Vendono le quote di società cadute in successione, ma il giudizio di divisone è pendente: la cessione nei riguardi del coerede è inefficace

I crediti del de cuius non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria.

La sentenza in commento, intricata nell’evolversi delle vicende e dei fatti di causa, affronta il delicato problema della opponibilità della cessione di quote di società cadute in successione, pendendo il giudizio divisionale, al coerede che non sia stato parte della vendita. Il caso. In forza di testamento un uomo lasciava alla figlia, avuta dalla seconda moglie, la quota di disponibile ed ai figli di primo letto la quota di legittima, disponendo dell’usufrutto uxorio in favore della prima moglie da cui aveva divorziato. Quest’ultima assieme ai figli citava in giudizio la seconda moglie e la figlia di quest’ultima, chiedendo che fossero assegnate ai tre figli del de cuius quote ereditarie uguali. Il Tribunale confermava le disposizione testamentarie del testatore. Anche la Corte d’appello confermava la decisione del giudice di prime cure. Contro detta pronuncia le parti proponeva ricorso in cassazione. Cessione di quote in pendenza del giudizio di divisione. Nelle more del giudizio due delle eredi vendettero le quote della società agricola caduta in successione, dopo averle offerte in prelazione all’altro erede. Quest’ultimo aveva diffidato le stesse dal procedere alla vendita di dette quote, sulla base dell’assunto che oggetto della cessione sarebbero state non già le quote della società, quanto piuttosto le quote della comunione ereditaria. Il coerede nell’ambito di un altro procedimento chiedeva che fosse dichiarata l’inefficacia dell’acquisto delle suddette quote, pendendo il separato giudizio divisionale. La domanda del coerede in primo grado fu accolta e, pertanto, fu dichiarata l’inefficacia dei confronti dell’attore della cessione delle quote della società, atteso che, non essendosi mai proceduto alla divisione ed all’attribuzione delle quote concrete di spettanza, la compravendita avrebbe dovuto essere stipulata con la partecipazione di tutti i coeredi. La Corte d’appello, invece, riformò la gravata decisione respingendo la domanda dell’erede sulla base dell’assunto che la pendenza di un giudizio di divisione non sarebbe stata di ostacolo alla cessione delle quote di un bene compreso nella comunione ereditaria, essendo stato rispettato l’unico onere che, in detto caso, incombeva sui cedenti, ovvero di rivolgere l’interpello ex articolo 732 c.c. all’altro condividente. Il soccombente proponeva pertanto, ricorso per cassazione. Le venditrici si affermavano proprietarie esclusive Il ricorrente deduceva in primo luogo che le parti condividenti avrebbero ceduto le quote della società non già quale astratte rappresentazioni del loro diritto di partecipazione all’eredità, quanto piuttosto come beni sia pure immateriali individuati di cui si ritenevano proprietarie esclusive. Nel preliminare di vendita difatti, le promittenti venditrici si affermavano proprietarie piene ed esclusive delle quote poi cedute. Questa circostanza avrebbe determinato la irrilevanza della offerta in acquisto rivoltagli ai sensi dell’articolo 732 c.c e la Corte di Cassazione boccia tale condotta! La Suprema Corte ha ritenuto che le cedenti vollero vendere i diritti di esclusiva spettanza sulla quota sociale dell’azienda agricola, assumendo di averne l’attuale e piena titolarità che, invece, avrebbe potuto esser loro riconosciuta solo a seguito della conclusione del giudizio divisionale. A dire degli Ermellini è dunque da escludere che le alienanti avessero voluto far subentrare l’acquirente nella comunione ereditaria pur se solo limitata a quella avente ad oggetto le quote sociali e, di conseguenza, che la vendita avesse avuto ad oggetto la quota ereditaria medesima. Da ciò ne discende che il mancato esercizio del diritto di prelazione ex articolo 732 c.c. da parte del ricorrente, non costitutiva fatto significativo della definitiva opponibilità del negozio di cessione inter alios . Quote sociali non sono assimilabili a meri crediti. In tale pronuncia la Suprema Corte, vista la riunione di due ricorsi, si è altresì pronunciata sul ricorso proposto dagli acquirenti delle quote sociali. Con riferimento a detta circostanza ha chiarito che le quote sociali, essendo beni immateriali, non sono assimilabili a meri crediti, ma sono attributivi di status e rappresentative di un complesso di crediti e debiti, in quanto solo per i debiti del de cuius varrebbe l’automatica divisibilità, in ragione delle quote di spettanza, entrando invece i crediti nella comunione ereditaria. La Suprema Corte pertanto, accoglie il ricorso proposto dall’erede, rigettando invece quello proposto dagli acquirenti delle quote sociali.