L’assegnazione della casa coniugale non modifica la natura e il godimento stabilito nel contratto di comodato

Nella concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà affinchè sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione a favore del coniuge affidatario dei minorenni o maggiorenni non autosufficienti emesso nel giudizio di separazione o divorzio, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull’immobile.

Il caso. La fattispecie riguarda il conflitto insorto tra le proprietarie di un appartamento concesso in comodato gratuito alla famiglia del fratello affinchè questa usasse l’immobile quale casa coniugale. A seguito della separazione dei coniugi e sulla base di detta sentenza, la quale stabiliva l’assegnazione della casa coniugale in favore della consorte sino al raggiungimento della maggiore età della figlia, le titolari dell’appartamento chiedevano la restituzione del bene, ritenendo compiuta la condizione alla quale era subordinata il rilascio, ovvero la maggiore età della figlia, e non avendo la donna più titolo ad occupare detto immobile. Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda delle legittime proprietarie dell’immobile ritenendo fondata la pretesa delle attrici e richiamandosi al principio affermato in primo grado nel giudizio di separazione, ovvero l’assegnazione dell’immobile sino alla maggiore età della figlia, che era stata confermato in Appello e non modificato in Cassazione. Le convenute, madre e figlia, proponevano pertanto appello avverso la sentenza di primo grado con la quale era stato accertato il diritto delle sorelle ad avere la restituzione del bene e chiedevano, per contro, che venisse accertato il loro diritto ad occupare l’appartamento sino, non alla maggiore età della minore, ma sino al raggiungimento della sua indipendenza economica. La Corte di Appello rigettava il gravame richiamandosi nuovamente la sentenza confermata in sede di appello nel giudizio di separazione e sottolineando come tra il procedimento promosso dalle proprietarie dell’immobile e le statuizioni in sede di separazione personale dei coniugi e di divorzio non vi fosse alcun contrasto di giudicati. Infine la Corte di Appello di Roma sottolineava che, nonostante il parere contrario delle ricorrenti, non potevano essere rimesse in discussione nell’attuale procedimento di rilascio dell’immobile per occupazione senza titolo, le questioni attinenti alla disciplina del provvedimento di assegnazione della casa coniugale o i suoi limiti temporali, essendo intervenuto su questi il giudicato. Le appellanti, moglie e figlia, proponevano così ricorso in Cassazione la quale riteneva parzialmente fondati i motivi e cassava la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, rinviando ad altra sezione della Corte D’appello per nuovo esame del rapporto tra i giudicati in questione, attenendosi ai principi enunciati dalla Suprema Corte. Infatti, ad avviso della Corte di Cassazione, la Corte D’appello non aveva tenuto in adeguata considerazione il rapporto tra il giudicato formatosi in sede giudizio per il rilascio dell’immobile e quello successivamente formatosi in sede di divorzio che prevedeva l’assegnazione della casa coniugale senza limiti temporali. Pertanto, partendo dal principio enunciato dalla stessa Cassazione secondo il quale quando sulla medesima questione si formano più giudicati contrastanti quello che deve prevalere è il più recente, la sentenza impugnata dalla madre è necessariamente incorsa nella violazione di tale principio e, come tale, deve essere riformata tenendo in considerazione il secondo giudicato, nonchè il rapporto tra la natura e il godimento nel contratto di comodato e l’opponibilità della pronuncia di assegnazione della casa coniugale. La natura e il godimento del bene concesso in comodato non è modificata dai provvedimenti di assegnazione della casa coniugale. La Corte di Cassazione ha ben rilevato come le sentenze di divorzio sino idonee a passare in giudicato, sia pure rebus sic stantibus , e come il contenuto di queste sia opponibile anche a terzi soggetti. Per meglio comprendere, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il provvedimento di assegnazione dell’appartamento contenuto nella sentenza di divorzio è opponibile alle proprietarie dell’appartamento le quali avevano concesso l’immobile in comodato, ancor prima della separazione dei coniugi, per il suo godimento quale casa familiare. Tale opponibilità discende dal principio, già espresso in altre sentenze dalla Corte Cass. sez. unite n. 13603/2004 , secondo cui, nell’ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione, emesso in giudizio di separazione o divorzio, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, ma determina semplicemente una concentrazione, nella