertura della successione legittima, nella specie limitato al relictum essendo stato il coerede donatario dispensato dalla collazione cfr. Cass., Sez. 2, 6 marzo 1980, n. 1521 , comporti un giudicato implicito sulla insussistenza della lesione della quota di legittima, per effetto della donazione compiuta in vita dal de cuius, in capo a ciascun coerede condividente. Il giudicato implicito postula infatti che tra la questione decisa e quella che si vuole tacitamente risolta sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, che determini l'assoluta inutilità di decidere la seconda questione esso, pertanto, non è configurabile nella specie, in considerazione dell'autonomia e della diversità dell'azione di divisione ereditaria rispetto a quella di riduzione e del fatto che il meno , costituito dalla domanda di divisione, non contiene il più , rappresentato dalla proposizione della domanda di riduzione. Ne consegue che il coerede, convenuto nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria, può, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divisione, esperire l'azione di riduzione della liberalità compiuta in vita dal de cuius nei confronti di altro coerede dispensato dalla collazione, lamentando l'eccedenza della donazione rispetto alla disponibile e chiedendo la reintegrazione della quota di riserva, con le conseguenti restituzioni. È bensì vero che, morto il de cuius, il legittimario leso può rinunciare all'azione di riduzione delle disposizioni lesive della sua quota di riserva, ma è necessario, a tal fine, che egli manifesti positivamente la volontà di rinunciare al suo diritto di conseguire l'integrazione spettantegli. Ove manchi una rinuncia espressa in tal senso, si può giungere a ritenere l'esistenza di una rinuncia tacita solo in base ad un comportamento inequivoco e concludente del soggetto interessato, che sia incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione. Ma è da escludere che la mancata costituzione nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria promosso da altro coerede esprima l’inequivoca volontà della parte convenuta contumace di rinunciare a far valere, in separato giudizio, il suo diritto alla reintegrazione della quota di eredità riservatale per legge cfr. Cass., Sez. 2, 7 maggio 1987, n. 4230 Cass., Sez. 2, 21 maggio 2012, n. 8001 . A ciò aggiungasi che il diritto alla reintegrazione della quota, vantato da ciascun legittimario, è autonomo nei confronti dell'analogo diritto degli altri legittimari, non essendo espressione di un'azione collettiva spettante complessivamente al gruppo dei legittimari Cass., Sez. 2, 11 luglio 1969, n. 2546 Cass., Sez. 2, 13 dicembre 2005, n. 27414 Cass., Sez. 2, 20 dicembre 2011, n. 27770 sicché il giudicato sull'azione di riduzione promossa vittoriosamente da uno di essi - se non può avere l'effetto di operare direttamente la reintegrazione spettante ad altro legittimario che abbia preferito, pur essendo presente nel processo di divisione contemporaneamente promosso, rimanere per questa parte inattivo Cass., Sez. 2, 28 novembre 1978, n. 5611 - neppure preclude a quest'ultimo di agire separatamente, nell'ordinario termine di prescrizione, con l'azione di reintegrazione della sua quota di riserva. Questa conclusione è conforme al principio secondo cui, nel caso di pluralità di legittimare, ciascuno ha diritto ad una frazione della quota di riserva e non già all'intera quota, o, comunque, ad una frazione più ampia di quella che gli spetterebbe se tutti gli altri facessero valere il loro diritto e, quindi, ciascun legittimario può ottenere soltanto la parte a lui spettante della quota di riserva e non pure quella di coloro che sono rimasti inattivi o che hanno rinunciato all'azione di riduzione Cass., Sez. 2, 22 ottobre 1975, n. 3500 Cass., Sez. 2, 28 novembre 1978, n. 5611 . 5. - La sentenza impugnata è cassata. La causa deve essere rinviata alla Corte d'appello di Campobasso, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Campobasso, in diversa composizione.