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 6 marzo – 23 aprile 2013, numero 9801 Presidente Oddo – Relatore Bianchini Svolgimento del processo 1 Il omissis morì M.A.G. lasciando, in forza di un testamento del , alla figlia M.L. avuta dalla seconda moglie R.M. la quota di disponibile ed ai figli di primo letto V. e M.A.M. la quota di legittima, disponendo altresì dell'usufrutto uxorio in favore della prima moglie F.M.E. , da cui aveva divorziato. 2 La F. ed i figli della medesima citarono nel 1982 innanzi al Tribunale di Ravenna la R. sia in proprio sia quale rappresentante della figlia M.L. , all'epoca minorenne, chiedendo che ai tre figli del de cujus fossero assegnate quote ereditarie uguali, sancendo altresì il diritto della F. ad un assegno di mantenimento. 3 Il Tribunale, con sentenza numero 202/1983, rigettò tali domande, confermando sostanzialmente le disposizioni testamentarie, dichiarando che i 5/12 dell'eredità spettavano alla figlia M.L. i 3/12 a R.M. ed 2/12 ciascuno ai figli V. e M. , ordinando, tra l'altro, l'annotazione delle quote di partecipazione nelle medesime proporzioni nel libro dei soci della srl Azienda Agricola Malagola Anziani, fondata dal de cujus, le cui quote facevano parte dell'eredità. 4 La Corte di Appello di Bologna, con sentenza numero 363/1983, respinse la impugnazione della F. e dei suoi figli e ordinò procedersi alla divisione giudiziale di tutti i beni ereditali sulla base della determinazione delle quote ereditarie come definite dal Tribunale di Ravenna per la cassazione di tale sentenza proposero ricorso la R. , sia in proprio sia quale amministratrice della società sopra indicata sia M.A.M.L. , divenuta nel frattempo maggiorenne sia infine V. e M.A.M. e la F. . 5 Nelle more della celebrazione del giudizio di cassazione contro tale sentenza, nel 1986, la coerede M.A.M. rinunziò all'impugnazione nei confronti della matrigna e della sorellastra e costoro rinunziarono a loro volta al ricorso incidentale contro la prima. 6 Tra il 1985 e gli inizi del 1986, R.M. , la figlia M.A.M.L. e la stessa M.A.M. , nonostante la diffida di M.A.V. a non procedere oltre in quanto oggetto della cessione sarebbe stato non già le quote della società quanto piuttosto le quote della comunione ereditaria, pendente il giudizio di divisione e la pronunzia della Cassazione che avrebbe dovuto specificare l'esatta quota di eredità spettante a ciascun coerede vendettero le quote della società -pari a 9/12 del capitale sociale ad D.R.E. ed ai di lui familiari dopo averle offerte in prelazione al predetto M.A.V. la società assunse quindi la nuova denominazione di Azienda Agricola Dal Re srl, con amministratrice unica D.R.P. , figlia di E. . 7 A seguito di ciò la predetta amministratrice, nel settembre 1987, convocò l'assemblea straordinaria della società al fine di ripianare le perdite mediante aumento di capitale contro tale iniziativa M.A.V. chiese ed ottenne dall'allora Pretore di Ravenna un provvedimento inibitorio adottato in via di urgenza il conseguente procedimento si concluse con l'impegno dell'amministratrice a rinunziare a richiedere l'aumento predetto sin tanto che non fosse passata in giudicato la decisione sulla formazione delle quote ereditarie. 8 Con sentenza numero 8891/1987 la Corte di Cassazione accolse il ricorso della F. e, per quanto di ragione, anche quello del figlio V. respinse il ricorso di M.A.M. nei confronti del fratello, dichiarando estinte per rinunzia le altre impugnazioni. 