persona dell’assegnatario, del titolo di godimento con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto dal contratto, salve le ipotesi previste per legge, di un urgente ed imprevisto bisogno, ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c Pertanto, considerata l’idoneità a passare in giudicato delle sentenze di divorzio, l’opponibilità a terzi soggetto del giudicato e del provvedimento di assegnazione della casa coniugale, nonché la natura e il godimento di un bene concesso in comodato, quest’ultimo rapporto rimane regolato dalla relativa normativa, indipendentemente dall’assegnazione della casa coniugale, la quale ha come unica funzione quella di concentrare, identificare, a seguito della crisi familiare, il soggetto, ovvero nella figura dell’assegnatario, colui che è l’avente diritto all’uso del bene concesso in comodato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 2 ottobre - 18 dicembre 2012, n. 23361 Presidente Bursese – Relatore Matera Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 7/12-12-2000 P.E. e P.M.P. convenivano in giudizio C.F. e P.L. , per sentirle condannare al rilascio dell'appartamento di loro proprietà sito in OMISSIS . Le attrici esponevano che con precedente sentenza della Corte di Appello di Roma n. 1829/1993, passata in giudicato, era stato stabilito che la C. , alla quale, in sede di separazione personale dal coniuge P.C. , era stata assegnata la casa familiare, aveva diritto al godimento di tale immobile fino al raggiungimento della maggiore età da parte della figlia minore P.L. . Pertanto, essendo quest'ultima divenuta maggiorenne, le convenute, in virtù del giudicato formatosi nel precedente giudizio, non avevano più titolo per occupare il predetto appartamento. Nel costituirsi, le convenute contestavano la fondatezza della domanda e ne chiedevano il rigetto. Con sentenza n. 19482/2004 il Tribunale di Roma accoglieva la domanda, ordinando alla C. ed a P.L. di rilasciare l'appartamento in favore delle attrici. Il giudice di primo grado osservava che la pretesa delle istanti trovava fondamento nella menzionata sentenza n. 1829/1993 della Corte di Appello di Roma, passata in giudicato, essendosi verificata in data 14-11-2000 la condizione alla quale era subordinato il rilascio raggiungimento della maggiore età da parte di P.L. . Le convenute proponevano appello avverso la predetta decisione, chiedendo che venisse accertato il loro diritto ad occupare l'abitazione fino al raggiungimento della indipendenza economica da parte di P.L. . La Corte di Appello di Roma, con sentenza depositata il 17-1-2006, rigettava il gravame. Essa rilevava, in particolare, che, contrariamente a quanto dedotto dalle appellanti, la sentenza della Corte di Cassazione n. 10977M996 aveva rigettato il ricorso senza apportare alcuna correzione, integrazione o modificazione alla sentenza della Corte di Appello di Roma, con la quale era stato stabilito che la C. aveva diritto al godimento dell'immobile fino al raggiungimento della maggiore età da parte della figlia minore che non vi era contrasto di giudicati tra la sentenza emessa dalla Corte di Appello nel precedente procedimento promosso dalle sorelle P. e quelle pronunciate in sede di separazione e di divorzio, trattandosi di giudizi aventi soggetti ed oggetto diversi che non potevano essere rimesse in discussione nel presente giudizio questioni attinenti alla disciplina del provvedimento di assegnazione della casa familiare o ai limiti, anche temporali, di opponibilità di tale provvedimento nei confronti delle P. , i trattandosi di questioni già risolte nella sentenza della Corte di Appello n. 1829/1993, in nulla modificata dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 10977/1996. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso P.L. , sulla base di due motivi. P.E. e P.M.P. hanno resistito con controricorso. Disposta da questa Corte, con ordinanza depositata il 7-3-2012, l'integrazione del contraddicono nei confronti di C.F. , quest'ultima non ha svolto attività difensive. Le parti costituite hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1 Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., 2909 c.c., 384 comma 2 c.p.c. e dei canoni di interpretazione del giudicato esterno, nonché vizi di motivazione. Sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del gravame, la sentenza della Corte di Cassazione n. 10977/96, con la quale era stato rigettato il ricorso proposto dalla P. avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 1829M993, aveva integrato e corretto la motivazione della decisione impugnata, disponendo che, in forza della sentenza di separazione, la C. aveva diritto al godimento dell'immobile non fino al raggiungimento della maggiore età da parte della figlia, bensì fino, al momento