9 Nonostante l'accordo in materia di sospensione di ogni deliberazione societaria riguardante il capitale, venne convocata, per il 5 luglio 1989, nuova assemblea per il ripianamento delle perdite à sensi dell'art. 2446 cod. civ. M.A.V. propose analoga richiesta di sospensione, così che l'assemblea non fu tenuta nella successiva causa di merito lo stesso chiese che fosse dichiarata l'inefficacia dell'acquisto di quote, pendendo il separato giudizio divisionale. 10 La Corte di Appello di Firenze, giudicando nel frattempo in sede di rinvio dalla cassazione, con sentenza numero 757/1991, statuì che l'eredità doveva andar divisa riconoscendo i tre dodicesimi a ciascuno dei tre figli ed alla seconda moglie, pretermessa nel testamento. 11 La causa relativa alla convalida del provvedimento di urgenza fu interrotta per morte di D.R.E. e quindi riassunta dalle figlie P. e Pa. si costituì D.M. quale procuratore di M.A.M. con sentenza numero 814/2001 del Tribunale di Ravenna venne disposta la separazione del giudizio sulla domanda in ordine alla quale vi era riserva di collegialità vale a dire la richiesta di declaratoria di improponibilità dell'assemblea del 1989 e fu accolta la domanda dell'attore, dichiarandosi l'inefficacia nei confronti di M.A.V. della cessione delle quote della società, atteso che, non essendosi mai proceduto alla divisione ed all'attribuzione delle quote concrete di spettanza, la compravendita avrebbe dovuto essere stipulata con la partecipazione di tutti i coeredi. 12 Detta sentenza venne gravata di appello dalla R. e dalla figlia M.L. che sostennero che la pendenza di un giudizio di divisione non avrebbe inciso sul diritto di alienare le quote della società, dal momento che esse sarebbero entrate a far parte del patrimonio dei singoli partecipanti alla comunione ereditaria sin dal momento dell'apertura della successione sottolineando altresì di aver vanamente offerto in acquisto al coerede la quota poi ceduta al D.R. . 13 Oltre a M.A.V. si costituirono P. e Da.Re.Pa. nonché il liquidatore della srl Azienda Agricola Dal Re, facendo presente che, ad eccezione dell'originario attore, tutti gli altri coeredi avevano ceduto al defunto D.R.E. le quote spettanti sulla società D.M. non si costituì. 14 La Corte di Appello di Bologna, pronunziando sentenza numero 1300/2005, riformò la gravata decisione, respingendo di conseguenza la domanda di M.A.V. sulla base delle seguenti considerazioni a — la pendente causa ereditaria non riguardava la qualità di erede bensì la misura della partecipazione che, riconosciuta al predetto M.A.V. nella misura di 2 dodicesimi a seguito della decisione numero 202/1983 del Tribunale di Ravenna, era stata poi aumentata a 3 dodicesimi a seguito della decisione numero 757/1991 della Corte di Appello di Firenze b la pendenza di un giudizio di divisione non sarebbe stata di ostacolo alla cessione delle quote di un bene compreso nella comunione ereditaria, essendo stato rispettato l'unico onere che, in detto caso, incombeva sui cedenti, vale a dire di rivolgere l'interpello ex art. 732 cod. civ. all'altro condividente. 15 Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso M.A.V. , facendo valere quattro motivi, illustrati da memoria la R. e la figlia M.L. hanno risposto con controricorso P. e Da.Re.Pa. hanno avanzato ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi la società Azienda Agricola Dal Re ed il D. nella qualità non hanno articolato difese. Motivi della decisione I due ricorsi vanno riuniti ex art. 335 cpc, in quanto diretti contro una stessa sentenza. ricorso numero r.g. 1372/2007 1 — Con il primo motivo viene dedotta la violazione dell'art. 732 cod. civ., assumendo il ricorrente che le parti condividenti avrebbero ceduto le quote della società non già quale astratte rappresentazioni del loro diritto di partecipazione all'eredità, quanto piuttosto come beni sia pure immateriali individuati di cui si ritenevano proprietarie esclusive ciò sarebbe rimasto provato dal preliminare di vendita in cui le promittenti venditrici si affermavano proprietarie piene ed esclusive delle quote poi cedute tale circostanza avrebbe determinato la irrilevanza della offerta in acquisto rivoltagli ai sensi dell'art. 732 cod. civ La Puntualizza altresì il ricorrente che la sentenza della Corte di Appello di Bologna, pur avendo rideterminato le quote astratte di pertinenza dei singoli eredi, aveva però errato nell'escludere, dall'oggetto delle stesse, le quote della società, basandosi sul falso presupposto che queste ultime sarebbero state assegnate in proprietà ai singoli condividenti per effetto della sentenza numero 202/1983 del Tribunale di Ravenna tale erroneo capo di decisione era stato cassato dalla sentenza numero 6161/2006 della Corte di Cassazione ne sarebbe derivata la insostenibilità della tesi delle parti contro ricorrenti secondo la quale si sarebbe trattato di vendita di quote non facenti più parte dell'eredità. 1.b — Sostiene poi il ricorrente l'erroneità del ragionamento della Corte bolognese, laddove aveva ritenuto efficace ed opponibile ad esso coerede la cessione delle quote della società, sia nel caso in cui le stesse non avessero formato oggetto di cessione come quote di eredità bensì nel loro singolo valore rappresentativo del capitale sociale — stante la facoltà, riconosciuta ex art. 1103 cod. civ. a ciascun partecipante alla comunione, di cedere le quote di essa sia nell'ipotesi in cui si fosse ritenuta applicabile la disciplina della vendita della quota di eredità a seguito della non esercitata facoltà di rendersi acquirente della quota stessa, pur offertagli ex art. 732 cod. civ 2 — Con il secondo motivo — strettamente connesso a quello che precede, del quale riprende ed esamina paratamente la seconda delle ipotesi prospettate dalla Corte bolognese si denunzia la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1103 e 713 e segg. cod. civ 2.a — Parte ricorrente sostiene, a tal proposito, che il giudice dell'appello non avrebbe considerato che l'acquirente D.R. , acquistando la quota della società, non era divenuto, con ciò, partecipe della comunione ereditaria e che neppure poteva dirsi partecipe di quella ordinaria con la conseguente applicabilità del principio della libera disponibilità della quota di essa, secondo quanto previsto dall'art. 1103 cod. civ. perdurando lo stato di indivisione del patrimonio. 3 — I due motivi sopra descritti vanno esaminati congiuntamente in quanto affrontano il problema della opponibilità della cessione — che, come osservato dalla sentenza della Corte di Appello, costituiva il punto nodale della controversia v. fol 8 della gravata decisione di quote di società cadute in successione, pendendo il giudizio divisionale, al coerede che non sia stato parte della vendita. 3.a — Le censure sono fondate. 3.a.1 Va innanzi tutto rilevato che qualificare come falso problema vedi fol 9 della sentenza di appello lo stabilire se si verta in ipotesi di vendita di quota ereditaria o di quota concreta di bene immateriale, trattandosi di quota di società di capitali caduto a sua volta in successione, basandosi unicamente sulla indifferenza degli effetti che, scegliendo l'una o l'altra tesi, sortirebbero per l'erede — odierno ricorrente determina una inversione dell'ordine logico della trattazione della res controversa, dal momento che tale ritenuta indifferenza degli esiti per il terzo erede pretermesso dall'atto di vendita presupporrebbe già negata la sussistenza di diversi confini applicativi delle due ipotesi di cessione in termini di opponibilità e di efficacia che, invece, doveva costituire il thema disputandum. 3.a.2 — La valutazione dunque della fattispecie negoziale, come riprodotta nel ricorso fol 12, che riporta, in parte qua, il contenuto del preliminare di vendita posto in essere dalle condividenti , rende ragione del fatto che le cedenti vollero compromettere in vendita e successivamente vendere i diritti di esclusiva spettanza sulla quota sociale della srl Azienda Agricola Malagola Anziani, assumendo di averne l'attuale e piena titolarità che, invece, avrebbe potuto esser loro riconosciuta solo a seguito della conclusione del giudizio divisionale va dunque escluso che esse avessero inteso far subentrare l'acquirente nella comunione ereditaria pur se solo limitata a quella avente ad oggetto le quote sociali e, di conseguenza, che la vendita avesse avuto ad oggetto la quota ereditaria medesima ciò comporta che il mancato esercizio del diritto di prelazione ex art. 732 cod. civ. da parte del ricorrente, non costituiva fatto significativo della definitiva opponibilità del negozio di cessione inter alios. 