del conseguimento, da parte di quest'ultima, dell'indipendenza economica. Rileva che se è vero, come affermato dalla Corte di Appello, che il giudicato formatosi sulla sentenza n. 1829U993 produce i suoi effetti anche nei confronti di P.L. , all'epoca della pronuncia affidata alla madre, è altrettanto vero che l'effetto preclusivo del giudicato formatosi in sede di separazione e di divorzio in relazione all'assegnazione della casa familiare produce, di riflesso, conseguenze giuridiche anche nei confronti di soggetti rimasti estranei al relativo giudizio. Aggiunge che, sussistendo contrasto tra le sentenze emesse nei giudizi di separazione e di divorzio con le quale era stata assegnata la casa coniugale alla C. senza alcuna limitazione temporale e la sentenza 1829/1993 che limitava il diritto di godimento dell'appartamento al raggiungimento della maggiore età da parte della figlia P.L. , la Corte di Appello avrebbe dovuto accertare qual era il giudicato prevalente e che tale giudicato doveva essere individuato nell'ultimo in ordine di tempo e, quindi, non già nella sentenza intermedia n. 1829/1993 della Corte di Appello di Roma, bensì nella successiva sentenza n. 14529U995 emessa nel giudizio di divorzio. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 91 e ss. c.p.c., nonché l'omessa motivazione in ordine ai criteri seguiti nella liquidazione delle spese processuali. 2 Il primo motivo è fondato, nei limiti di seguito precisati. Con sentenza, del 16-9-1993, resa dalla Corte di Appello di Roma nel precedente giudizio di rilascio promosso da P.M.P. e P.E. nei confronti di C.F. , è stato stabilito che quest'ultima aveva diritto al godimento dell'appartamento di proprietà delle attrici, ad essa assegnato come casa familiare con la sentenza di separazione personale dal coniuge P.C. , fino al raggiungimento della maggiore età da parte della figlia minore P.L. . Ciò posto, si osserva che la decisione oggi gravata appare immune da censure nella parte in cui ha ritenuto che sul predetto capo della sentenza di appello si è formato il giudicato, avendo la Corte di Cassazione, con sentenza del 10-12-1996, rigettato il ricorso proposto dalle proprietarie P. senza apportare alcuna correzione, integrazione o modificazione alla pronuncia resa dal giudice di merito. E invero, le argomentazioni contenute nella citata sentenza del 10-12-1996 della Corte di Cassazione riguardo all'opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare alle attrici, le quali, essendo già proprietarie dell'immobile prima di detta assegnazione, ne avevano concesso il godimento in comodato ai coniugi successivamente separatisi, sono state svolte per contrastare i rilievi mossi dalle P. con il secondo motivo di ricorso al fine di negare l'opponibilità del provvedimento emesso dal giudice della separazione, in mancanza della relativa trascrizione. Allo stesso modo, l'ulteriore rilievo, secondo cui una volta . stabilito che il titolo del godimento del bene è costituito, nella specie, dal provvedimento di assegnazione della abitazione della casa familiare, e che tale provvedimento è opponibile alle proprietarie, è nella disciplina di questo tipo di provvedimento che deve collocarsi ogni problema di determinazione del termine finale, e non invece nell'originario rapporto di comodato .che è del tutto separato dalla ulteriore vicenda giuridica che ha interessato lo stesso modo , è servito al giudice di legittimità per disattendere il terzo motivo di ricorso, con cui si sosteneva che, poiché nel comodato senza predeterminazione di un termine finale il comodante può determinare l'estinzione del rapporto ad nutum, non aveva alcun fondamento la prefissione, nella sentenza appellata, del termine finale del compimento della maggiore età da parte della figlia della C. . È evidente, d'altro canto, che poiché nel giudizio di legittimità la C. si era limitata a resistere al ricorso avversario, senza chiedere con ricorso incidentale che venisse riconosciuto il suo diritto di godimento dell'immobile in questione fino al momento del raggiungimento dell'indipendenza economica da parte della figlia, la Corte di Cassazione, nel disattendere i motivi di impugnazione fatti valere dalle sorelle P. , non poteva che mantenere fermo il limite temporale del diritto di abitazione stabilito nella sentenza impugnata. Si rivelano prive di pregio, di conseguenza, le deduzioni svolte dalla ricorrente, secondo cui con la sentenza del 10-12-1993 la Corte di Cassazione, nel dare atto che il titolo di godimento della C. si basava sul provvedimento di assegnazione della casa familiare emesso dal giudice della separazione, opponibile alle attrici, e che, pertanto, i termini stessi statuiti nella sentenza di separazione non potevano essere modificati, avrebbe sostanzialmente integrato e corretto, ai sensi dell'art. 384, comma 2, c.p.c., la motivazione della sentenza di appello, riconoscendo alla C. il diritto di abitare nell'appartamento in oggetto fino al momento del conseguimento della indipendenza economica da parte della figlia. È appena il caso di rammentare, al riguardo, che, affinché la Corte di Cassazione possa procedere alla correzione della motivazione della sentenza impugnata a norma del citato art. 384 comma 2 c.p.c, è necessario che il dispositivo sia conforme al diritto laddove, nella specie, l'errore prospettato dalla ricorrente interessa lo stesso dispositivo della sentenza di appello, contenente l'espressa previsione della data di raggiungimento della maggiore età da parte di P.L. quale termine ultimo di opponibilità alle attrici del diritto di godimento dell'immobile spettante alla C. . 3 A diverse conclusioni deve pervenirsi in relazione all'ulteriore questione dedotta con il motivo in esame, concernente il contrasto, non colto dal giudice dei gravame, fra il giudicato formatosi sulle statuizioni contenute nella menzionata sentenza della Corte di Appello di Roma del 16-6-1993 e il successivo giudicato formatosi sulla sentenza di divorzio pronunciata tra la C. e P.C. in data 7-11-1995 passata in giudicato, in difetto d'impugnazione, il 23-12-1996 , che ha previsto l'assegnazione della casa familiare alla donna senza limiti temporali. Deve premettersi che, contrariamente a quanto dedotto dalle controricorrenti, le sentenze di divorzio sono idonee a passare in giudicato, sia pure rebus sic stantibus , rimanendo cioè suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o all'affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile tra le tante v. Cass. 25-8-2005 n. 17320 Cass. 2-11-2004, n. 21049 . Ciò posto, si osserva che il giudice del gravame ha escluso la sussistenza di un contrasto di giudicati fra le sentenze emesse negli indicati giudizi di rilascio e di divorzio, sul rilievo che si tratta di decisioni rese in giudizi aventi soggetti ed oggetto diversi. Nel pervenire a tale conclusione, la Corte di Appello non ha tenuto conto del fatto che il provvedimento di assegnazione dell'appartamento in questione, contenuto nella sentenza di divorzio, è opponibile alle attrici, proprietarie dell'immobile, le quali, come è pacifico tra le parti, già prima della separazione ne avevano concesso il godimento come residenza familiare ai coniugi P. -C. . Tale opponibilità discende dal principio affermato da questa Corte, secondo cui, nell'ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non auto sufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull'immobile, ma determina una concentrazione, nella persona dell'assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del comodato con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l'uso previsto nel contratto, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c. Cass. Sez. Un. 21-7-2004 n. 13603 . Il giudice di appello, pertanto, non poteva esimersi dallo stabilire quale fosse il giudicato prevalente tra quello formatosi nel giudizio di rilascio promosso dalle proprietarie P. , che prevedeva il riconoscimento del diritto di abitazione della C. fino al raggiungimento della maggiore età da parte della figlia Laura, e quello successivamente formatosi nel giudizio di divorzio, che, in difetto di specifiche statuizioni, comportava il riconoscimento di tale diritto fino al raggiungimento della indipendenza economica da parte della ragazza. E tale contrasto andava risolto facendo applicazione del principio di diritto più volte affermato da questa Corte, secondo cui, ove sulla medesima questione si siano formati due giudicati contrastanti, al fine di stabilire quale dei due debba prevalere, occorre fare riferimento al criterio temporale, nel senso che il secondo giudicato prevale in ogni caso sul primo, sempre che la seconda sentenza contraria ad altra precedente non sia stata sottoposta a revocazione Cass. 19-11-2010 n. 23515 Cass. 8-5-2009 n. 10623 Cass. 26-2-1998 n. 2082 . La sentenza impugnata è incorsa, pertanto, nella violazione dei principi in tema di giudicato richiamati dalla ricorrente. In relazione alle censure accolte, di conseguenza, s'impone la cassazione di tale decisione, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, la quale procederà a nuovo esame del rapporto tra i giudicati in questione, attenendosi ai principi di diritto innanzi enunciati. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente grado di giudizio. Il secondo motivo di ricorso, attinente alle spese del giudizio di merito, rimane assorbito. P.Q.M. La Corte accoglie per quanto di ragione il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente grado di giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.