3.a.3 — La esclusione della configurabilità della vendita di quote di società come cessione della quota di eredità a cui esse afferivano, non consentiva altresì di affermare la opponibilità e piena efficacia della vendita verso il comproprietario non partecipe alla cessione neppure ricostruendo il negozio in termini di vendita di una quota indivisa della sola res quota sociale , secondo la disciplina delineata dall'art. 1103 cod. civ., atteso che in questo secondo caso la libertà riconosciuta, più in generale, ai partecipi alla comunione, di vendere a terzi le proprie quote della res communis non toglieva la efficacia meramente obbligatoria dell'atto traslativo, condizionata come era dall'attribuzione, in sede divisionale, al cedente del bene venduto ne consegue che, pendente il giudizio divisionale, il trasferimento non era opponibile al comproprietario che non era stato parte dell'atto. 4 Il terzo ed quarto motivo risultano assorbiti essendo relativi il primo, alla ritenuta erronea interpretazione dell'art. 2468 cod. civ. il secondo, al vizio di motivazione sui primi due motivi. ricorso numero r.g. 6192/2007 5 — Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato le D.R. lamentano che non sia stata esaminata, dalla Corte di Appello di Bologna, l'eccezione di giudicato relativa allo stabilizzarsi della statuizione — per effetto dalla mancata impugnazione della pronunzia del Tribunale di Ravenna numero 202/1983 sulla già avvenuta ripartizione divisione tra gli eredi della quota sociale, con la conseguente annotazione sul libro dei soci il motivo è superato dalla sentenza numero 6161/2006 di questa Corte che ha riconosciuto che anche le quote della società dovevano rientrare nell'oggetto del giudizio divisorio. 5.a — Con connesso rilievo le D.R. denunziano la violazione del contraddittorio della sentenza numero 6161/2006 di questa Corte, che a sua volta aveva cassato con rinvio la decisione della Corte di Appello di Bologna numero 804/2001 che aveva ritoccato le quote ma non aveva affrontato l'eccezione suddetta , per non esser state citate nel giudizio di legittimità, con conseguente inefficacia nei propri confronti della sentenza pronunziata all'esito dello stesso. 6 Il motivo è infondato perché la sentenza numero 6161/2006 di questa Corte fu emessa in un giudizio in cui si discuteva delle quote di spettanza dei vari condividenti e delle conseguenti richieste divisionali, così che le D.R. , pur essendo intervenute in luogo del padre nel coevo giudizio di cui il presente costituisce ulteriore esito sin dal 1999, non parteciparono mai alla causa decisa dal Tribunale di Ravenna nel 1983 e, quindi, in grado di impugnazione, dalla Corte di Appello di Bologna con sentenza numero 804/2001 e di seguito, in sede di legittimità, dalla richiamata decisione numero 6161/2006 a fronte di ciò le ricorrenti incidentali non spiegano da cosa sarebbe derivata la loro posizione di litisconsorti necessarie — pretermesse in quel giudizio. 7 — Con il secondo motivo si riporta il contenuto del precedente appello incidentale secondo il quale l'apertura della successione avrebbe determinato automaticamente la divisione tra gli eredi non solo dei crediti ma anche delle quote della società il mezzo è infondato perché non è corretta la ricostruzione dogmatica che ne è alla base sia perché le quote della società, essendo beni immateriali, non sono assimilabili a meri crediti ma sono attributive di status e rappresentative di un complesso di crediti e debiti sia perché la predicata automatica divisione dei crediti è stata esclusa dalla pronunzia delle Sezioni Unite di questa Corte numero 24657/2007 che ha enunciato il principio secondo il quale solo per i debiti del de cujus varrebbe l'automatica divisibilità, in ragione delle quote di spettanza, entrando invece i crediti nella comunione ereditaria. 8 — La sentenza va dunque cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione, che statuirà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi accoglie i primi due motivi del ricorso principale e dichiara assorbiti gli altri rigetta il ricorso incidentale condizionato cassa in ordine ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.